Medici per l’ambiente, Medicina Democratica, Cittadinanzattiva, l’associazione Slow Medicine e l’Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) hanno promosso una presa di posizione pubblica sulla paventata ipotesi di regionalismo differenziato. In un documento vengono messe in luce tutte le criticità, riguardanti ben 24 materie che sono state riconosciute di potestà legislativa concorrente con lo Stato.
Il documento:
“Con le modifiche al Titolo V della Costituzione introdotte dal Governo Amato nel 2001, si è aperta la possibilità per le Regioni di attivare ‘ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia’ riguardanti ben 24 materie che sono state riconosciute di potestà legislativa concorrente con lo Stato e tra le quali spiccano la tutela e sicurezza sul lavoro, l’istruzione, la produzione il trasporto e la distribuzione dell’energia e, ancora, la tutela della salute e il governo del territorio – si afferma nel documento -. Attualmente il Ddl Autonomia mira a rendere operativa questa possibilità di Regionalismo Differenziato (o Autonomia Differenziata) ed è di qualche giorno fa il ‘via libera’ al provvedimento da parte della Conferenza Stato-Regioni, con gli unici voti contrari di Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Campania. Mentre le prime regioni a statuto ordinario a richiedere l’autonomia differenziata, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, sono state, già nel 2017, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna”.
“È bene sottolineare che, qualora la proposta fosse approvata dal Parlamento, si innescherebbe una via di non ritorno, in quanto l’annullamento degli effetti della legge sarebbe subordinato all’accettazione di tale annullamento proprio da parte delle Regioni che avessero voluto l’autonomia. Eventualità del tutto irrealistica – si sottolinea -. L’associazione Medici per l’Ambiente (ISDE-Italia), Medicina Democratica, l’associazione Cittadinanzattiva, l’associazione Slow Medicine e l’Associazione dei Medici di Origine Straniera in Italia (Amsi) sono fortemente contrari al Regionalismo Differenziato sia per le ricadute sanitarie che per quelle ambientali. Aspetti che, tra l’altro, sarebbero destinati a influenzarsi reciprocamente in maniera del tutto negativa. La forma di regionalismo sanitario già attualmente presente ha, di fatto, di per sé già minato il SSN per come è stato concepito dalla legge 833 del 1978, mentre la recente pandemia ha chiaramente dimostrato come la sanità su base regionale non sia stata in grado di rispondere efficacemente ad un’emergenza nazionale in nessuna parte del Paese. E ciò in alcune regioni per motivi strutturali, in altre per scelte sbagliate di strategia sanitaria, orientate alla privatizzazione della sanità, incentrata sugli ospedali e accompagnata dallo smantellamento della sanità territoriale a causa del suo scarso appeal economico”.
Per le associazioni, “logica risposta alle evidenze mostrate dalla pandemia avrebbe dovuto essere eventualmente il ritorno ad un Sistema Sanitario Nazionale unico e unitariamente governato, non certo l’accelerazione della sua disgregazione attraverso il Regionalismo Differenziato. Le autonomie locali – non differenziate! – devono essere uno strumento che faciliti l’erogazione dell’assistenza e non un ostacolo per l’universalità e l’equità del SSN; a tutti i cittadini va garantito il diritto alla salute indipendentemente dalla propria fascia economica e regione di residenza, in ossequio agli articoli 3 e 32 della nostra Costituzione. Il Regionalismo differenziato finirà, al contrario, per legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini. Già oggi i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) risultano insufficienti prevalentemente nell’area Centro-Sud dell’Italia, rispetto al Nord del Paese. Ma l’attuale regionalizzazione del sistema sanitario ha fatto sentire la sua negativa influenza anche nell’ambito della concentrazione degli operatori sanitari nelle varie aree del Paese. Il fenomeno della migrazione sanitaria, le migliori condizioni di lavoro e le differenze di remunerazione legate alle voci variabili dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro hanno reso più grave al Sud la carenza di personale sanitario, soprattutto per alcune specialità. Situazione destinata a peggiorare ulteriormente quando aumenterà, irreversibilmente, il divario, tra regioni ricche e regioni che ricche non sono, delle risorse economiche destinate alla sanità”.
Altro aspetto meritevole di sottolineatura, in quanto utilizzato di frequente strumentalmente, a sostegno del Regionalismo Differenziato è quello riguardante i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). “Si tratta dei diritti civili e sociali che l’articolo 117 secondo comma, lettera m) della Costituzione della Repubblica Italiana vuole che vengano garantiti su tutto il territorio nazionale. La garanzia, cioè, per gli italiani di essere trattati allo stesso modo, ovunque residenti, nei diritti civili e sociali. I Lep devono a tutt’oggi ancora essere precisamente definiti e, soprattutto, adeguatamente finanziati, con risorse attualmente tutte da reperire. In ogni caso, l’iterativo collegamento tra i Lep e il Regionalismo Differenziato appare del tutto infondato e strumentale, trattandosi di due aspetti assolutamente autonomi ed anche dal diverso ‘peso’ costituzionale. Infatti, alla doverosa obbligatorietà dei Lep, fa da contraltare quella che è solo una mera possibilità, quella del Regionalismo Differenziato. Da perseguire con determinazione i primi, da evitare assolutamente il secondo”.
Ma il pari diritto alla salute di tutti i cittadini italiani subirebbe un altro duro colpo per un aspetto di cui troppo raramente si parla e che le associazioni promotrici del presente documento hanno particolarmente a cuore. “Quello della prevenzione primaria attraverso gli interventi sui determinanti ambientali di salute – si sottolinea -. Si tratta dei fattori che attraverso l’inquinamento ambientale determinano a livello globale – come ci informa l’Organizzazione Mondiale della Sanità – circa un quarto delle patologie dell’adulto e addirittura un terzo di quelle dei bambini sotto i cinque anni. Una riforma quale quella prevista dal Regionalismo Differenziato, con l’esasperazione del divario economico tra regioni ricche e regioni povere, determinerebbe, per queste ultime, l’impossibilità di un adeguato governo del territorio e dell’ambiente, cancellando la necessaria omogeneità di intervento sui determinanti ambientali di salute su tutto il territorio nazionale. Con l’inevitabile ricaduta di una maggiore incidenza di patologie ambiente correlate nelle regioni a minor reddito”.
“n analogia con quanto avviene nel sistema sanitario, inoltre, la legge 28 giugno 2016, n. 132, che ha istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA), prevede che il Sistema ‘attua i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali (LEPTA)’ e che il livello qualitativo e quantitativo di attività debba essere garantito in modo omogeneo sul piano nazionale. La legge stabilisce anche che i Lepta e i criteri di finanziamento per il raggiungimento dei medesimi ‘sono stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore della stessa legge’, cioè il primo gennaio 2017. Decreto che ancora è di là da venire. È evidente come la mancata applicazione della legge, continui a trascinare la situazione di notevole disomogeneità di attività da parte delle agenzie per la tutela ambientale nelle varie zone del Paese, e costituisca un forte limite al loro funzionamento, in assenza di una fonte certa e univoca di finanziamento, in quanto l’assegnazione delle risorse necessarie per il loro funzionamento continua a dipendere dagli orientamenti delle singole regioni”.