6 Novembre 2024

Oggi e domani, su iniziativa della presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai Barbara Floridia, si tiene presso la sala Zuccari del Senato un convegno sul servizio pubblico radiotelevisivo.

Anzi. L’annuncio parla di «Stati generali», assecondando una terminologia un po’ logorata da un uso troppo frequente. E sia, buon lavoro.

Certamente, vengono in mente -nelle ore delle elezioni negli Stati Uniti, di qualche rilievo anche per il resto del mondo – quelle sequenze del brillante film comico-demenziale di Abrahams e Zucker L’aereo più pazzo del mondo: in cui, davanti al caos in corso, l’uomo sulla torre di controllo ripete: «Ho scelto il giorno sbagliato per smettere di fumare… di bere…». Ecco, forse non era il momento propizio per organizzare una due giorni con l’ambizioso obiettivo di ripensare, rifondare, esplorare.

Un merito va sottolineato senza dubbio: si riapre un capitolo sceso vorticosamente nell’agenda delle priorità politiche e parlamentari, travolta ormai dalla bulimia dei talk: l’importante è sedersi in uno studio, non riflettere sul peso che il sistema mediale continua ad avere sulla formazione dell’opinione pubblica.

Ma un demerito, però, risalta immediatamente: non si parla della radio, ancorché quest’ultima sia una modalità comunicativa capace di trasformarsi e di resistere spavaldamente all’offensiva degli Over The Top (da Google, a X, a Meta, a Apple, a Microsoft). Peccato.

Tuttavia, il problema di fondo sta in una certa filosofia centrista dei panel, in cui sembra prevalere il motto del Conte Zio manzoniano: troncare, sopire… A fronte degli inevitabili saluti istituzionali, spicca la scelta di avere accanto alla stessa Floridia (e ci mancherebbe) un amministratore delegato interprete delle linee governative con una adesione che -ad esempio- i vecchi manager democristiani non avevano verso i partiti di maggioranza. Rossi che interviene è un conto, Rossi co-relatore è un altro. Così, suona alquanto ripetitiva, per altro non dire, la collocazione di riguardo assegnata a Bruno Vespa: in dialogo con Giovanni Floris da tempo de La7, come a significare che nell’informazione il direttorissimo e la Rai sono la stessa cosa.

Comunque, non ha senso guardare a un programma a mo’ di un testo da interpretare con criteri filologici. Però, sono le assenze che ci parlano. Mancano le trasmissioni eccentriche rispetto al clima di omologazione: da Presa diretta, a Report. E non si trovano tra i nomi – salvo lodevoli eccezioni- quelli di croniste e cronisti che mettono la faccia e il corpo contro la cavalcata nera in corso, spesso appartenendo all’associazione pluriventennale che si batte per il rispetto della Costituzione: Articolo21.

Ovviamente, i panel hanno presenze importanti e significative. Ciò non toglie che chi tifa per un’alleanza stabile e non transeunte tra le varie anime progressiste, oggi all’opposizione, avrebbe voluto leggere un elenco volto a far crescere un’alternativa alla TeleMeloni di oggi.

Le osservazioni critiche si limitano ai testi e non toccano i contesti, su cui corrono leggende opportunamente smentite dalla presidente. Con malevolenza (del resto, quando ci sono di mezzo i 5Stelle la cattiveria sale) da varie parti si sostiene che dietro le quinte si starebbe trattando per un’ascesa pentastellata alla direzione di un telegiornale. Difficile credere a voci così intrise di voglia di rompere ulteriormente la solidarietà delle e tra le forze del cambiamento.

Formuliamo una speranza. Che l’ultimo dibattito, pensato per confrontare i vari progetti di riforma della Rai, produca – chissà- la volontà di accelerare in seno alle competenti commissioni parlamentari l’iter dei differenti articolati.

Se si prendono a riferimento le sentenze della Corte e l’articolo 5 sull’indipendenza dei servizi pubblici dell’European Media Freedom Act una quadra si trova persino facilmente. Ovviamente, va abrogata la legge voluta nel 2015 da Matteo Renzi, che diede il potere a Palazzo Chigi, con l’effetto che sentiamo e vediamo.

Un pentimento operoso, per evocare Romano Prodi, è la premessa. Per accendere una scintilla.

Fonte: il manifesto