Non era facile peggiorare i sistemi elettorali di Camera e Senato usciti fuori dalle sentenze con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimi prima il Porcellum poi l’Italicum. Questi non rispondono al diritto degli elettori di scegliere i parlamentari e al principio di rappresentatività del Parlamento affermati dal voto popolare del 4 dicembre. Inoltre sono molto diversi fra di loro. Quello per il Senato è proporzionale, senza premio di maggioranza, con soglie di sbarramento alte in ogni regione (il 20% per la coalizione, l’8% per liste non coalizzate), con la possibilità di dare vita a coalizioni (incentivate dalla riduzione della soglia al 3% per le liste che si alleano), con il voto di preferenza. Alla Camera il sistema è proporzionale, con un premio ipermaggioritario pari al 54% dei seggi alla prima lista che superi il 40% dei voti, con la soglia di sbarramento del 3%, senza coalizioni, con i capilista bloccati (quindi con la scelta dall’alto di almeno i due terzi dei deputati). Questo pasticcio è interamente addebitabile all’avventurismo istituzionale dimostrato dagli ideatori del’Italicum che l’hanno previsto per la sola Camera nell’arrogante certezza che il referendum avrebbe approvato la riforma costituzionale e quindi la non elettività del Senato.
Nei mesi scorsi i principali partiti hanno fatto “ammuina”, facendo finta di muoversi per lasciare le cose come stanno. Il PD ha presentato ben quattro proposte di riforma elettorale, delle quali una sola, il cosiddetto Tedeschellum, aveva sulla carta una maggioranza, ma veniva affossato prima dell’estate. Ora il PD ha presentato la sua quinta proposta, il Rosatellum bis, che riesce nell’ardua impresa di peggiorare i sistemi attuali, muovendosi in direzione diametralmente opposta ai principi di partecipazione e di rappresentatività.
Il sistema proposto dimostra un vero e proprio disprezzo nei confronti degli elettori e della loro volontà di decidere. Infatti generalizza le liste bloccate per quasi i due terzi dei deputati e dei senatori, cancellando del tutto le preferenze e attribuendone la scelta interamente ai capipartito. Inoltre per circa un terzo dei parlamentari da eleggere in collegi uninominali con sistema all’inglese (in ogni collegio è eletto il candidato che prende più voti) prevede delle coalizioni di cartone senza indicazione di un leader, di un simbolo, di un programma, quindi buone come specchio per le allodole e pronte ad essere disfatte il giorno dopo le elezioni per dare vita ad un’ammucchiata trasversale da parte dei partiti che nella quota proporzionale si presentano con le proprie liste. Infine agli elettori è imposto un voto unico per il candidato nel collegio uninominale e una delle liste a questo collegate: se votano per una lista lo fanno anche per il candidato, se “pretendono” di votare solo per il candidato i loro suffragi vengono ripartiti fra tutte le liste collegate percentualmente ai voti da queste espressamente ottenuti (un po’ come avviene per la ripartizione dell’8 per mille tra le confessioni religiose).
Anche il principio di rappresentatività viene stravolto. Non vi è premio di maggioranza, ma sono privilegiate le coalizioni che conquisterebbero gran parte dei seggi nei collegi uninominali e, grazie al voto unico, potrebbero utilizzare la propaganda del “voto utile” anche per i seggi attribuiti alle liste. Inoltre la soglia di sbarramento del 3% non impedisce alle listarelle coalizzate che ottengano l’1% dei voti di far contare i propri suffragi a vantaggio della coalizione e quindi di pretendere un certo numero di candidati nei collegi uninominali. Mentre le liste che corrono da sole (come il Movimento 5 Stelle e una lista di sinistra) sarebbero fortemente penalizzate e sottorappresentate.
In definitiva il Rosatellum bis è un sistema peggiorativo di quelli attuali che sacrifica principi fondamentali senza peraltro neppure garantire l’esistenza di una maggioranza di seggi ad una coalizione trasversale PD-centristi vari-Forza Italia. Occorre quindi battersi più che mai per restituire ai cittadini-elettori il potere di scegliere i parlamentari, cosa che si può fare sia con il sistema delle preferenze sia con la previsione di collegi uninominali. Va inoltre garantita la rappresentatività del Parlamento mediante l’adozione di un sistema proporzionale che può essere corretto da una ragionevole soglia di sbarramento e dal ricorso ad un certo numero di collegi uninominali (ma con un riparto complessivo dei seggi comunque proporzionale). È quel che si verifica per l’elezione della Camera dei deputati in Germania, sistema al quale hanno fatto riferimento le tre maggiori forze politiche prima dell’estate, ma con modifiche peggiorative che ne snaturavano l’essenza (come il voto unico al candidato nel collegio uninominale e alla lista invece del doppio voto previsto in Germania).
Se risultasse impossibile adottare una organica riforma elettorale ispirata ai principi costituzionali, si dovrebbero quanto meno porre mano alla modifica degli aspetti più negativi degli attuali sistemi. In particolare diminuire l’abnorme soglia di sbarramento dell’8% prevista al Senato, cancellare il premio di maggioranza e i capilista bloccati alla Camera ed estendere ad entrambe le Camere la doppia preferenza di genere. Cosa che si potrebbe fare con una legge succinta e senza ricorrere ad un decreto-legge che sarebbe in contrasto con la Costituzione.
Mauro Volpi su Il manifesto