Il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità il disegno di riforma costituzionale presentato dalla Ministra Elisabetta Casellati (Introduzione dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia). Nella conferenza stampa il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha magnificato l’iniziativa qualificandola come “la madre di tutte le riforme”. Si tratta, ha precisato la Meloni: “di una riforma costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio e garantisce due obiettivi che dall’inizio ci siamo impegnati a realizzare: il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici (.) il secondo obiettivo è garantire che chi viene scelto dal popolo possa governare con un orizzonte di legislatura”. A detta della Meloni, la riforma non incide sui poteri di garanzia del Presidente della Repubblica e sul ruolo del Parlamento. A questo punto possiamo considerare definitiva la bozza Casellati che, con soli cinque articoli, apparentemente realizza un intervento di portata limitata, ma in realtà devasta i principi della democrazia costituzionale sui quali si basa l’ordinamento della Repubblica italiana. Dalla lettura del testo risulta evidente che l’elezione diretta del Presidente del Consiglio non attribuisce maggiori poteri ai cittadini italiani, mortifica ancora di più la rappresentanza parlamentare, neutralizza i poteri di garanzia del Presidente della Repubblica e non assicura maggiore stabilità al sistema politico.
L’elezione diretta di un organo individuale posto al vertice del sistema di Governo è di per sè fonte di conflitto potenziale con gli organi della rappresentanza politica, qualora non ci sia piena assonanza fra la maggioranza parlamentare uscita dalle urne ed il Capo del Governo scelto dagli elettori. Non potendo risolvere diversamente questa contraddizione, che mina alla base l’obiettivo della governabilità, la riforma resuscita il “porcellum” irrigidendolo con il crisma della costituzionalità.
La riforma, infatti, prevede che l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengano “tramite un’unica scheda elettorale”, quindi esige un sistema elettorale con un premio di maggioranza che garantisca “ai candidati ed alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55% dei seggi nelle Camere”.
A ben vedere il sistema elettorale richiesto da questa riforma costituzionale altro non è che la riedizione del “porcellum”. Infatti si prevede un sistema a turno unico in cui più liste, con un programma comune, sono collegate ad un soggetto indicato come Presidente del Consiglio. Nella competizione elettorale il premio di maggioranza viene attribuito alla lista o alla coalizione che ottiene un voto in più, a prescindere da ogni soglia minima. Il porcellum non consentiva di ottenere direttamente la nomina del soggetto designato come “capo della forza politica” alla funzione di Presidente del Consiglio dei Ministri, perché la Costituzione riservava questo potere al Presidente della Repubblica. Con la riforma Meloni, questo passaggio viene eliminato e la nomina del Presidente del Consiglio esce fuori direttamente dal cilindro di una competizione elettorale strutturata sul modello del “porcellum”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, aveva dichiarato l’incostituzionalità del porcellum nella parte relativa al premio di maggioranza osservando che questo meccanismo, combinato con l’assenza di una soglia minima è “tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto” e aveva bocciato il sistema delle liste bloccate perché coartava la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento. Con la successiva sentenza n. 35 del 2017 la Corte Costituzionale aveva bocciato l’italicum proprio perché il meccanismo del ballottaggio mortificava la rappresentanza.
Adesso con la riforma Meloni il “porcellum” viene costituzionalizzato e non sarà più censurabile dalla Corte costituzionale. Agli elettori non viene concesso il potere di scegliere liberamente il Presidente del Consiglio perché l’elezione avviene in un’unica scheda con i partiti collegati e non sarà nemmeno la maggioranza degli elettori a decidere chi deve essere eletto. Nelle ultime elezioni svolte con il porcellum, nel 2013, il premio di maggioranza scattò a favore di una coalizione che aveva ottenuto meno del 30% di voti popolari. Con la riforma si potrà eleggere un Presidente del Consiglio anche con il 20/30% di voti popolari. Rimane poi un inconveniente insuperabile che deve essere sfuggito ai nostri sagaci riformatori: le Camere sono due. Nessun trucco elettorale, nessuna manipolazione può garantire che una stessa maggioranza prevalga sia al Senato che alla Camera dei deputati. Cosa succede se nelle elezioni della Camera i cittadini fanno prevalere la coalizione a cui è collegato il candidato Caio, mentre al Senato gli elettori fanno prevalere la coalizione a cui è collegato il candidato Sempronio?
L’ulteriore conseguenza della (semi)investitura popolare del Capo del Governo è che viene notevolmente ridimensionato il ruolo del Parlamento. Infatti viene svuotato di significato il principio del controllo del Governo da parte del Parlamento attraverso l’istituto della fiducia, in quanto il Parlamento deve dare la fiducia al Governo altrimenti viene sciolto. In questo modo vengono sottratti al Presidente della Repubblica la nomina del presidente del Consiglio e lo scioglimento anticipato delle Camere. Sono poteri che attengono ad una importante funzione di mediazione fra le forze politiche, che fanno assumere al Presidente un ruolo di arbitro, indispensabile per moderare i conflitti politici ed evitare che possano degenerare.
In definitiva viene contraddetto il principio democratico che pone un Parlamento liberamente eletto al centro del sistema di democrazia prefigurato dalla Costituzione in quanto espressione della sovranità popolare. In sostanza la riforma realizza una truffa a danno dei cittadini italiani ai quali viene data l’illusione di poter contare di più proprio nel momento in cui si restaurano vecchi meccanismi che soffocano la volontà popolare e sfigurano le istituzioni democratiche.
E’ di tutta evidenza che il ritorno al porcellum non avvicina i cittadini al palazzo, ma li allontana.