Forse, prima di un commento sui dettagli tecnico-scientifici cui dovrebbe rispondere la tassonomia europea delle fonti energetiche “verdi”, sarebbe bene concordare sull’obiettivo cui dovrebbe essere destinata: salvarci da eventi climatici sempre più bruschi e disastrosi. Faremmo così un po’ di chiarezza sulle tante obiezioni di natura economica avanzate contro la “fretta” a mettere mano alle rinnovabili come unica fonte di approvvigionamento e sulle improvvise preoccupazioni che assalgono i detrattori del “Green Deal fit for 55 plan”, in seguito ai presunti prezzi da pagare (lacrime e sangue) a carico delle classi più indigenti.
La tassonomia potrebbe – e dovrebbe – rappresentare uno strumento discriminante, il più possibile mirato e costrittivo, per il finanziamento pubblico di attività economiche sostenibili a lungo termine, come l’eolico e il solare, ai fini di una rapidissima riconversione verso il 55% di riduzione di emissioni climalteranti. Gli impianti fossili o nucleari che fossero transitoriamente tenuti in vita anche a seguito di una domanda non sufficientemente ridotta o per mancati miglioramenti dell’efficienza della rete, non possono in alcun modo giustificare il trasferimento di risorse pubbliche al settore “grigio” in cui si trovano. Nei fatti, solo la prospettiva certa di fuoriuscita, anziché il prolungamento assistito di atomo e metano, eviterebbe lo svilimento e il fallimento del progetto Next Generation.
La nuova proposta della Commissione europea, al contrario, altera sostanzialmente l’uso futuro e l’impatto del quadro tassonomico dell’UE. Inserire “tout court” gas e nucleare alla stessa stregua delle rinnovabili per ricevere finanziamenti significa offrire uno strumento che vincola la trasformazione dell’economia, ponendo queste fonti nelle stesse condizioni di quelle pulite e ostacolando il cambiamento richiesto. E’ come fornire incautamente a interessati e malevoli lobbisti una bacchetta magica senza libretto di istruzioni.
Si pensi ad esempio all’ingannevole incoerenza di considerare “sostenibile” un impianto a gas con meno di 270 gCO2e/kWh, ovvero di valutarlo “altrettanto sostenibile” se la media annuale di emissioni fosse inferiore a 550kgCO2e/kWh nell’arco di 20 anni. Proprio questo secondo criterio butterebbe all’aria tutto, perché, una volta costruito e avviato a norma, un impianto a gas potrebbe poi tranquillamente evadere i limiti della tassonomia e, quindi, non essere più “sostenibile” a consuntivo, dopo due decenni, pur avendo ricevuto il finanziamento europeo! Del possibile raggiro sono ben al corrente (anzi, l’hanno preteso) le grandi corporation petrolifere e del gas, comprese quelle USA, diventate oggi il maggior esportatore mondiale attraverso il gas di scisto, già arrivato via nave da tempo in alcuni rigassificatori in Europa.
Il sospetto che la rimessa in gioco di gas e nucleare costituisca un sostegno alle vecchie lobby, anziché un contributo in direzione dell’ecologia integrale, viene meglio chiarito se si fanno i conti con un concetto cui si presta poca attenzione: la densità energetica (ovvero, la quantità di energia immagazzinata in un dato sistema o regione dello spazio per unità di volume o per unità di massa coinvolta). Se, facendo riferimento alle varie tecnologie di produzione elettrica, se ne esamina puntualmente la compatibilità con i processi vitali e la rigenerazione della natura, si possono trarre importanti indicazioni.
Infatti, sappiamo che tutto il vivente si alimenta ed è consumatore diretto di energia che, attraverso varie trasformazioni, arriva dal sole sulla terra con ordini di grandezza in quanto a densità assai inferiori a quelli generati nelle centrali fossili e nucleari, i cui effetti stanno alterando irreversibilmente l’ambiente al punto che andrebbero trattati ormai in base al principio di precauzione, anziché sulla base del tornaconto economico.
Vediamo allora più in dettaglio come il principio di precauzione si potrebbe applicare alla celebrata tassonomia, dato che definiamo l’energia come l’entità di trasformazioni che un sistema può produrre a spese delle sue proprietà e caratteristiche.
Se trattiamo di materia – come carbone gas uranio e idrogeno, costituita da particelle, atomi e molecole, tenuti insieme da varie forze – quanto più prossime ai componenti del nucleo atomico sono le proprietà che vengono modificate per ottenere potenza, tanto più alta sarà per eguali volumi l’energia che verrà liberata.
Quando si ricorre alla combustione, stiamo nell’area della chimica e vengono interessati gli elettroni, che stanno ad una distanza dal nucleo quanto starebbe un granello di sabbia che ruota ad un chilometro lontano da una palla da tennis.
Quando si provoca la fissione di atomi di Uranio o la fusione di isotopi di idrogeno, entriamo nell’area della fisica nucleare: ci si confina, cioè, in spazi assai più ridotti rispetto a quelli delle nubi elettroniche che costituiscono i legami delle molecole spezzati e ricombinati in combustione, ben lontani dai nuclei fatti di protoni e neutroni. L’energia che si libera dai nuclei risulta così di diversi ordini di grandezza superiore a quella ottenuta dalla combustione.
Se, invece, per ottenere energia si fa semplicemente ricorso al vento o all’acqua o alla radiazione del sole, gli spazi “di cattura” sono di ordine assai più ampio di quanto precedentemente esaminato e l’energia che ne deriva sarà più vicina allo stesso ordine di quella di cui si nutre il vivente.
Le stesse scienze naturali si sono specializzate e suddivise in base alle energie coinvolte e alle dimensioni dei fenomeni osservati, costatando che queste ultime risultano inversamente proporzionali alle densità specifiche delle prime.
Se si passa da un gatto ad una molecola l’energia per interagire (ed osservare) l’uno o l’altra varia di molti ordini di grandezza. Ogni disciplina (e la tecnologia energetica che l’accompagna) ha la sua “scala” dimensionale (e, conseguentemente energetica): la Fisica delle particelle elementari sta sotto i 10-15 m, la Fisica nucleare da 10-15 m. a 10-14 m. (fusione nucleare), la Fisica atomica da 10-10 m. a 10-9 m. (fissione nucleare), la Fisica dello stato solido: da 10-9 m. a 10-7 m. (corrente elettrica), la Chimica da 10-10 m a 10-7 m. (combustione dei fossili), la Biologia: (che riguarda la integrità e il funzionamento della vita) da 10-9 m. a 10 m. (Il coronavirus misura intorno a 10-9 m, l’ordine delle cellule).
In modo un po’ grossolano, potremmo dire che quanto minore è il volume di materiale che provoca un’equivalente quantità di energia tanto maggiore saranno i suoi effetti sull’ambiente e la vita circostante.
Vale quindi il principio di precauzione quando si sceglie una fonte ed una tecnologia di produzione energetica. Un grammo di isotopi di idrogeno nel processo di fusione equivale a 8/10 grammi di uranio fissile, ovvero a 500.000 tonnellate di carbone in combustione o a 560.000metri cubi di gas bruciati, paragonabili alla energia potenziale dell’intero lago di Iseo posto a 180 metri di altitudine.
Da tutto questo intuiamo come il passaggio dal gas e dall’atomo alle rinnovabili sia questione che prende quota quando vivente e natura riprendono un ruolo preminente e la sopravvivenza della specie fa premio sull’economia. Fare spallucce su una tassonomia europea con o senza trucchi sospinti dalle lobby non è cosa da passare sotto silenzio: possiamo ben dire, come afferma il Club di Roma che con l’introduzione di gas e nucleare una tassonomia basata sulla scienza sarebbe morta.