La Corte costituzionale ha inflitto un colpo mortale alla lettura, in funzione di spacca-Italia, della improvvida riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal centrosinistra nel 2001.

Fare buon viso a cattivo gioco, questo è evidentemente il principio a cui si ispirano le paradossali dichiarazioni di Zaia, Calderoli e Salvini, che si sono mostrati soddisfatti per la bastonatura ricevuta dalla Corte costituzionale. Questa lettura tranquillizzante serva ad alzare una cortina di fumo per depotenziare le censure della Consulta con l’obiettivo di neutralizzarle e proseguire la navigazione verso il progetto di secessione della Lega, pervicacemente portato avanti attraverso lo strumento dell’autonomia differenziata. Tuttavia, anche se questa destra al governo ha elevato la menzogna a criterio della politica, i fatti hanno la pelle dura e non si possono cancellare. L’annunciata sentenza della Corte è un macigno sulla strada di Calderoli e compagni. La Corte costituzionale ha inflitto un colpo mortale alla lettura, in funzione di spacca-Italia, della improvvida riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal centrosinistra nel 2001. Nel progetto incardinato nella legge 86/2024, la norma di cui al terzo comma dell’art. 116 Cost. che prevede che: “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (..) possono essere attribuite ad altre Regioni”, è stata interpretata ed utilizzata come un grimaldello per scardinare l’ordinamento della Repubblica ed i principi supremi di eguaglianza e indivisibilità. L’intervento della Corte è di importanza fondamentale perché riporta la riforma del Titolo V nell’alveo dei principi costituzionali che reggono la Repubblica. In particolare la Corte ci fornisce l’unica interpretazione possibile della norma sull’autonomia differenziata, rendendola compatibile con il quadro generale: “Secondo il Collegio, l’articolo 116 terzo comma della Costituzione deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle Regioni e alla possibilità che essi ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica della solidarietà fra le regioni dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.”

La diretta conseguenza di quest’interpretazione (vincolante perché deriva da fonte primaria) comporta che la diversa distribuzione delle funzioni legislative ed amministrative fra i diversi livelli territoriali di governo: “non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere fra i diversi segmenti del sistema politico”. Quindi la Corte precisa che “è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni fra Stato e regioni”. Questo vuol dire che non possono essere trasferite alle Regioni intere materie (come richiesto da Veneto e Lombardia) e che le funzioni trasferibili non possono avvenire ad libitum ma devono essere giustificate dal principio di sussidiarietà.

La Corte ha individuato sette profili di incostituzionalità che sconfessano punti rilevanti della legge 86, come la procedura per determinare i LEP, che Calderoli aveva sottratto alla competenza del Parlamento attribuendola al Governo e le disposizioni di carattere finanziario, ribadendo i vincoli di solidarietà e unità della Repubblica. Oltre all’annullamento di talune disposizioni per incostituzionalità, la Corte interviene anche su altri punti qualificanti della legge Calderoli interpretando altre disposizioni della legge in modo costituzionalmente orientato. In particolare riconosce al Parlamento il potere di emendare le eventuali intese fra Governo e Regioni. Infine è importante che la Corte abbia precisato che le eventuali future leggi di differenziazione rimangono sottoposte al controllo di costituzionalità.

In sostanza la Corte costituzionale ha tolto dalle mani di Calderoli e compagni il grimaldello del quale volevano servirsi per scardinare l’ordinamento costituzionale e spaccare l’Italia. Le reazioni che sono seguite ci fanno intendere che i diretti interessati, si accingono a fare qualche rammendo ma non hanno alcuna intenzione di desistere dal loro progetto. Semmai vorrebbero trarre vantaggio dalla pronuncia della Corte per ottenere la cancellazione del referendum. Invece l’utilità e l’ammissibilità del referendum rimane, proprio perché la Consulta non ha bocciato la legge 86 nel suo complesso.

Con la sentenza della Corte Costituzionale che dovrebbe essere depositata entro il 10 dicembre, la società civile e le forze politiche d’opposizione hanno vinto una prima battaglia ma il treno dell’Autonomia differenziata non è stato ancora deviato su un binario morto. Resta il pericolo di un intervento, magari con decreto legge, per turare le falle aperte dai siluri della Consulta. Resta la necessità di mantenere viva la mobilitazione popolare e di prepararsi al referendum.