Articolo di Alfiero Grandi apparso sul Fatto Quotidiano
L’assemblea nazionale del Pd ha formalizzato la nomina di Renzi segretario del Pd e dato il via al tentativo di cancellare il risultato del referendum del 4 dicembre 2016, tentando una restaurazione politica ed istituzionale. La ripicca renziana è chiara: la responsabilità dello stallo sulla legge elettorale è della vittoria del No.
Il referendum è stato certamente un colpo serio alle mire di Renzi ma la reazione non è stata una riflessione sulle ragioni della vittoria del No. Questi mesi sono serviti per riprendere in mano la leadership del partito, scossa dalla sconfitta, in attesa di riprendersi anche la Presidenza del consiglio. Non ha ancora detto stai sereno a Gentiloni ma è in corso la preparazione di un circuito extraistituzionale in grado di intervenire sulle scelte del governo. Poi si vedrà. Non a caso Renzi ha dichiarato che nelle primarie si votava insieme per il segretario del Pd e per il Presidente del Consiglio.
Il Presidente della Repubblica di fronte alle evidenti implicazioni di queste affermazioni (crisi del governo Gentiloni e conseguenti elezioni anticipate) ha ricordato che prima di votare occorre approvare una nuova legge elettorale coerente per Camera e Senato. Senato che dopo la bocciatura del 4 dicembre è vivo e vegeto e deve essere eletto in modo coordinato con la Camera. In altre parole uno stop evidente alle intemperanze di Renzi.
Questi mesi sono stati descritti come riorganizzazione ma la sostanza politica non cambia. Non c’è alcuna riflessione autocritica, anzi c’è volontà di rivalsa. Quindi il risultato del referendum è visto semplicemente come un capitolo da archiviare.
E’ un atteggiamento preoccupante e pericoloso sia sotto il profilo strettamente democratico, sia per le conseguenze politiche. Il 60 % del No ha certamente orientamenti diversi, ma hanno in comune una profonda insoddisfazione per le risposte e questo non può far bene alla vitalità della nostra democrazia perché questa parte si sentirà non ascoltata, respinta.
Ora dovrebbe essere in vista la discussione sulla legge elettorale. Finora si è preferito aspettare la conclusione delle primarie del Pd, del resto lo stop al primo tentativo di delineare una legge che prendeva a riferimento la vecchia legge elettorale per le province ha confermato che Renzi è in grado di bloccare perfino i renziani che trattavano evidentemente senza il suo mandato.
Modifiche della Costituzione e Italicum erano provvedimenti strettamente intrecciati, le prime bocciate dal referendum ma con conseguenze anche sull’Italicum che è stato per di più modificato dalla Corte costituzionale sul premio al ballottaggio. I quesiti di incostituzionalità rinviati dai tribunali sono stati uno dei terreni di iniziativa.
Tuttavia l’Italicum, seppure mutilato, resta in campo, degno erede del porcellum. Non è immaginabile fare di ciò che ne resta la base per una nuova legge elettorale. E’ necessaria una svolta che dia un assetto equilibrato alla nuova legge elettorale.
Qual è l’obiettivo più importante ? Rivitalizzare la democrazia e in particolare ridare credibilità alla rappresentanza parlamentare che è ai livelli più bassi da molti anni, troppi.
E’ evidente che la rappresentanza ha anche il compito di consentire il governo del paese, ma per poterlo fare deve anzitutto garantire di potere espletare il suo ruolo, oggi ridotto a votificio, altrimenti la separazione dei poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario, rischia di ridursi a due, forse nel tempo a uno, con una conseguente crisi della democrazia delineata nella Costituzione.
Il maggioritario non è stata una buona scelta. Non ha garantito stabilità e anzi ha contribuito ad allontanare la rappresentanza dai cittadini, al punto che molti oggi hanno smarrito l’importanza del suo ruolo – a partire dagli stessi parlamentari – e potrebbero in futuro non opporsi più alla sua definitva decadenza.
Al maggioritario di questi anni occorre per lo meno una robusta cura di proporzionalismo. Del resto il risultato elettorale in Olanda, che ha un sistema iperproporzionale, non ha certo creato una crisi democratica, semmai ha isolato posizioni xenofobe.
Più ancora di una correzione proporzionale occorre affidare la scelta dei rappresentanti agli elettori. Un parlamento dominato da nominati ha via via perso credibilità e ruolo, con velocità. Solo se gli elettori decidono chi li rappresenta si può avere una risalita della credibilità del parlamento.
Sono due principi semplici ma decisivi per indicare la svolta necessaria, coerente con l’esito del referendum. Una parte importante degli elettori è ancora lontana dalla piena consapevolezza del ruolo decisivo che ha una legge elettorale aderente ai principi costituzionali. Non tutti hanno chiaro che la rappresentanza deve decidere sui problemi delle persone: dai diritti di chi lavora ai problemi di chi soffre di più i colpi della crisi, dal diritto all’istruzione e alla salute ad una politica di accoglienza e di pace.
In altre parole se si vuole uscire dal circuito decisionale perverso di questi anni occorre fare scelte e per farle correttamente è necessario che sia chiaro che i rappresentanti non sono nominati dai poteri più o meno forti ma dagli elettori.
Giustamente la Cgil ha rilanciato una strategia complessiva per dare diritti a tutti i lavoratori, a chi si rivolgerà per attuarli ? Quali saranno gli interlocutori parlamentari in grado di misurarsi con questi problemi ? Solo se la rappresentanza riponderà agli eletttori ci sono speranze per un futuro migliore.
Per questo è necessario che i cittadini vengano avvertiti che la legge elettorale è una scelta decisiva per il futuro dell’Italia, altrimenti domani non ci si potrà lamentare se gli spazi di partecipazione, di democrazia verranno ridotti anziché aumentati. La stessa democrazia che conosciamo potrebbe essere a rischio.