Massimo Villone su La Repubblica Napoli, 15 aprile 2015
Nel settembre 2015 il consiglio regionale della Campania vota all’unanimità di unirsi ad altre otto regioni per presentare sei quesiti referendari in materia ambientale. Rimane ora solo il quesito su una norma da ultimo introdotta con l’articolo 1, comma 239, legge 208/2015 (legge di stabilità 2016), che proroga a tempo indeterminato, “per la durata di vita utile del giacimento”, le concessioni in atto per l’estrazione di gas e petrolio da piattaforme marine entro le dodici miglia dalla costa. Si vota domenica 17 aprile.
Chiariamo, in premessa, che non si vota per abbreviare la durata delle concessioni in atto. Né si vota per impedire che alla scadenza naturale possano essere rinnovate o rinegoziate. Si vota per cancellare con la vittoria dei sì la proroga concessa dal legislatore ai titolari delle concessioni. Mentre la vittoria dei no blinderebbe invece quei titolari nel diritto ormai sancito dalla legge di continuare l’estrazione fino all’ultimo metro cubo di gas e all’ultima goccia di petrolio. Fosse anche per cent’anni.
La proroga è un regalo ai petrolieri? Chi chiede una concessione misura investimenti, costi, profitti e rischio d’impresa sulla base della durata. Prolungare per legge e la durata di una concessione significa migliorare unilateralmente il quadro economico dell’attività d’impresa e in specie dei profitti a favore del privato concessionario, senza vantaggio per gli interessi pubblici coinvolti. A tale contesto si riferisce il governatore Emiliano, quando dice che la proroga fa perdere alla Puglia milioni di euro.
Invece, il governatore De Luca ha da ultimo dichiarato che ritiene irrazionale interrompere le concessioni piuttosto che estrarre fino all’esaurimento. Maggiori pericoli per l’ambiente, perdita di posti di lavoro, aggravio di spesa per l’acquisto di gas e petrolio all’estero. Argomenti per la verità non decisivi. Quanto all’interrompere, è chiaro che altra cosa è la scadenza naturale della concessione, che andrebbe messa in conto nell’attività e nell’organizzazione d’impresa fin dal primo giorno. Quanto all’ambiente, in principio è già imposto a chi trivella di evitare ogni danno e di ripristinare lo stato dei luoghi alla chiusura dell’attività. Semmai, preoccupa la notizia – che filtra in qualche talk show – di inquinamenti già in atto presso le piattaforme di estrazione. Quanto ai posti di lavoro, il problema si affronta stimolando un’alternativa, non
prolungando l’attività di estrazione. Ad esempio investendo sulle fonti di energia alternative, che bene eviterebbero anche i più gravosi acquisti all’estero.
Come mai De Luca non tiene alcun conto del voto unanime del Consiglio nel settembre 2015? Semplice. È accaduto che Renzi ha invitato gli italiani ad andare al mare, proprio nel mezzo di un oscuro affaire di petroli. Ne segue che le Regioni promotrici nicchiano. I governatori sono in palese imbarazzo. È un problema che comincia e finisce in casa del Partito Democratico.
Votare il 17 aprile è importante. La politica di oggi ha sostanzialmente azzerato il ruolo dei corpi intermedi – partiti, sindacati – dissolti o messi ai margini. Così facendo ha perso i canali d’ascolto e i sensori che la tenevano in contatto con il paese. Un voto referendario è il solo strumento che dia ai cittadini una possibilità effettiva di farsi ascoltare. Oggi sulla proroga delle concessioni, domani sulla scuola, il Jobs Act, l’Italicum, l’ambiente, la riforma costituzionale.
E non dimentichiamo poi che per l’articolo 48 della Costituzione il voto è “dovere civico”. Ha ragione Grossi, presidente della Corte costituzionale, nel trarne che si deve andare a votare. Qualche autorevole opinione vorrebbe leggere nella formula costituzionale la legittimazione alla pari del voto e del non voto. Ma non è così. Un dovere “civico” è pur sempre un dovere. La qualificazione come “civico” sta solo a significare che la sua osservanza non è assistita da sanzioni giuridiche. Ma questo non nega la doverosità, né dissolve il “dovere” in una mera facoltà.
Quindi andiamo a votare – per il sì – il 17 aprile. Speriamo di vedere alle urne anche De Luca, che ha bellicosamente dichiarato guerra a chiunque intendesse piantare una trivella in acque campane. Se mancasse, la sua posizione sulle trivelle alla fine ci ricorderebbe una battuta di Brancaleone, a tutti noi molto cara. Trivellate pure senza fine, ma da un’altra parte.