L’analisi delle procedure e della cabina di regia del PNRR ne dimostra l’impatto negativo sulle istituzioni democratiche che si è aggravato con il passaggio dal governo Conte due al governo Draghi. In premessa va sottolineato che gli Stati membri erano tenuti ad attenersi alle linee guida stabilite dalla Commissione europea pubblicate in due riprese, il 20 settembre 2020 e il 22 gennaio 2021. I tempi indicati in sede europea sono progressivamente slittati da metà ottobre 2020 a fine febbraio e poi a fine aprile 2021.
A fine luglio Conte per la stesura del piano coinvolge il Comitato interministeriale affari europei (presso il relativo ministero) con una riunione iniziale aperta ai rappresentanti dei ministeri e degli enti territoriali e poi incarica due gruppi di lavoro costituiti rispettivamente da tecnici di tutti i ministeri e da funzionari della Presidenza del consiglio, dei ministeri dell’economia e degli affari europei e da tecnici di alcune società partecipate. Le riunioni si protraggono per tutta l’estate e sfociano prima in un testo (eccessivamente) sintetico, poi in uno più ampio e articolato, sottoposto il 3 dicembre alle Camere che approvano una risoluzione riservandosi la successiva votazione sul testo finale. Il Piano viene poi rivisto e definito da un comitato tecnico trasversale facente capo a Palazzo Chigi e ai ministeri dell’economia, dello sviluppo e degli affari europei e sottoposto al Consiglio dei ministri. Le divergenze manifestate da Italia Viva determinano continui rinvii fino alla sua adozione con alcune modifiche il 12 gennaio con l’astensione delle due ministre renziane e la sua trasmissione al Senato il 15 gennaio. L’uscita di Italia Viva dal Governo impedisce la conclusione dell’iter parlamentare e sfocia nelle dimissioni di Conte, che pure ha ottenuto la fiducia delle Camere anche se al Senato con una maggioranza incerta, e nella formazione del governo Draghi.
Il 17 febbraio nelle dichiarazioni programmatiche per il voto di fiducia Draghi, nell’esprimere un giudizio positivo sul lavoro compiuto dal precedente governo, preannuncia alcune modifiche e approfondimenti nel quadro delle “missioni” già indicate nel Piano presentato da Conte. Le correzioni sono affidate al ministero delle finanze, e quindi al tecnico Franco strettamente legato al Presidente del consiglio, che provvede a contattare i ministeri interessati. Ai primi di marzo si apprende dalla stampa che per la stesura del piano è stato fatto ricorso ad alcune multinazionali di consulenza privata, tra le quali la McKinsey, coinvolta in vari scandali, tra cui quello di aver dato il via libera a medicine oppioidi che negli Stati Uniti hanno provocato centinaia di migliaia di morti, vicenda per la quale ha patteggiato una multa di 400 milioni di dollari. Sui contenuti del Piano viene diffusa una fitta coltre di nebbia fino agli incontri del Presidente del consiglio con i partiti e con le parti sociali che si svolgono tra il 25 e il 20 aprile, nei quali illustra le linee generali del Piano senza presentare alcun testo scritto. Il Piano finale di 270 pagine viene presentato il 26 aprile alle 13.57 al Senato e alle 14.00 alla Camera, due ore prima del discorso del Presidente del consiglio, ed è approvato a larghissima maggioranza il giorno successivo. In pratica il Parlamento non ha il tempo di prenderne seriamente in esame il contenuto né tantomeno di avanzare proposte correttive anche limitate. Il 29 aprile il piano è sottoposto all’approvazione del Consiglio dei ministri per essere inviato alla Commissione europea il giorno successivo. Tuttavia, come è stato sottolineato dalla fondazione indipendente Openpolis, il testo votato dal Parlamento viene modificato per tre volte nel giro di alcune ore con il trasferimento di risorse per un po’ più di 400 milioni di euro dalla digitalizzazione alle infrastrutture e alla transizione ecologica. Insomma il Parlamento ha votato a scatola chiusa un testo diverso da quello che è stato alla fine inviato alla Commissione europea.
Differenze tra i due governi hanno riguardato anche la cosiddetta “cabina di regia”, la struttura politico/amministrativa che per l’Europa dovrebbe svolgere una funzione di direzione, coordinamento, controllo sull’attuazione del PNRR e di collegamento con la Commissione europea. A fine novembre Conte riunisce i capidelegazione della maggioranza proponendo una struttura con al vertice un ristretto organo collegiale di direzione e coordinamento composto dal Presidente del consiglio e dai ministri dell’economia e dello sviluppo, un comitato esecutivo formato da sei manager e da 300 tecnici reclutati per seguire i progetti attuativi e l’attribuzione al ministro degli affari europei del ruolo di collegamento con la Commissione europea. La proposta scatena l’accusa a Conte di voler instaurare una dittatura emarginando il Governo, il Parlamento e la pubblica amministrazione, accusa che viene sostenuta anche dopo che il Presidente del consiglio dichiara che la cabina di regia non avrà una competenza decisionale, ma di di vigilanza politica sull’esecuzione dei progetti e sul rispetto dei tempi e che la struttura manageriale svolgerà compiti di coordinamento e monitoraggio esercitando in casi estremi poteri sostitutivi. I residui margini di incertezza e di ambiguità sarebbero stati oggetto di un decreto legge del Governo sottoposto all’approvazione del Parlamento.
Il governo Draghi disciplina la governance del PNRR con il decreto legge n. 77 del 31 maggio, lo stesso con il quale stabilisce la semplificazione delle procedure per le grandi opere. Il primo dato certo è che al centro della Cabina di regia, titolare di poteri di indirizzo, impulso e coordinamento generale sull’attuazione degli interventi del PNRR, vi è la persona del Presidente del consiglio che la presiede, mentre vi partecipano di volta in volta i ministri competenti “in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta” e i Presidenti regionali su questioni di competenza di singole regioni o il Presidente della Conferenza quando siano interessate più regioni. Quindi l’organo ha un unico componente fisso, attorniato da soggetti variabili da lui convocati. Ad esso compete la trasmissione alle Camere ogni sei mesi di una relazione sullo stato di attuazione del Piano e il compito di aggiornare periodicamente il Consiglio dei ministri, organi che non sono chiamati a deliberare nel merito. Il monitoraggio e la rendicontazione del Piano vengono affidati al Servizio centrale per il PNRR, ufficio dirigenziale istituito presso il ministero dell’economia, il quale potrà avvalersi, secondo quanto stabilito nel Piano, di una task force di 300 dipendenti assunti a tempo indeterminato (numero identico a quello contenuto nella proposta Conte), e quindi sono posti nelle mani del fedele ministro tecnico Franco che ha anche il compito di mantenere i rapporti con Bruxelles. Minore rilievo, in quanto organo di tipo consultivo e che può segnalare profili rilevanti per la realizzazione del Piano, ha il Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, composto da rappresentanti degli enti territoriali, delle categorie sociali, delle università e della ricerca e della società civile. Completa il quadro la Segreteria tecnica operante presso la presidenza del consiglio che è struttura di supporto alla Cabina di regia e al Tavolo permanente per l’esercizio delle loro funzioni. Infine è previsto l’esercizio di poteri sostitutivi nelle ipotesi di ritardo, inerzia o difformità nell’esecuzione dei progetti, su iniziativa del Presidente del consiglio e indicazione da parte del Consiglio dei ministri dei soggetti o di commissari ad acta chiamati ad adottare gli atti o i provvedimenti necessari. In caso di dissenso, diniego, opposizione “proveniente da un organo statale”, la Segreteria tecnica propone al Presidente del consiglio di sottoporre la questione all’esame del Consiglio dei ministri. Se provengono da un organo regionale o locale, in mancanza di soluzioni condivise nella Conferenza Stato – regioni, il Presidente del consiglio propone al Consiglio “le opportune iniziative ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi” previsti dalla Costituzione.
In definitiva personalizzazione e centralizzazione sono i tratti caratterizzanti della governance tali da riservare un ruolo ratificatorio all’organo collegiale di governo e al Parlamento e di meri comprimari ai partiti politici.