Referendum abrogativi sulla giustizia: nasce il “Comitato per il No”
In vista del voto referendario del 12 giugno, nasce il “Comitato per il No ai referendum sulla giustizia”, presieduto dal magistrato Domenico Gallo e composto dallo stesso Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Mauro Sentimenti, Massimo Villone, Armando Spataro, Mauro Beschi, Silvia Manderino, Antonio Pileggi, Alfonso Gianni e Pietro Adami.
Un comunicato diramato il 19 aprile dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale (CDC) ribadisce la contrarietà all’accorpamento, nello stesso giorno del 12 giugno, del voto referendario e di quello amministrativo, che coinvolgerà 981 Comuni, di cui 26 capoluoghi di Provincia e di Regione: l’election day rappresenta «una scelta sbagliata perché confonde tematiche diverse impedendo un serio dibattito per favorire una scelta consapevole dei cittadini».
Nello specifico, poi, non piacciono i cinque quesiti proposti da Lega e Radicali (inizialmente i quesiti sulla giustizia erano sei, ma poi la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile quello sulla responsabilità diretta dei magistrati). Innanzitutto perché «non sono di facile comprensione»; ma anche e soprattutto perché, «anziché migliorare i diritti e le domande di giustizia, esprimono una diffidenza nei confronti del lavoro dei magistrati e del controllo della legalità».
Il “Comitato per il No”, si legge in chiusura del comunicato, si dice «aperto alla partecipazione di tutte le persone e lavorerà insieme a quelle forze che vogliono impedire che sia colpita l’autonomia dell’amministrazione della giustizia e quindi l’uguaglianza e i diritti delle persone».
I 5 quesiti e le 5 ragioni del No
Riforma del Consiglio Superiore della Magistratura: «Il quesito sulle modalità di presentazione delle candidature dei magistrati per le elezioni del Csm e quello sulla partecipazione dei membri laici (avvocati e professori universitari) alla redazione delle “pagelle” dei magistrati sono del tutto irrilevanti ai fini di un migliore funzionamento della giustizia per i cittadini».
Separazione delle carriere dei magistrati tra chi indaga e chi giudica: «Il quesito sulla divisione delle carriere tra Pubblici ministeri e giudici avrebbe l’unico effetto di allontanare il Pubblico Ministero dalla cultura della giurisdizione, schiacciandolo su un’attività di polizia. Non a caso è un antico cavallo di battaglia della destra berlusconiana».
Custodia cautelare durante le indagini e prima del processo per i rischi di reiterazione del reato: «Il quesito sulla custodia cautelare è riferito a tutte le misure sia coercitive che interdittive e quindi è ingannevole. Esclusi i delitti di mafia e quelli commessi con l’uso delle armi, l’effetto sarebbe quello di impedire la custodia cautelare non solo per chi ha commesso reati gravi, ma anche l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge violento o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona vittima di atti persecutori».
Abrogazione della parte della Legge Severino su incandidabilità, inelegibilità e decadenza dagli incarichi per i politici condannati per reati gravi: «Il quesito sull’abrogazione della legge Severino è particolarmente odioso perché abroga l’intera disciplina riguardante la decadenza e l’incandidabilità degli eletti condannati con sentenza definitiva a una pena superiore a due anni. Il caso Berlusconi, appunto. È la bandiera della rivolta contro la legalità da parte di un certo ceto politico legato ai potentati economici».