Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale dell’Umbria giudica con sfavore i referendum abrogativi sulla giustizia e il tentativo della Lega di inserire la Regione tra i richiedenti dei referendum. Intanto è sorprendente che i promotori siano il partito radicale ultragarantista e la Lega Nord che ha sostenuto un giustizialismo populista orientato contro immigrati, persone senza fissa dimora, autori di reati minori, detenuti, giustificando anche il ricorso a metodi di repressione brutali. La ragione è politica: la Lega vuole utilizzare i referendum come clava contro la magistratura e per creare problemi ad una eventuale alleanza tra PD e Movimento 5 Stelle. I radicali si prestano alla bisogna per avere più spazio, ma è un’illusione in quanto la natura e i contenuti della campagna saranno monopolizzati dalla Lega. Dimostra l’uso politico dei referendum il tentativo di coinvolgere alcune Regioni a guida leghista e di centro-destra, compresa l’Umbria. È inaccettabile che la Regione chieda referendum che non hanno nulla a che vedere con il suo ruolo e le sue competenze, che in materia di giustizia è esclusivamente statale, e che divideranno la comunità regionale e i cittadini anche per la complessità tecnico-politica di alcuni quesiti referendari che vedono opinioni differenziate all’interno della stessa maggioranza consiliari. Vedremo se Fratelli d’Italia in Umbria terrà fede alla dichiarazione della sua leader favorevole a non sottoscrivere i referendum sulla abrogazione della legge Severino e sulla riduzione della possibilità di ricorrere alla carcerazione preventiva.
La contrarietà del CDC è motivata dal fatto che alcuni dei referendum proposti sono inutili, altri sono dannosi in quanto rivolti a limitare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura e a caratterizzare sempre di più la giustizia come una “giustizia di classe”, morbida e passiva per i reati dei ricchi e di quelli contro la pubblica amministrazione e implacabile nei confronti della piccola criminalità, dei poveri e della opposizione sociale.
Tra i referendum inutili vi è quello che propone di abrogare l’obbligo di raccogliere firme per i magistrati candidati al Consiglio superiore della magistratura. In questo modo non si cancella il ruolo delle associazioni della magistratura, il che già di per sé sarebbe discutibile perché vanno non eliminate ma ricondotte a un ruolo ideal-culturale e non sindacal-corporativo, ma si apre la porta a candidature di magistrati che non hanno alcun sostegno né godono della stima dei loro colleghi. Altrettanto inutile è il referendum che vuole dare il diritto di voto all’interno dei Consigli giudiziari a avvocati e professori sui pareri relativi alle valutazioni di professionalità dei magistrati. Già la Commissione Luciani, istituita dal ministro Cartabia, ha proposto di dare ai membri non togati il diritto di parola, proposta più equilibrata e che non determina possibili interferenze tra il ruolo degli avvocati e quello dei magistrati.
Tra gli altri quattro referendum il più negativo è quello che propone l’abrogazione della legge Severino del 2012 che stabilisce l’incandidabilità o la decadenza da cariche politiche, in caso di condanna per reati di particolare gravità, che deve essere definitiva per le cariche nazionali, mentre è sufficiente quella di primo grado per quelle locali e regionali. Su questo punto è stata sollevata questione di legittimità costituzionale che è stata respinta dalla Corte costituzionale. Da notare che si propone di abrogare l’intera legge consentendo la candidabilità o la permanenza nella carica di condannati per reati di corruzione e contro la pubblica amministrazione, in dispregio dell’art. 54, c. 2, Costituzione per il quale i titolari di funzioni pubbliche “hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Molto discutibile è anche il referendum che propone di limitare la custodia cautelare per il rischio d reiterazione del reato a delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore a quattro anni, che diventano cinque per la custodia cautelare in carcere. In concreto ciò significa escludere la carcerazione preventiva per corrotti, bancarottieri, ladri e scippatori seriali, che anche se arrestati in flagranza dovrebbero essere subito rilasciati. Pericoloso è il referendum che addebita il risarcimento dei danni derivanti da dolo o colpa grave o da diniego di giustizia direttamente ai magistrati e non come oggi allo Stato che può rivalersi nei confronti del magistrato. La responsabilità civile diretta dei magistrati non esiste in nessun paese democratico del mondo perché significherebbe aprire le porte a continui ricorsi da parte di soggetti facoltosi, non certo delle persone che non hanno mezzi finanziati per permetterselo, e limiterebbe l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati sempre esposti al rischio di essere trascinati in giudizio e magari indotti a lasciar perdere quando hanno a che fare con persone ricche e influenti.
Infine il cosiddetto referendum sulla separazione della carriera tra giudici e pubblici ministeri in realtà non ha questo obiettivo, che richiederebbe una legge costituzionale, ma impone una separazione assoluta tra le funzioni, senza considerare che il passaggio da una funzione all’altra è oggi molto raro e subisce una serie di limitazioni importanti. Staccare i p.m. dalla magistratura comporterebbe il rischio di una loro subordinazione alla politica, rischio reso evidente dalla previsione, contenuta nella riforma del processo penale approvata dal Consiglio dei ministri, che il Parlamento approvi i criteri generali per l’esercizio dell’azione penale, che è in palese contrasto con la Costituzione. Inoltre il referendum potrebbe essere dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale per la sua eterogeneità in quanto riguarda brani di norme contenute in sei diversi provvedimenti legislativi che rende semplicemente illeggibile il quesito.
In definitiva se passassero questi referendum avremmo magistrati più subordinati alla politica e una giustizia più forte con i deboli e più debole con i forti.