E siamo a sei. La legge elettorale della XVII legislatura rimarrà nella storia come la legge delle sei fiducie, dal momento che alle tre di oggi si aggiungono quelle sulla mostruosità nota come Italicum. Per decenni la prassi della Costituzione repubblicana aveva ritenuto che non fosse possibile metterla. Si citava un solo lontano caso, già riportato su queste pagine, che non doveva ritenersi precedente. Ora, invece, in fine di legislatura, un governo debole, dalla maggioranza incerta, che esiste per i numeri parlamentari drogati da una legge elettorale dichiarata incostituzionale, mette la fiducia su qualcosa che non è nel suo programma, e che lo stesso premier aveva dichiarato non essere nell’attenzione dell’esecutivo. Il ricatto può essere l’unica motivazione.
Si è sentito dichiarare che le fiducie sono necessarie per evitare il Vietnam parlamentare. Ma il punto vero è che sarebbe indispensabile fare una legge elettorale tale da non generare quel Vietnam. Che favorisse il consolidamento del sistema politico, e la ricostruzione di soggetti politici solidamente strutturati e fortemente radicati. Se la legge di cui si discute facesse questo, potremmo forse ritenere le fiducie un male necessario. Ma non è così. E allora sono solo una forzatura inaccettabile del regolamento parlamentare sul voto segreto, e della stessa Costituzione.
Basta pensare alla mostruosità delle micro-liste dell’1%, che portano voti senza acquisire seggi. La previsione che ci siano ha già fatto comparire nei sondaggi del lunedì la lista animalista di Michela Brambilla, data a quanto pare all’l,5%. E possiamo immaginare che altri seguiranno a frotte, come le elezioni regionali e locali ci hanno da tempo insegnato. Ricordiamo, per amore della storia, che la Corte costituzionale nella sua – pur debole – giurisprudenza, aveva argomentato che a un incentivo maggioritario si può aggiungere una soglia di sbarramento perché la semplificazione del sistema politico aiuta la governabilità. Ma che dire di una legge che usa le soglie in modo tale da aumentare la frammentazione? Che differenza fa se poi i numeri parlamentari non la riflettono, se si produce nel sistema politico del paese e la si rende elettoralmente utile con la previsione di coalizioni?
Poi, l’unico voto su maggioritario e proporzionale. È ben vero che la Corte costituzionale aveva assolto sia le candidature maggioritarie di collegio, sia il voto bloccato, purché non per tutti i parlamentari e su liste brevi. In tal modo l’elettore poteva conoscere i candidati. Ma il voto è libero se chi vota può scegliere di essere rappresentato da Mario o Rosaria, da Giuseppe o Serena. Con il voto disgiunto tra maggioritario e proporzionale questo sarebbe almeno in parte possibile, sulla candidatura uninominale di collegio o sul pacchetto di nomi del proporzionale. Con il voto unico, invece, l’offerta è chiusa: per tutti, prendere o lasciare. Ed è quella determinata dai partiti, nei modi che sceglieranno i partiti. E che libertà è?
Il Rosatellum 2.0 è un testo che forse si conforma alla giurisprudenza della Corte costituzionale per il profilo strettamente formale, ma ne tradisce lo spirito e il senso. La Corte ha peccato per una troppo generica definizione dei principi essenziali e una troppo ampia concessione di potere discrezionale al legislatore. Ma ha pur sempre cercato di ritrovare i fondamenti della democrazia rappresentativa e del voto libero e uguale.
Doveva avere più coraggio, certo. Ma qualcosa ha detto, e un legislatore non dimentico della propria dignità avrebbe potuto e dovuto cogliere i giusti segnali.
Invece, perché nasce il Rosatellum 2.0, chi guadagna e chi perde, è stato detto fino alla noia. Non ci illudiamo che verranno ostacoli da parte di un Quirinale troppo spaventato dalla possibilità di leggi diverse tra le due camere, e attento a sollecitare ampi consensi quando sa bene che non ci sono. Né ci illudiamo che sia efficace un nuovo attacco giudiziario.
Secondo i manuali i guardiani della Costituzione sono – in modi diversi – due: il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Se entrambi sono distratti o inerti, deve scendere in campo la squadra dei veri titolari: i cittadini della Repubblica. Le prossime elezioni ci diranno se dobbiamo riscrivere i manuali, o se una nota a piè di pagina basterà per la XVII legislatura.
Massimo Villone su Il Manifesto dell’ 11 ottobre 2017