A, B, C DELLA DEMOCRAZIA. C COME COSTITUZIONE / A che punto è la Repubblica?
Discorso ai giovani di questo paese, chiamati a difenderne le fondamenta
Di Maria Paola Patuelli per Ravennanotizie.it – 30 aprile 2024
Il Presidente Sergio Mattarella in occasione del 25 aprile appena trascorso ha sottolineato, con evidente preoccupazione, “Non c’è futuro senza memoria”. Aggiungerei. Non c’è futuro che corrisponda all’altezza dei principi sui quali Madri e Padri Costituenti hanno fondato la Repubblica. Perché sono in opera forze che mirano a un futuro diverso, o per incomprensione della storia, o per negazione di quei principi, a loro noti ma che disprezzano. Perché un futuro in ogni caso ci sarà. Quale?
Nel corso delle giornate, precedenti e successive al 25 aprile, è ragionando sulle incognite che si è presentato ripetutamente l’interrogativo “A che punto è la Repubblica”? Possiamo dare una risposta non solo fotografando il presente, che da solo non parla. Ma ricercando fatti che, nel tempo, ci hanno portato fin qui. Il “fin qui” non è un fulmine a ciel sereno. È il risultato di una lunga incubazione.
Infatti, sono convinta che a questa domanda sia possibile dare una fondata risposta solo se si individuano nodi e snodi che precedono il presente, che ha alle spalle più di trenta anni che, in tempi storici tutto sommato brevi, molto brevi, hanno di molto cambiato il volto del nostro paese. Forse un sintetico promemoria può essere utile soprattutto per la gioventù arrivata nel mondo da trenta anni, o meno. Una gioventù – soprattutto quella ancora impegnata nello studio e non piegata e sofferente su lavori insoddisfacenti, malpagati, umilianti – che guarda con sconcerto alla scena pubblica e a ciò che accade nelle Istituzioni, spesso sentendosi estranea e, a volte, comprensibilmente indignata.
Vedo che movimenti giovanili, attivi per l’emergenza climatica, o per la tragedia palestinese, attestano una attenzione forte a ciò che accade nel mondo. Mi sento lontana da chi guarda con fastidio a questa gioventù. La mia generazione mise in questione molto del mondo in cui si trovò a vivere. Partirono per primi i giovani americani delle università. Lo stesso sta di nuovo accadendo, anche a Berkeley, un faro per noi, allora. La gioventù americana mise in discussione non solo la guerra in Vietnam, dove non volevano, i maschi, andare a morire. Misero in discussione tutto. Questo per fortuna accade a chi studia e ha la vita davanti. A chi vive, disperato, alla giornata, è difficile chiedere mobilitazione, partecipazione.
Quella della mia generazione fu una ondata mondiale, che segnò molto quel tempo. Non fu la prima volta nella storia. Qualcosa del genere accadde, con forza prevalentemente giovane, nelle Università tedesche, dopo la rivoluzione del 1789, o in vari paesi d’Europa, nel 1848, “la primavera dei popoli”. Che il seguito delle primavere non siano state all’altezza delle primavere stesse, nulla toglie alla loro importanza, che produsse semi, che, non di rado, fiorirono poi. Sento battute penose su questi giovani di oggi, che hanno tempo da perdere, e denaro da sprecare. Qualche voce si è alzata per dire. Tranquilli, non è un nuovo Sessantotto. Ovvio. Nulla si ripresenta identico, nella storia.
Mi chiedo, invece. Se tutta la gioventù, e chi studia, soprattutto, fossero solo silenziosi, chini sui libri, nelle biblioteche, ignari del mondo fuori, delle guerre che si moltiplicano, di anno in anno, della devastazione ambientale, che ha colpevoli noti e potenti, a quali conclusioni dovremmo arrivare? A chi il Presidente Mattarella dovrebbe rivolgere i suoi accorati appelli, parlando di Resistenza, senza la quale non avremmo questa Repubblica? A chi raccomandare attenzione al futuro, da costruire?
È quindi soprattutto a questa gioventù arrabbiata, che mi rivolgo. Alla gioventù che, come la generazione che precede la mia, e la mia, si sta dando la forza di opporsi, di uscire dal proprio “particulare”, dall’individualismo etico che da decenni tenta di colonizzare l’immaginario sociale dell’opulento – per quanto ancora? – Occidente. “Aiutati che Dio ti aiuta”, un motto che è la negazione della politica. Ed è pensando alla gioventù del presente che mi propongo di individuare i passaggi che, negli ultimi trenta anni, hanno minato la salute costituzionale della nostra Repubblica. È un invito a non sottovalutare la storia del nostro paese, e le ragioni di leggi e scelte che, nel tempo, hanno indebolito il Parlamento e la fiducia nelle Istituzioni. E c’è un peggio che può arrivare.
È opportuna una riflessione critica che riguarda anche chi scrive. Non sempre ho visto in alcuni passaggi puzza di bruciato. Trovo necessario risistemare qualcosa nella mia memoria, riguardando e giudicando in modo diverso. Credo che fare i conti con la propria storia sia una buona pratica. Un metodo da tenere sempre vivo.
Che i fondamenti della nostra Repubblica siano sotto attacco, è evidente. Ed è un attacco frontale che costituzionalisti, politologi e giuristi quotidianamente denunciano. Ma non tutto ha avuto inizio nel settembre del 2022. Ci sono, appunto, precedenti, da ricordare e interpretare. Autonomia differenziata, premierato elettivo, magistratura controllata, non sono fulmini a ciel sereno e non piovono dal cielo.
Domenico Gallo, già magistrato e ottimo conoscitore della nostra storia, nell’introdurre un recente convegno del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, dedicato a una analisi critica dell’Autonomia Differenziata e del Premierato elettivo, individua il punto di partenza in parole dette e rivolte al Parlamento da Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica, nel 1991. Ne ho viva memoria. Lo chiamammo “il picconatore”, perché prese a picconate tutto, la Costituzione, ormai ferro vecchio – disse -, i partiti, la magistratura, il sistema elettorale. Tutto era da cambiare e, per farlo, si doveva dar vita a una nuova Assemblea Costituente. Il segretario dell’allora Pds, allarmato, propose, senza successo, l’impeachment del Presidente. Era cosa grossa che un Presidente, con voce stentorea, dicesse al Parlamento cosa doveva fare. La proposta di Occhetto non ebbe seguito. Neppure l’Assembela Costituente.
Ma ebbe inizio un viaggio attraverso le Istituzioni che ora si sta avvicinando a un ultimo atto. Seguirono subito modifiche al sistema elettorale. Ci fu un referendum per ridurre ad una sola la preferenza nella scheda elettorale. Trovai la cosa opportuna e ancora la considero tale. Craxi disse che, nel giorno del voto, era meglio andare al mare. Andammo a votare in gran numero e si raggiunse bene il quorum. Il passo successivo, fu la modifica della legge elettorale. Una delle ragioni allora sostenute fu la necessità di rendere più forti e durevoli i governi. La nuova legge elettorale fu il cosiddetto Mattarellum, del 1993, un maggioritario con un significativo correttivo proporzionale. Il partito nel quale mi trovavo mi convinse che era cosa buona.
La storia successiva mi ha fatto capire che sono stati più i guai, a seguire, che i vantaggi. Ma, se penso alle leggi elettorali successive, il Porcellum di Calderoli, l’Italicum di Renzi, e il Rosatellum di Gentiloni, penso si possa dire che il Mattarellum non era ignobile, e non anticostituzionale, come invece sono stati giudicati dalla Corte Costituzionale il Porcellum e l’Italicum. Il Rosatellum non è ancora arrivato alla Corte, ma autorevoli Costituzionalisti e giuristi lo hanno da tempo dichiarato incostituzionale. Quindi, è dal 2005 che il popolo italiano vota in obbedienza a una legge elettorale anticostituzionale. C’è un nesso con l’astensionismo crescente? Ne sono convinta. Il voto libero non esiste più. Allora, perché votare? Non votare è una scelta che non solo chi è indifferente compie. È una scelta che anche giovani arrabbiati fanno. Ormai vota circa la metà del corpo elettorale. Ne faccio parte. Ma credo che chi pensa che le Istituzioni non siano da cancellare, dovrebbe soprattutto interrogarsi sul perché di questa drammatica cesura.
Ma il secondo snodo, la cui gravità si è palesata nel tempo, è stata la riforma del titolo V della Carta, nel 2001. Un riforma pesante, che affida al governo delle Regioni che le chiedono molte materie. Mi accorsi, allora, di questo potenziale disastro? Di nuovo, no. Non mi accorsi che l’inutile rincorsa della Lega, per sottrarle la minacciata “secessione del Nord”, apriva una stagione di incertezze. In primo luogo, un continuo contenzioso Stato Regioni, un vero stillicidio. Fino ad arrivare alla richiesta di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, nel 2018, di avere la propria piena autonomia in tante o tutte le materie.
Un disastro iscritto nella Riforma del 2001, fatta da un governo che, per quanto non fosse entusiasmante, non era paragonabile, dal mio punto di vista, a molti dei governi futuri. Un disastro non voluto. Ma con quale miopia, o navigazione a vista, fu possibile una riforma potenzialmente devastante? Col senno di poi, una vista più accorta ci dice che da tempo una bussola si era perduta. E si è perduta proprio nel pensare che governare, costi quel che costi, è la ragion d’essere della politica. E la visione del mondo? E il che fare?
Un altro snodo, di pochi anni successivo, confermò che il vero ostacolo per forze in quel momento al potere era questa Costituzione, con una legge elettorale di nuovo da cambiare, e una riforma costituzionale che spostasse poteri dal Parlamento al Governo. Ricordo le battute di Berlusconi in merito. “Questa è una Costituzione bolscevica. È un inferno governare con questa Costituzione”. Quindi stracciamola. Riuscimmo in quel caso, promuovendo un referendum abrogativo, guidati da Oscar Luigi Scalfaro, a convincere il popolo italiano a dire di NO. Aprimmo così la strada a un possibile nuovo corso politico, il secondo governo Prodi. Di nuovo di breve durata.
E il declino della Repubblica ricominciò. Con l’aiuto di forze finanziarie di rango mondiale che si misero d’impegno a dare suggerimenti ai paesi del Mediterraneo, come l’Italia, che avevano Costituzioni troppo antifasciste. Domenico Gallo lo ricorda, molto opportunamente. L’Italia non è un’isola separata dal mondo. Molto di quello che si muove nel mondo ci condiziona. Così troviamo scritto nel 2013 – dopo la fine dell’era berlusconiana, la breve parentesi di Monti, un tecnico appassionato di conti più che di politiche sociali, la altrettanto breve parentesi del governo Letta -, in un documento, più politico che finanziario, che spiega molto della nuova riforma costituzionale proposta da Renzi.
Infatti, una potente Società finanziaria di New York, la JP Morgan, diede la linea. Sono dannose le Costituzioni che hanno esecutivi deboli, che garantiscono tutele ai lavoratori, che garantiscono il diritto alla protesta, che danno ai Parlamenti troppi poteri. Dannose per chi? Il campanello passa da Letta a Renzi che, con grande sollecitudine, obbedisce a JP Morgan. Viene predisposta una riforma costituzionale, che il giurista Felice Besostri definì subito DEFORMA, che spostava poteri dal Parlamento al governo, delineando quello che costituzionalisti come Alessandro Pace, che ci guidò in questo nuovo impegno referendario, definirono allora un tentativo di Premierato assoluto. Fu una campagna referendaria difficile. Ci si opponeva non più a un governo Berlusconi, ma a un governo guidato dal segretario del Pd. Grande fu lo sconcerto in buona parte dell’elettorato di sinistra. Vincemmo il referendum, nel 2016, per la diffusa antipatia verso il governo Renzi da parte delle forze politiche e nel paese, e quindi non solo per quelle che considero le nostre buone ragioni nel dire NO.
Buone ragioni che furono poi sconfitte, in seguito, con il referendum che tagliò il numero dei parlamentari, nel 2020. Fu un ulteriore indebolimento del Parlamento, presentato come luogo occupato da scansafatiche, anziché come luogo di rappresentanza. Molte persone da tempo astensioniste nelle competizioni elettorali, in quel caso andarono e votarono per il taglio. Un grave segno di disprezzo, che confuse – e temo ancora oggi possa confondere – le deludenti prove di chi sedeva in Parlamento con il valore repubblicano e costituzionale del Parlamento. Il Pd, contrario al taglio, fu invece, come spesso è accaduto in questi decenni, donatore di sangue per sostenere il governo, in quel momento giallo rosso, promettendo una immediata riforma elettorale, di cui non abbiamo visto taccia.
Per concludere, siamo ora all’ultimo atto del declino della Repubblica parlamentare? Se, come sostiene Domenico Gallo, Autonomia Differenziata e Premierato elettivo diventano legge, sulla nostra Repubblica si abbatte una “tempesta perfetta”. Sarebbe un disastro dovuto a colpe che vengono da lontano. Ma non colpevole è la gioventù nata trenta anni fa, o meno. È a loro che chiediamo di occuparsi, insieme alle tempeste del cambiamento climatico, che ha colpevoli che in molti casi si sovrappongono ai colpevoli di annunciati ribaltamenti della Repubblica parlamentare, anche agli imminenti fulmini contro la Costituzione e di percorre con noi la stessa strada, per salvare la Costituzione. Ricordare che è una Costituzione scritta per differenza rispetto al fascismo rischia, per chi la storia la conosce, di essere una ovvietà.
Una ovvietà per la mia generazione. Abbiamo avuto nonni e genitori che il fascismo lo hanno raccontato parola per parola, atto per atto. Oggi, per dare all’antifascismo un senso, e per spiegare alla gioventù il nostro essere antifascisti, è necessario esserlo, con azioni coerenti. L’antifascismo è vivo, più di quanto chi governa pensi. Lo abbiamo visto, prima e dopo il 25 aprile, a Milano e in tutta Italia. In piazza del Popolo, a Ravenna, eravamo in grande numero, come non si vedeva da tempo. La banda, nel finale, ha suonato Bella Ciao, come non accadeva da tempo. Il problema che urge, oggi, è convincere il popolo antifascista che l’agire politico ha emergenze democratiche da non sottovalutare.
Oggi, mentre scrivo, sta arrivando in aula per l’ultima e definitiva lettura la legge Calderoli. Se approvata, da domani Zaia – anche altri? – chiede di avere tutti i poteri, su tutto, scuola compresa. Un paese piccolo come l’Italia, di unificazione molto recente, che ha unità linguistica solo da meno di due secoli, può diventare, da una parte, un illeggibile coacervo di piccole patrie, già rese diseguali dalla storia. L’Autonomia differenziata aumenterebbe le disuguaglianze, a vantaggio delle Regioni ricche. E, dall’altra, se il Premierato elettivo arriva a destinazione, un contraddittorio accentramento dei poteri che il popolo affida a un capo, rende il Parlamento una cassa di risonanza di volontà governative e il Presidente della Repubblica figura ornamentale, in obbedienza a JP Morgan.
È in questo frangente, nei prossimi mesi e anni, che si vedrà se popolo antifascista e partiti che si definiscono tali saranno coerenti con il loro definirsi tali. Essere con chi vuole ridare piena dignità al lavoro, con chi ha con coerenza cura della vita sul pianeta, con chi rispetta il corpo e la libertà delle donne, e di tutti, con chi vuole carceri che aiutino a rivivere, e che non siano un inferno e con chi ritiene che i diritti umani non siano una futile ingenuità di sognatori fuori dal mondo. Tutto questo è scritto con chiarezza in molti articoli della Costituzione, che chi governa oggi comprensibilmente non ritiene essere cosa propria.
A proposito di antifascismo, non mi ritrovo nel coro di chi quotidianamente chiede a chi antifascista non è di definirsi tale. Perché, se non lo sono? Che valore avrebbe? L’Italia fu all’avanguardia nell’invenzione della Commedia dell’arte, ottima cosa sulle scene, pessima nello spazio pubblico, nelle propagande, nelle Istituzioni.