PANETTA: la prima non è buona
di ALFONSO GIANNI
Sono ormai davvero lontani i tempi nei quali le “Considerazioni finali” del Governatore della Banca d’Italia costituivano in sé un avvenimento di prima grandezza, capace di influenzare il dibattito economico e politico nel nostro paese, e forse non solo. Via via la rilevanza della Relazione annuale è venuta scemando, e ciò non va messo in relazione tanto all’autorevolezza dei singoli governatori – anche se un certo peso le va attribuito – quanto alla sempre più preponderante importanza delle linee che vengono assunte dalla Bce e all’effetto di sovradeterminazione che esse hanno sugli indirizzi delle banche centrali.
Certamente le prime Considerazioni finali pronunciate dal nuovo Governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, non sfuggono a questa tendenza, anzi la rimarcano. Infatti non hanno destato particolare attenzione. Se proprio si vuole, si possono trovare delle attenuanti: Panetta era stato tra i papabili a ricoprire la carica di ministro dell’Economia, quindi con un rapporto tutt’altro che conflittuale con la presidente del Consiglio, che lui ha evidentemente deciso di non inasprire malgrado la scelta sia caduta su altri, cioè su Giorgetti.
Inoltre l’assemblea di Bankitalia si teneva a pochi giorni dall’importante scadenza elettorale europea, il che imponeva ancora maggiore prudenza. Ma certo, in questo modo, i motivi di interesse per le Considerazioni finali scemano non poco. La loro struttura è quasi perfettamente bipartita: una metà dedicata al quadro internazionale e soprattutto europeo, e nell’altra metà lo sguardo si rivolge all’Italia.
La prima parte risulta perfettamente in linea con quanto Cristine Lagarde ha detto alcuni giorni dopo in una chilometrica intervista rilasciata a diversi quotidiani europei e pubblicata l’11 giugno su Il Sole 24 Ore. In essa la presidente della Bce ribadisce con ostinazione – anzi la definisce “la mia ossessione” – la necessità di porre avanti a tutto il raggiungimento dell’obiettivo di fare scendere l’inflazione al 2%.
Poiché qualche segnale di una ripresa inflazionistica è già in atto, Lagarde punta l’indice sull’incremento dei salari – ovviamente non è tanto il nostro paese a cui si riferisce – e sulla necessità di un loro controllo. Quindi ne trae la conclusione che non è possibile aspettarsi un comportamento lineare sulla diminuzione dei tassi. Chi ne prediceva addirittura sei in un anno deve toglierselo dalla testa. Al massimo ce ne sarà un secondo, ma non è affatto detto.
Del resto Lagarde ribadisce la bontà delle proprie scelte, evitando di prospettare con chiarezza le linee guida della Bce (la famosa forward guidance ), e precisa che l’abbassamento dei tassi di interesse non significa abbandonare “una intonazione restrittiva”. Insomma, se ci sono colombe, queste volano molto basso. Del resto siamo in guerra. Una spesa espansiva può riguardare solo il campo militare.
Non troverete nelle prime quindici pagine della relazione di Panetta cose che si discostino seppure di poco da questo impianto. Certamente si ripetono le cose già dette – specialmente, ma con maggiore energia, da Draghi – e cioè che è necessario avere un bilancio comune per sostenere le spese per beni comuni pubblici, che va completata l’unione bancaria, che va costruito un “unico mercato dei capitali europeo”. Ma il tutto pare detto più per onore di firma che per reale determinazione.
La parte dedicata all’Italia è ancora più evanescente. Non può tacere su dati come quello ben triste dei salari – e la colpa sarebbe sempre della bassa produttività del lavoro – per cui “i redditi orari dei lavoratori dipendenti sono oggi inferiori di un quarto a quelli di Francia e Germania” e quindi “il reddito reale delle famiglie è fermo al 2000”. Ma da qui non se ne trae alcuna conclusione che possa essere d’aiuto per invertire la linea di politica economica, dal momento che, specie nell’imminenza del restauro del Patto di stabilità, tornano le sponde strette dell’austerità.
L’analisi dell’occupazione è solo sfiorata, poiché non si distingue tra le varie fasce di età e nulla si dice della piaga del precariato che affligge i giovani, o del part-time forzato che pesa sulle donne. Il problema della povertà non compare neppure nella Relazione, benché gli stessi uffici studi di Bankitalia abbiano recentemente richiamato l’attenzione sulla crescita della povertà assoluta, che sta per superare la doppia cifra in termini percentuali.
Conseguentemente non si fa alcun cenno alle misure per affrontare questo crescente dramma sociale. Il calo demografico è visto come un problema, ma il richiamo alla necessità di incrementare l’immigrazione, anziché di ostacolarla con ogni barbaro mezzo, non si esprime con la forza adeguata. E così, inanellando cose più che note e schivando la necessità di misurarsi sulle necessarie possibili soluzioni, il nuovo Governatore si avvia alle conclusioni delle sue Considerazioni rifugiandosi nell’artificio dialettico del “non riesco a credere che un Paese come il nostro… non possa oggi superare difficoltà… su cui tutti concordiamo”. Ovvero: io speriamo che me la cavo.