Non è vero che la guerra non ha alternative. Le alternative sono le soluzioni diplomatiche, le trattative per raggiungere accordi, le reciproche rassicurazioni per stemperare e risolvere i conflitti (anche quando sembra impossibile), l’impegno a cercare accordi per costruire una pace duratura nel tempo. Un cattivo accordo è sempre meglio della guerra migliore che, come è ben noto, è una realtà che non esiste perché porta morti, feriti, distruzioni, bambini segnati dagli orrori che trascina con sé.
La responsabilità di Putin nell’aggressione all’Ucraina è fuori discussione.
L’attacco all’Ucraina è un grave errore politico ed umano, che indebolirà anche la forza dell’azione militare, e non è certo una giustificazione che il governo ucraino abbia continuato a ribadire posizioni come entrare nella Nato che quello russo considerava inaccettabili. L’aggressione non si giustifica nemmeno con le posizioni della Nato e dei suoi membri che hanno incoraggiato l’Ucraina a non cercare le modalità per individuare le garanzie per la sicurezza della Russia. Non ci sono giustificazioni per la scelta di Putin di dare il via all’invasione dell’Ucraina e questo purtroppo aprirà un solco profondo politico, umano, culturale, che sarà molto difficile colmare. Eppure occorre provarci, non ci sono alternative, a partire dal cessate il fuoco e dall’avvio di trattative tra le parti coinvolte.
A questo punto è inevitabile che vengano adottate misure di isolamento e pressione verso Putin e il suo governo, come si sta facendo, ma debbono essere finalizzate a risalire dall’abisso della guerra, non ad approfondire il solco. Per cortesia, evitiamo di definire alcune di queste misure di isolamento come “nucleari”, come è per l’esclusione della Russia dallo Swift finanziario mondiale, il sistema mondiale dei pagamenti. Nucleare è un termine che dovrebbe sempre essere preceduto dalla sua negazione, ad esempio da un mai. Nucleare è un termine che va evocato solo per ribadire senza ambiguità che mai si dovrà ricorrere all’olocausto che porterebbe a distruggere gran parte del genere umano. L’evocazione delle tragedie di Nagasaki e Hiroshima deve sempre accompagnarci. Attenzione alle parole che usiamo.
L’unica posizione possibile sull’uso delle armi nucleari è: MAI! Putin ha fatto un altro grave errore dichiarando l’allerta degli armamenti nucleari della Russia, non avrebbe mai dovuto evocare questa possibilità, nemmeno come ventilata minaccia. Questo va chiarito perché nella ricerca delle misure per contrastare l’aggressione all’Ucraina mai si dovrà nemmeno pensare di ricorrere a queste armi.
Questa situazione drammatica ci impone di comprendere che per troppo tempo il tema degli armamenti nucleari è stato sottovalutato, mentre è indispensabile rilanciare una iniziativa di riduzione bilanciata degli armamenti. Trump ha la responsabilità di avere abbandonato la via degli accordi per controllare e ridurre le armi nucleari. Ora questo obiettivo deve tornare al centro delle nostre iniziative. Rischia di essere incomprensibile che sia in corso una lunga e complicata trattativa con l’Iran per evitare che arrivi all’arma atomica e non venga ripreso il percorso di un disarmo bilanciato e controllabile degli armamenti più potenti al mondo.
Per di più le risorse risparmiate nel fermare la corsa agli armamenti potrebbero avere un utilizzo ben diverso, positivo per tutta la società umana. Non è un discorso di circostanza visto che in Italia, come in altri paesi europei membri della Nato, nei prossimi mesi verranno installate – seguendo un programma stabilito da tempo – nuove versioni di armi atomiche, ancora più micidiali. La Nato ha perseguito dallo scioglimento del patto di Varsavia, con diversi Presidenti Usa, il suo allargamento verso est in Europa, contraddicendo promesse ed impegni a non farlo. Alcuni documenti sono stati pubblicati e delle testimonianze lo hanno confermato.
Si è perso di vista che il (lontano) successo politico di Gorbaciov e Reagan fu quello di avviare un processo di controllo e riduzione delle armi atomiche, che avvenivano in un quadro di una nuova fiducia reciproca, ed eravamo ancora in presenza di due blocchi militari contrapposti. Con la fine dell’Urss anche il patto di Varsavia si sciolse e gran parte dei paesi europei che facevano parte di questo patto si resero indipendenti, come fecero anche repubbliche europee interne all’Urss. Sembrava possibile superare la contrapposizione tra i blocchi e creare condizioni di reciproca garanzia. Basta ricordare gli affidamenti forniti quando ci fu il via libera alla riunificazione tedesca, anch’essa resa possibile da un clima di maggiore fiducia.
La Russia, uscita ridimensionata dall’implosione dell’Urss, aveva bisogno di distensione e collaborazione per affrontare una difficile e complessa evoluzione democratica, ma ha prevalso in occidente un atteggiamento che – giustamente – è stato paragonato a quello dell’umiliazione della Germania dopo il primo conflitto mondiale che creò le premesse per il nazionalismo e il risentimento tedesco che favorirono le condizioni per la seconda, tragica, guerra mondiale. L’Occidente, vincitore di fatto sul piano politico ed istituzionale, non ha saputo gestire con lungimiranza la sua vittoria e ha ignorato le preoccupazioni russe per la sicurezza.
La Nato a trazione americana ha scelto di puntare all’isolamento della Russia allargando le sue file a paesi ex sovietici e ad altri della ex Jugoslavia. L’allargamento della Nato ai paesi dell’est Europa che prima erano parte dell’Urss o membri del patto di Varsavia ha creato una cintura che ha creato allarme e insicurezza per la Russia, rafforzando la tentazione di risposte di natura militare come ora con l’aggressione dell’Ucraina.
La prospettiva di fare entrare l’Ucraina nella Nato poteva essere evitata ed essere discussa ad un tavolo per cercare garanzie di sicurezza per tutti sul modello neutrale della Finlandia, perfino la situazione nel Donbass poteva essere affrontata con modelli di autonomia che esistono già in Europa. La proposta di una neutralità dell’Ucraina garantita da un accordo internazionale, per garantirne la sovranità, poteva essere considerata da Nato e Ucraina e probabilmente avrebbe contribuito ad evitare questa guerra, le cui conseguenze già visibili dovrebbero consigliare a tutti di arrivare rapidamente ad un tavolo di trattative per risolvere il conflitto, con un immediato cessate il fuoco, come avvenne 8 anni fa con gli accordi di Minsk che posero fine agli scontri nel Donbass.
Il conflitto non può essere rappresentato come potenze democratiche contro il nemico perché ad esempio, ricordiamolo, la guerra in Iraq fu decisa con un’invasione non legittima, che aveva tra gli obiettivi la fine del regime di Hussein e che ha portato ad un conflitto durato decenni, con tantissimi morti, anche italiani (essendo tra i militari presenti), per di più inventando le prove di armi chimiche inesistenti, come riconobbe Powell più tardi. Né possiamo dimenticare che la Nato ha iniziato ad agire fuori da quadranti europei diventando il braccio operativo di scelte politiche diverse da quelle costitutive, a volte senza un mandato legittimo.
È prevalso un atteggiamento di forza dei paesi della Nato, sottovalutando che alla distensione, alla cooperazione e alla reciproca comprensione non ci sono alternative. È in questo spazio politico che Putin ha fatto le sue “fortune” politiche cavalcando nazionalismo e frustrazioni, arrivando a questa terribile e orribile scelta di invadere l’Ucraina per imporre con la forza i suoi obiettivi. Resistere è il modo per impedire che la via delle armi sia vincente, ma bisognerà tornare a trattare, a confrontarsi e ci si troverà di nuovo di fronte al problema di prima, con in più un carico di morti e distruzioni che renderanno tutto ancora più difficile. Eppure non c’è alternativa a discutere, trattare, trovare soluzioni di reciproca garanzia, mentre in troppe occasioni usare i muscoli è sembrato prevalere.
Sarà un lavoro difficile, lungo, ma che non ha alternative.
Anche le sanzioni vanno scelte attentamente e appena sarà possibile dovranno lasciare il campo alla creazione di una nuova realtà politica comune di fiducia che va reinventata. Nell’immediato la proposta di rinviare i tempi del patto di stabilità di fronte ai contraccolpi che creeranno le sanzioni e alle difficoltà energetiche è assolutamente necessario diventi realtà per evitare che geli una ripresa economica insufficiente e che ha bisogno della distensione nel mondo. Le sanzioni possono essere inevitabili ma i loro effetti non vanno sottovalutati. Sono scelte che colpiscono, almeno in parte, anche chi le fa e quindi vanno usate quando è inevitabile e solo per il tempo necessario. Tra le sanzioni la più forte è certamente l’esclusione delle banche russe dal sistema Swift dei pagamenti che consente le transazioni, le attività bancarie.
Altro aspetto rilevante è la confusione sulle questioni energetiche. Certo il gas naturale e il petrolio sono da tempo con prezzi in rialzo, creando problemi rilevanti alle economie più dipendenti come l’Italia. È chiaro che la guerra in Ucraina crea ulteriori tensioni. Se venisse coinvolto il gasdotto che attraversa l’Ucraina ci sarebbero gravi preoccupazioni per i rifornimenti. Riprendere e rafforzare l’estrazione di gas fossile nel nostro paese può essere al massimo utile transitoriamente, ma non è certo una risposta risolutiva, né strutturale per sostituire il 40% dell’approvvigionamento di gas dalla Russia.
Così sarebbe una sconfitta scegliere di rilanciare il carbone per produrre energia elettrica al di là di una congiuntura straordinaria come questa. L’asse fondamentale della politica energetica deve restare quello di procedere verso il mantenimento dell’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, quindi occorre più che mai procedere a tappe forzate verso le rinnovabili, incrementando la loro crescita con piani precisi, con incentivi e con iter di approvazione veramente veloci. Anzitutto fotovoltaico ed eolico ma senza trascurare gli altri settori, usando tutti gli spazi possibili.