Il dibattito su quale legge elettorale, che da quasi 30 anni periodicamente riprende vigore, assume oggi una ben diversa connotazione.
Lo scorso anno, infatti, è entrata in vigore la legge costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari, portando da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori che saranno eletti dalla prossima legislatura, e una diminuzione di tale portata (37%) inciderà in modo significativo sulla rappresentatività dei prossimi parlamenti, indebolendone la funzione legislativa. Questa riduzione, oggettiva come solo i numeri possono essere e non sanabile con nessun correttivo, è aggravata, oltre che dal sistema di finanziamento della politica, dall’attuale legge elettorale.
Il cosiddetto “Rosatellum”, infatti, secondo diverse simulazioni, potrebbe portare in alcuni territori a escludere le formazioni politiche al di sotto del 15% dei consensi dall’attribuzione dei seggi per il Senato con una palese riduzione del pluralismo politico e della rappresentanza dei partiti minori. La riduzione dei seggi spettanti a ciascuna circoscrizione elettorale, in alcuni territori, sarà, inoltre, superiore al 40%, con una dilatazione dei collegi che avrà il triplice effetto di produrre un’ulteriore lacerazione del rapporto eletto/elettore, rendendo ancor più difficoltosa la conoscibilità e riconoscibilità dei parlamentari da parte della cittadinanza; di rendere ancor più onerose le campagne elettorali, lasciando la contesa politica a chi detiene grandi risorse economiche; e di impedire a tanti cittadini di vedere eletti i propri rappresentanti, che saranno estromessi dalle future Camere anche a fronte di numerosi consensi riscontrati nelle urne.
È, dunque, necessario intervenire con una modifica del sistema elettorale che riduca al minimo i danni prodotti dalla compressione dell’assemblea rappresentativa, tenendo fede a principi da cui non si deve prescindere: le argomentazioni espresse dalla Corte Costituzionale nelle due sentenze recenti in materia elettorale (la sentenza 1/2014 sul “Porcellum” e la 35/2017 su “Italicum”) e il contesto politico dato.
La Corte, in particolare nelle motivazioni della sentenza del 2014, evidenziando i vizi di costituzionalità del “Porcellum”, ha ricordato al legislatore due principi guida da rispettare: che i meccanismi volti a favorire la governabilità non possono provocare un eccesso di disproporzionalità tra rappresentanza parlamentare e rappresentanza reale, tra seggi ottenuti, dunque, e voti conseguiti; e che deve essere salvaguardata la conoscibilità dei candidati da parte degli elettori e rispettare il principio dell’uguaglianza del voto espresso. La Corte, dunque, ha sancito che l’obiettivo della stabilità dei governi non può essere perseguito a scapito dei principi costituzionali di rappresentanza e uguaglianza del voto e che la sede esclusiva della rappresentanza politica nazionale sono le assemblee parlamentari, non i governi.
La maggiore rappresentatività, quindi, è l’obiettivo cui deve tendere la legge elettorale, un obiettivo ancora più difficile con lo squilibrio intrinseco dato dal ridotto numero complessivo di seggi e dal contesto politico dato caratterizzato da una estrema volatilità delle forze politiche e mobilità del voto. Volatilità e mobilità che non si possono ignorare nel considerare l’equilibrio non infrangibile tra governabilità e rappresentanza, consapevoli che in un sistema maggioritario piccoli spostamenti di voti possono produrre importanti effetti sull’attribuzione dei seggi, generando maggioranze parlamentari cui non corrispondono maggioranze nella popolazione.
Il dibattito sulla legge elettorale, inoltre, non può prescindere dalla consapevolezza che nessun sistema di regole produce automaticamente l’effetto desiderato in termini di stabilità, alternanza o semplificazione del quadro politico e che, invece, è necessario salvaguardare il valore del pluralismo, l’obiettivo di garantire la rappresentanza politica delle assemblee parlamentari, la facoltà degli elettori di selezionare gli eletti attraverso meccanismi che ne consentano la conoscibilità e la centralità del Parlamento. propria di una democrazia rappresentativa quale è definita dalla nostra Costituzione, nel determinare le maggioranze di Governo.
Considerati questi elementi, dunque, appare auspicabile che il legislatore si orienti verso un sistema elettorale di natura proporzionale, con limitati correttivi, per favorire una maggiore rappresentatività delle future Camere senza introdurre elementi distorsivi che comporterebbero una surrettizia modifica del sistema parlamentare, quali potrebbero essere meccanismi atti a individuare preventivamente la maggioranza di Governo, a scapito del possibile confronto in Parlamento, sede di massima rappresentanza della sovranità popolare.
La riduzione del numero dei parlamentari impone, ancor più di prima, una particolare attenzione sulla legge elettorale e le sue modifiche per non comprimere ulteriormente la rappresentatività delle future Camere, senza condizionamenti retorici di sorta che troppo spesso hanno influenzato il dibattito pubblico in modo fuorviante. Il mantra spesso evocato sulla necessità di “conoscere il vincitore la sera delle elezioni” – ammesso che sia da assumere come verità assoluta, e non lo è -, possibile solo con sistema (iper)maggioritari, è sconfessato dalle cronache di politica estera degli ultimi anni, così come l’equazione “sistema elettorale proporzionale = instabilità”. Su tutti valga l’esempio della Germania, paese in cui si vota con sistema proporzionale e che difficilmente può essere tacciato di “instabilità”, pur avendo avuto bisogno di oltre 5 mesi per dar vita al Governo attualmente in carica e solo dopo un lungo confronto tra le forze parlamentari elette, nessuna, la sera delle elezioni, con un numero di seggi sufficiente a formare una maggioranza.
Infine, nel nostro sistema politico-istituzionale, vi è – ne accennavo all’inizio – un altro elemento limitante la rappresentatività. Se guardiamo ai grandi paesi occidentali, Germania in testa, esistono sistemi diversi, ma a carico del pubblico, di finanziamento dell’attività politica. Solo così si consente a chiunque di partecipare non solo alle competizioni elettorali, ma più in generale – appunto – all’attività politica, altrimenti si torna alla politica per censo e per ricchi. Nel riformare la legge elettorale occorrerebbe ripensare anche il meccanismo di finanziamento della politica, che troppo sbrigativamente, per assecondare una malata ventata populistica e antipolitica, è stato eliminato. All’antipolitica si risponde con più partecipazione e rappresentanza, non limitando la possibilità di accesso all’agone politico a chi non possiede ingenti risorse.
Rossana Dettori, segreteria nazionale CGIL.