Si riaffacciano, periodicamente, in Italia, le tentazioni presidenzialiste. Uno degli argomenti su cui si fa leva, è quello per cui l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, renderebbe il sistema più democratico.
Vale però la pena di affrontare il tema con attenzione, per verificare se, davvero, il presidenzialismo sia un modello che si prospetta, nel futuro, come evoluzione naturale della democrazia, o se invece al contrario sia un relitto del passato, ed un modo strutturalmente superato di articolazione dei poteri in un sistema democratico.
Si può cominciare con il ricordare che la riflessione sulle forme di democrazia è immediatamente accompagnata dall’esigenza di frammentare la concentrazione del potere in un solo individuo.
Il principio di separazione dei tre poteri dello Stato risale al ‘700, a Montesquieu, che scrivendo dello spirito delle leggi, affermava come ogni funzione statale (legislativa, amministrativa e giudiziaria) debba essere esercitata da organi diversi, in modo che “il potere arresti il potere”. Montesquieu traeva spunto, peraltro, da pensatori precedenti. Il filosofo Locke, aveva distinto tra funzione legislativa, esecutiva e federativa (relativa ai rapporti di politica estera).
Il principio di separazione dei tre poteri canonici, ha portato le democrazie occidentali, in linea di massima, a prevedere l’indipendenza della magistratura, ed a separare l’organo di vertice dell’amministrazione (ossia il Governo) dal Parlamento, cui è attribuita la funzione legislativa
Oltrepassate le soglie del nuovo millennio, occorre però chiedersi, se davvero i poteri da tenere separati siano solo tre. E conviene particolarmente chiederselo, nel momento in cui, ancora una volta, l’Italia ha rieletto il Presidente della Repubblica, e sono in corso le celebrazioni, negli Usa, dei tristi fatti del gennaio 2021, quando i manifestanti pro Trump assalirono il congresso degli Usa per cercare di impedire la transizione presidenziale.
Rileggendo a mente fredda quei fatti, ci si accorge del principale problema della democrazia americana, e più in generale del sistema presidenziale. Manca un arbitro che sia al di sopra delle parti, il cui unico compito sia quello di far rispettare le regole. Quando Trump annunciava che non avrebbe lasciato il potere, nessuno, sopra di lui, poteva richiamarlo all’ordine. Il presidente americano è capo dell’esercito (Commander in Chief), è vertice delle istituzioni, ed è anche il capo del governo, quindi non ha nessuno sopra di lui. Peraltro, nomina i vertici della Corte Suprema, ossia il massimo organo giudiziario USA.
Si comprende allora come, in una democrazia matura, vi sia un ulteriore, fondamentale potere, che merita riconoscimento e tutela, ed è il potere attribuito agli organi deputati al mero rispetto delle regole costituzionali.
In termini teorici, si può discutere se questo sia un quarto potere, se sia la somma di tutti gli altri, se sia un potere neutro o meno, così come si discute se il bianco sia un colore, o la compresenza di tutti i colori.
Ciò che rileva è che questo ruolo di Garanzia, e di vigilanza, è essenziale nella democrazia moderna, perché la garantisce nella sua sopravvivenza. Tuttavia non si attiva solo nei momenti più drammatici, ma si esplica nel quotidiano della vita repubblicana.
E’ il potere di definire i conflitti tra gli altri tre poteri, e di spingerli verso il rispetto dei propri confini.
Nel corso dei secoli, le democrazie hanno sviluppato questo potere di Garanzia, a discapito degli altri poteri. Ciò si inscrive in una tendenza più globale che riguarda tutti i poteri, non solo quelli pubblici.
Le riflessioni sulla democrazia matura, per cui potremmo recuperare la definizione di Isonomia (di matrice ateniese), mirano a tracciare un percorso evolutivo: ridurre lo spazio del potere, inteso come scelta arbitraria, per sottomettere ogni, pur minimo, potere, alla regola. E quindi comprimere, bilanciare, frammentare, controllare e regolamentare ogni forma di potere, pubblico o privato, fino a togliergli l’essenza di potere per far emergere l’essenza di funzione.
La democrazia matura è quindi l’era politica in cui la Regola, democraticamente generata, nel compromesso, nella tutela delle minoranze, nel principio di partecipazione, prevale sull’esercizio arbitrario del potere. Tanto colui che è apparentemente sovraordinato (il generale, il magistrato, il proprietario), che colui che è apparentemente sotto ordinato (il soldato, l’imputato, il dipendente) hanno una via segnata e delimitata dallo steccato della norma. Il funzionario pubblico (ma anche privato), a qualunque livello, non può più fare ciò che vuole, ma è tenuto e muoversi all’interno di regole predefinite. In tal modo il potere diviene funzione.
In questo quadro si legge la crescita del potere di Garanzia (o, più correttamente, la funzione di garanzia, perché anche il garante deve agire secondo le regole). La partita democratica trova il proprio arbitro, ed i propri guardalinee. Arbitri sempre contestati, naturalmente, perché è ben noto come i poteri siano allergici ai limiti, alle regole, agli steccati. Ed è proprio per questo che questo quarto potere deve essere tenuto ben vivo, fortificato e separato rigorosamente dagli altri. Arbitro e giocatori non possono coincidere, se non si vuole il ripetersi della tragedia (democratica) americana, e di tanti altri paesi che hanno sottovalutato il tema e sono scivolati verso forme che non possono più definirsi, a rigore, democratiche.
E qui va detto, ancora una volta, che la nostra Costituzione è stata davvero lungimirante e matura. Ha delineato la Corte costituzionale, che è sicura manifestazione di questo potere di Garanzia, e che giudica i conflitti tra i poteri dello Stato, e ha creato la figura apicale del Presidente della Repubblica.
La Costituzione definisce il Presidente della Repubblica “Capo dello Stato” e “rappresentante dell’unità nazionale” (art. 87). Gli attribuisce la funzione di garanzia costituzionale, cioè di preservazione di quel patto fondamentale – la Costituzione – che unisce i cittadini fra loro ed è condizione di quell’unità dell’intera nazione che egli rappresenta. La Corte costituzionale definisce il Presidente “ garante dell’equilibrio costituzionale” (sentenza n. 1 del 2013).
Non può sfuggire, e lo dimostra il sentimento diffuso dopo la rielezione del Presidente Mattarella, come questa figura sia in netta crescita rispetto alle altre. Un soggetto che non rappresenta la maggioranza di governo, né un orientamento partitico. Tuttavia la figura del Presidente della Repubblica non è una fredda figura tecnica, il Presidente non è, e non è visto, come un mero arbitro. Egli viene riconosciuto simbolicamente come portatore degli interessi dell’Istituzione, e del Popolo, come pure del Bene Comune. Un soggetto, quindi, che resta politico, ma che è chiamato a svolgere un ruolo super partes, e che viene tenuto a riparo, saggiamente, dal fango delle accuse incrociate, perché istintivamente i partiti ed i politici sanno che poggiamo tutti su un terreno comune, che può franare.
Il Presidente non è portatore della politica della maggioranza, ma incarna la Repubblica. Questa funzione simbolica è talmente forte, da avere un rilievo nei processi democratici, ed incide financo sul carattere individuale. Si può osservare come, salvi rari casi, chi è stato chiamato a ricoprire la carica presidenziale ha sentito il ruolo, e lo ha interpretato in modo corretto.
In questo contesto è chiaro che, se il Presidente fosse eletto dal popolo, non potrebbe più svolgere un simile ruolo. Le diverse forze proporrebbero i loro candidati, farebbero dure campagne elettorali, anche distruttive degli altrui candidati, fino alla fatidica frase, per cui l’eletto ‘non è il mio presidente’.
E non occorre davvero soffermarsi sul danno che una democrazia subisce, quando una consistente parte dell’elettorato, sente di non avere una figura di rappresentanza nelle istituzioni. La situazione è già critica per effetto di fattori concomitanti che hanno inciso sulla vita democratica. La frammentazione politica ha aumentato il numero dei competitori, la personalizzazione ha imbarbarito il confronto. La lotta politica, in un contesto in cui i social network sono il principale strumento di comunicazione, non ha più argini. Si scava nella vita privata dell’avversario politico e della sua famiglia. Il bersaglio non sono le proposte politiche, ma le biografie personali. Nessuno può salvarsi, perché le accuse sono spesso false ed i fatti distorti. La conseguenza è che una parte, sempre crescente, del popolo, non solo italiano, non trova più modo di riconoscersi in alcun modo nei propri rappresentanti, neanche quando ne condivide, in grandi linee, le idee e le proposte.
In questo contesto, è divenuta sempre più essenziale l’enucleazione del quarto potere, che non è solo Garanzia ma, anche e soprattutto, rappresentanza dell’unità nazionale, non solo dei territori, ma dei cittadini e delle cittadine. E le stesse forze politiche, che in taluni casi dimostrano maturità, hanno percepito che non sarebbe più accettata l’elezione di un Presidente che non fosse frutto di un compromesso su una figura riconosciuta come idonea a svolgere questo tipo di ruolo. In altri termini, per come si è venuta configurando la figura del Presidente della Repubblica Italiana, il compromesso, allargato per quanto possibile, non solo non rappresenta una sconfitta, ma rappresenta la naturale modalità di elezione (corroborata dalla indicazione costituzionale, dei due terzi, richiesti nelle prime tre votazioni).
La riflessione, su questo quarto potere è essenziale. Fondere in un sola figura il ruolo di Presidente della Repubblica e quello di Presidente del Consiglio, o attribuire ruoli di governo attivo al Presidente della Repubblica, non solo non aggiungerebbe nulla, ma sopprimerebbe il ruolo di vigilanza e, ciò che è perfino peggio, la percezione popolare di un Garante, che si fa portatore dell’idea stessa della Repubblica.
La stessa Unione Europea dovrebbe avviare una profonda riflessione costituzionale, e verificare se non sia il caso di introdurre una analoga forma di presidenzialismo parlamentare di Garanzia. Analoga e non identica, perché si potrebbe anche ipotizzare una doppia presidenza di genere, ossia una Presidente donna, ed un Presidente uomo, con identici poteri e compiti. Una doppia presidenza opportuna per ragioni di dimensione territoriale e di decentramento, almeno simbolico, e di avvicinamento ai territori del sud e del nord dell’Unione.
In questo la democrazia ha notoriamente un limite, nella capacità di rappresentarsi con efficacia. Questo quarto potere, attribuito a prestigiosi soggetti, dopo una condivisione tra le diverse forze politiche, è una delle espressioni migliori della democrazia stessa, che può scegliere anche chi la rappresenti simbolicamente ed idealmente. Va quindi difeso, e valorizzato ove possibile.