Intervento di Raniero La Valle all’Assemblea del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale del 09/03/2015.

La ragione di fondo della nostra opposizione alla riforma costituzionale ed elettorale di Renzi sta nel fatto che essa travolge non solo il Senato e l’assetto regionale ma l’intera Costituzione. Per dirlo in sintesi si tratta del passaggio da una democrazia rappresentativa ad una democrazia dell’investitura.
Il problema è che non c’è un’alternativa che sia ancora democratica alla democrazia rappresentativa; l’unica alternativa democratica alla democrazia rappresentativa, dove è possibile, è la democrazia diretta, che bisogna comunque incrementare anche nella democrazia rappresentativa. La Costituzione Italiana è incompatibile con la democrazia dell’investitura. Questa può ancora chiamarsi democrazia in senso formale, riguardo alle forme dell’ascesa al potere, ma non è una democrazia nel senso sostanziale, com’è intesa la democrazia nel costituzionalismo postbellico, e in modo precipuo nella Costituzione Italiana. Quindi ciò di cui si tratta è in realtà di passare da uno Stato costituzionale a uno Stato senza Costituzione, non più ad una democrazia ma, come si potrebbe chiamare, ad una poliarchia dell’investitura.

Inoltre questa riforma segna il passaggio da un ordinamento della chiarezza ad un ordinamento della confusione; la chiarezza del disegno si trasferiva anche nella chiarezza del linguaggio, per cui la Costituzione era scritta in una lingua diretta e bellissima, che ne faceva, come è stato detto, la Costituzione più bella del mondo. Adesso la chiarezza è scomparsa c’è un Parlamento, ma dimezzato; ci sono due Camere, ma una non c’è; c’è la fiducia ma il governo non ne ha bisogno né per esistere, né per legiferare; c’è il regionalismo ma non ci sono vere autonomie regionali, sicché anche la lingua è diventata contorta, prolissa e bruttissima, il che ne farebbe la Costituzione più brutta del mondo.

Ma più che una critica di merito della riforma, devo qui adempiere a un triplice mandato in base al quale devo chiedere, come del resto hanno fatto tutti qui, che si interrompa in questa legislatura l’iter delle riforme costituzionali, che dovrebbe essere ripreso nel prossimo Parlamento eletto con legge proporzionale. La motivazione di questa richiesta non è solamente quella della mancanza di legittimazione di questo Parlamento, così bene illustrata dal prof. Pace, come si può affermare in base alla sentenza della Corte, ma è l’assoluta inopportunità di una riforma costituzionale fatta in questo modo e in questo clima.

Adesso che c’è questo papa si può essere un po’ meno laici, perché in realtà oggi si è più laici con lui che contro di lui; e perciò si può citare una lettera di san Paolo, la prima ai Corinti, che dice: “tutto è lecito, ma non tutto giova. Tutto è lecito, ma non tutto edifica”. Ossia anche se la riforma costituzionale in corso fosse lecita, essa ugualmente sarebbe da rifiutare, da rottamare, perché non giova alla democrazia e non la edifica.

Per avanzare la richiesta di fermare le riforme ho, come ho detto, un triplice mandato.

Il primo, datato 10 gennaio scorso, è dei giuristi dei Comitati Dossetti per la Costituzione, riunitisi a questo scopo a Bologna, e precisamente Allegretti, Azzariti, Balboni, Carlassare, Colaianni, Di Matteo, Dogliani, Ferrajoli, Gallo, Onida, Romagnoli,Villone – molti sono anche qui – i quali, preso atto della crisi profonda della politica e della rappresentanza, hanno dichiarato “opportuno rinviare riforme costituzionali” giudicate come “non idonee ad affrontare i nodi reali”, chiedendo che “si giunga invece in tempi ravvicinati a nuove elezioni politiche”, che “dovrebbero svolgersi sulla base di un sistema proporzionale senza premi di maggioranza, sia pure con una ragionevole soglia di accesso”, sistema grazie al quale il Paese sarebbe meglio rappresentato e potrebbero adottarsi “indirizzi e misure capaci di rilanciare e attuare i permanenti valori della Costituzione”.

Il secondo mandato viene da un messaggio dei cittadini al Presidente della Repubblica e a tutti i responsabili delle riforme istituzionali, pubblicato in rete in Change.org, firmato da molti di noi e da più di mille altri cittadini, in cui si chiede un rinvio delle riforme alla prossima legislatura perché di fronte alle nuove priorità di oggi, dal salvataggio necessario della Grecia e dell’Europa, alla strage dei migranti, alla crescente mancanza di lavoro, all’urgente rianimazione della scuola, il Paese di tutto ha bisogno tranne che dell’abolizione del Senato e di un raffazzonato ridimensionamento dell’ordinamento regionale.

Il terzo mandato viene da un appello del Comitato Polesano per la Costituzione, che ci chiede di “sbarrare la strada”alla deriva pericolosa in cui è finita la nostra democrazia” e di rivolgere al Presidente della Repubblica “un invito motivato a sciogliere quel Parlamento eletto da una legge anche da lui” (in quanto giudice della Corte) “giudicata incostituzionale”.

A questo triplice invito ad arrestare le riforme vorrei aggiungere una considerazione che riguarda in particolare la responsabilità del mondo cattolico e il ruolo di quella che una volta si chiamava la tradizione cattolico-democratica. La si chiamava così per distinguerla da quel cattolicesimo politico espresso dalla DC che realizzava l’istanza clericale della cosiddetta unità politica dei cattolici, che noi rompemmo nel 1974 con il referendum sul divorzio e nel 1976 con la Sinistra Indipendente in Parlamento.

Il tema della responsabilità del cattolicesimo democratico dinanzi a Renzi e alla sua riforma costituzionale è stato posto in uno scambio polemico tra l’on. Franco Monaco, che si rifà a quella tradizione, e Stefano Ceccanti, e in un articolo di padre Bartolomeo Sorge su Aggiornamenti Sociali. Non è possibile riferirne qui. Basta dire che chi vorrebbe portare i cattolici democratici a rompere con la Costituzione del ‘47 e a seguire Renzi postulano di fatto una drammatica rottura dei cattolici democratici con la loro tradizione. Per padre Sorge Renzi discenderebbe addirittura da Sturzo, di cui dimentica la lotta per la proporzionale e contro il partito della Nazione che allora era quello di Mussolini; per Ceccanti allo “statalismo” di Dossetti andrebbero oggi sostituite le visioni social-liberali della Terza Via, per le quali nella sfera economica la mano pubblica incentiva, incita, sollecita, ma non interviene. La via di Dossetti e del cattolicesimo democratico che fu seguita nell’età dei partiti, sarebbe obsoleta perché interna “alla crisi delle culture stataliste di sinistra di matrice comunista e socialista”: ma è proprio questa via che sta al centro della Costituzione del ’47 e che dall’art.3 struttura tutto quello che essa chiama il “compito della Repubblica”: rimuovere gli ostacoli anche di fatto allo sviluppo delle persone, alla libertà e alla giustizia.

A me basta ricavare questa verità dell’analisi: che l’art.3 è la vera posta in gioco della riforma costituzionale, la vera posta in gioco della legge elettorale, del partito della nazione, del passaggio dalla rappresentanza all’investitura, dell’abolizione del Senato, del cambiare verso al circuito della fiducia, non più dal Parlamento al governo ma dal capo del governo al Parlamento.

E vorrei dire al mondo cattolico italiano, oggi diviso tra chi difende la Costituzione e chi intende rottamarla, che sarebbe il colmo se, proprio quando c’è un papa che invita alla lotta contro la “dittatura” di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano”, i cattolici tradissero una Costituzione che sancisce invece “il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune”, come chiede l’Esortazione Evangelii Gaudim al n. 55. E vorrei ricordare ai cattolici italiani che la Costituzione è il punto culminante della loro storia civile, la cosa migliore che in tanti decenni il cattolicesimo politico, insieme con le altre famiglie culturali e politiche, ha prodotto e ha lasciato come dono non solo per sé ma per tutti.

A monte della Costituzione del ’47, che in alcuni punti dirimenti è stata scritta per mano di cattolici, e cattolici non solo di battesimo, c’è la democrazia cristiana di Romolo Murri, c’è il partito pluralista e aconfessionale di Sturzo, ci sono i ministri popolari che abbandonarono il ministero Mussolini per opporsi alla legge Acerbo, ci sono le Fiamme Verdi di Teresio Olivelli e di Franco Salvi, c’è la resistenza partigiana armata comandata in Emilia da Giuseppe Dossetti; e a valle della Costituzione c’è la democrazia repubblicana, c’è il Concilio che ne riprese, universalizzandolo, l’art. 7 (“la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti ed autonome l’una dall’altra nel proprio campo”) e che proclamò l’autonomia politica dei laici cattolici e la scelta della Chiesa per la libertà politica e la libertà di coscienza.

Il cimento, l’assillo, la bandiera dei cattolici italiani che si sono misurati con la Costituzione non sono mai stati un’ansia di efficientismo, una pretesa di più governo, la ricerca di una tecnica per rendere più spedito e incontrollato il potere, ma sono stati invece il disegno di una società umana – di una civitas humana – il primato e il rispetto della persona, l’eguaglianza, l’antidoto ai poteri invasivi.

In questo senso oggi la riforma sguaiata della Costituzione incrocia la questione cattolica, e per queste ragioni una gran parte del movimento cattolico, in larga misura fuori dai partiti, chiede una pausa di riflessione e il rinvio della revisione costituzionale a tempi più favorevoli, perché appunto, come dice San Paolo, se tutto è lecito non tutto edifica, e soprattutto “nessuno deve cercare il proprio interesse, ma quello degli altri”.