LA LOTTA CONTRO L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA NON SI CHIUDE AL SENATO
Di Alfonso Gianni per Sinistra Sindacale
Il 23 e il 24 gennaio il Senato ha prima approvato il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata e successivamente ha bocciato la proposta di legge di iniziativa popolare (Lip), promossa e sostenuta dal Coordinamento per la democrazia costituzionale, che intende modificare parti del Titolo V della Costituzione introdotte nel 2001 dal centrosinistra di allora. L’esito non costituisce una sorpresa, visto che l’attuale legge elettorale – pessima e incostituzionale – ha regalato alle destre una maggioranza assoluta in Parlamento che esse non hanno nel paese.
Come se non bastasse, le forze di governo sono ricorse ad evidenti forzature del regolamento e della logica politica-istituzionale. Infatti, l’articolo 74 del regolamento del Senato prevede che le proposte di legge di iniziativa popolare debbano essere discusse entro tempi certi. Questi sono stati ampiamente superati, senza che la commissione di merito avesse proceduto all’esame della Lip, che è così giunta nel suo testo originario in aula. Ove però si è realizzato un ulteriore strappo al buon senso e alla logica politica. Infatti la Lip, essendo di rango costituzionale, avrebbe dovuto precedere la discussione e la votazione del ddl Calderoli, legge ordinaria, mentre è successo il contrario. Cosa assurda dal momento che il presupposto del ddl Calderoli era il mantenimento del testo costituzionale che la Lip voleva modificare.
L’arroganza della maggioranza non conosce limiti, come ben sappiamo. Comunque è stato importante portare la Lip alla discussione in Parlamento. Perché la raccolta delle 106mila firme – il doppio del necessario – ha permesso di aprire una discussione nel paese; perché il Parlamento ne è stato pienamente investito; soprattutto perché il voto finale a favore della Lip ha visto unite le opposizioni dall’Alleanza Sinistra-Verdi a Italia Viva, passando per i 5Stelle e il Pd. Cosa tutt’altro che scontata. Quindi anche coloro che appoggiarono l’avventata riforma del titolo V nel 2001 si sono ricreduti alla prova dei fatti.
Ora la lotta deve continuare. In primo luogo alla Camera, ove le opposizioni potranno rendere tutt’altro che indolore il passaggio del ddl Calderoli. Ma soprattutto per altre due importanti possibilità. Come ha sottolineato anche l’ex presidente della Consulta, Ugo de Siervo, saranno possibili, appena la legge entrerà in vigore, ricorsi alla Corte Costituzionale, in via principale da parte di una o più Regioni, visto che i profili di incostituzionalità nel ddl Calderoli non mancano. Una volta varata la legge, si apre la strada per un referendum abrogativo, cui hanno fatto esplicito riferimento anche dichiarazioni di voto al Senato. Conosciamo l’obiezione che verrà opposta alla fattibilità di un simile referendum, cioè il fatto che il ddl Calderoli è stato presentato come un collegato alla legge di bilancio, sia per contrarre tempi e modalità della discussione, sia per prevenire percorsi referendari, dal momento che lo stesso dettato costituzionale non permette referendum su leggi tributarie e di bilancio.
È tuttavia assai discutibile che la legge Calderoli rientri in questa fattispecie, dal momento che in un suo articolo essa esclude maggiori oneri per lo Stato. In presenza di una invarianza di spesa, il collegamento al bilancio appare quindi puramente formale e strumentale. In ogni caso sarà la Corte Costituzionale a decidere. Ciò avverrà dopo la raccolta delle firme, e se queste giungeranno in modo ben superiore alle 500mila comunque necessarie, saranno un ottimo deterrente contro decisioni poco coerenti con la volontà popolare.
La maggioranza ha realizzato un baratto tra le sue componenti: quello che dà al partito della Meloni il premierato, alla Lega l’autonomia differenziata e, forse, a Forza Italia la cosiddetta riforma della giustizia. Il referendum sul premierato appare inevitabile sia perché l’attuale maggioranza non raggiunge i due terzi del Parlamento – condizione necessaria per evitare il referendum confermativo – a meno di defezioni dalle opposizioni, sia perché è nella logica stessa della presidente del Consiglio, che ha bisogno di un’investitura popolare diretta e rafforzata per mettere in atto il suo disegno di dare vita a una Terza Repubblica non più fondata sulla Resistenza e i suoi valori.
L’eventualità di un abbinamento di due referendum, quello sul premierato e quello sull’autonomia differenziata, dipenderà dai tempi della discussione delle rispettive leggi – quella sul premierato, essendo di carattere costituzionale, richiede una doppia lettura da parte delle due camere – ma anche dal clima politico che si determinerà nei prossimi mesi.
In ogni caso, poiché tanto l’autonomia differenziata quanto il premierato avranno conseguenze dirette, se realizzati, sulla vita delle persone e sul mondo del lavoro, il sindacato, come già è avvenuto nella raccolta delle firme sulla Lip, sarà chiamato in prima persona in questo scontro, il cui esito è destinato a segnare le sorti del nostro paese e delle sue istituzioni democratiche.