La Costituzione della Repubblica fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 con 453 voti favorevoli su 515 presenti e votanti (62 furono i voti contrari). Venne promulgata il 27 dicembre del 1947 con la firma di Enrico De Nicola (Capo provvisorio dello Stato), Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea costituente e Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri ed entrò in vigore il 1 gennaio 1948.
Sono passati settant’anni.
E’ un tempo storico sufficientemente lungo per fare un primo bilancio della vitalità della nostra Carta Costituzionale, chiederci se i suoi principi ed i suoi valori sono ancora indispensabili per il nostro futuro, se la sua architettura delle istituzioni è ancora valida, oppure se genera inefficienza o altri mali, come ci annunciano quasi quotidianamente da trent’anni i suoi detrattori. E’ tempo di chiederci se il patrimonio di beni pubblici che i padri costituenti hanno lasciato in eredità al popolo italiano è stato ben speso o sperperato e se questo patrimonio debba essere conservato e tramandato alla generazioni future.
Uno degli indici più inquietanti del contesto culturale del nostro tempo è dato dal fatto che noi viviamo confinati in un eterno presente. Qualunque sia l’argomento, il dibattito politico viene sviluppato escludendo ogni consapevolezza del passato, anche recente, e rifiutando di confrontarsi con qualunque progetto di futuro. Noi viviamo immersi nel presente, come se non avessimo un passato e come se non dovessimo preoccuparci del nostro futuro. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se l’incultura degli attuali ceti dirigenti travalica nel senso comune e produce un diffuso analfabetismo politico di ritorno, per effetto del quale la resistenza diventa un capitolo archiviato negli scaffali della Storia, come le guerre puniche, e la Costituzione da essa generata , una mera tecnologia per l’organizzazione dei poteri pubblici, da relegare – eventualmente – nell’archeologia industriale, come abbiamo fatto con i telefoni a gettone dopo l’avvento dei telefonini.
Invece, “noi – come ha avvertito Benedetto Croce – siamo prodotti del passato e viviamo immersi nel passato” (B.Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza 1978, p.33). Ed io aggiungo che possiamo costruire un futuro solo se manteniamo il rapporto di intelligenza morale con il passato che ci ha prodotti.
Da troppo tempo in Italia viviamo una crisi istituzionale: tutti quanti ci dicono che occorre fare delle riforme e cambiare profondamente la Costituzione. Ma qual è il nocciolo della crisi? Il fatto è che l’intelaiatura istituzionale prevista dai Costituenti, che privilegia il pluralismo e la distribuzione del potere, rende impossibile la dittatura della maggioranza, di qualunque maggioranza. Perciò negli ultimi trent’anni la Costituzione è stata fortemente attaccata a turno dalle principali forze politiche che, al tramonto delle grandi ideologie democratiche del 900, in qualche modo vogliono assicurare un maggiore potere ai decisori politici, perseguendo un progetto di onnipotenza della politica. Questo tipo di progetto era ed è inevitabilmente destinato a scontrarsi con l’organizzazione delle istituzioni create dalla Costituzione italiana, che ci assicurano la garanzia delle nostre libertà. I partiti politici hanno contestato alla Costituzione, proprio quello che è uno dei suoi più grandi meriti storici: l’architettura dei poteri che impedisce il ritorno ad un ordinamento autoritario. Proprio questa contestazione, ripetuta e riproposta in tutte le salse, ci fa toccare con mano quanto sia attuale la diga che la Costituzione ha posto al ritorno, sotto altra forma, dei mali che hanno afflitto il nostro popolo nel passato.
Soltanto con la cancellazione della memoria si possono spiegare i due tentativi di grande riforma costituzionale che sono stati compiuti nel 2005 e nel 2016, entrambi basati sul falso presupposto dell’invecchiamento della struttura istituzionale della Repubblica, a fronte della necessità di adeguare i processi decisionali della democrazia alle esigenze di rapidità ed efficienza dei tempi moderni. Soltanto la cancellazione della memoria poteva consentire di far passare come innovazione delle riforme istituzionali che tendevano a restaurare forme di potere autocratico superate dalla storia e si poteva far passare per innovativa una legge elettorale, come l’Italicum, che restaurava gli stessi meccanismi manipolatori della legge Acerbo voluta da Mussolini per sottomettere il Parlamento ed instaurare il Governo del partito unico.
Il fatto veramente straordinario è che la Costituzione, dichiarata obsoleta dal Palazzo, è stata ripristinata a furor di popolo con i due referendum del 25/26 giugno 2006 e del 4 dicembre 2016. I risultati dei due referendum hanno dimostrato che la Costituzione è viva, che il suo progetto di convivenza felice, fondata sui diritti e la partecipazione non ha i piedi d’argilla, ha radici salde nella mente e nel cuore degli italiani.
E’ particolarmente importante il risultato del secondo referendum. Il 4 dicembre 2016, in controtendenza rispetto ad ogni altra ricorrenza elettorale, gli italiani si sono recati in massa a votare, con un’affluenza alle urne del 65,47%. La riforma Renzi-Boschi è stata spazzata via con un risultato finale di 19.419.507 voti a favore del NO (pari al 59,1% dei votanti) e 13.432.208 a favore del SI (pari al 40,9%) alle urne.
Il responso è stato netto e definitivo, gli elettori ancora una volta hanno espresso fiducia nel modello di democrazia prefigurato dai padri costituenti e nei beni pubblici repubblicani che quel modello attribuiva al popolo italiano.
A settant’anni dalla sua entrata in vigore il popolo, riconfermando la validità della Costituzione, ha impedito la trasformazione – già in atto – della Repubblica in una sorta di principato, sottoposto al protettorato dei poteri finanziari internazionali che avevano dettato la riforma, manifestando la loro avversione per le Costituzioni antifasciste del dopoguerra. E non si è trattato semplicemente di un atto di resistenza allo sconquasso della Costituzione, ma di un atto fondativo. Attraverso il voto del 4 dicembre la Costituzione è risorta, ha recuperato quella legittimazione che le classi dirigenti nel nostro Paese da sempre cercavano di svilire. Quel voto ha sconfessato trent’anni di politica volta a restringere la democrazia rappresentativa nel nostro Paese, a creare esecutivi “forti” nei confronti dei cittadini e “deboli” nei confronti dei “mercati”, ha lanciato una sfida a riscoprire ed illuminare di nuovo la Costituzione come mai fatto finora.
A settant’anni dalla sua approvazione la Costituzione non mostra delle rughe: quelle ci sono ma sono proprie del sistema politico, non sono causate dalla Costituzione ma dalla sua inattuazione.
Oggi, come allora, abbiamo ancora e sempre più bisogno di far crescere l’eguaglianza, invece che la disuguaglianza, come avviene quando, pur aumentando il reddito, cresce la povertà; abbiamo bisogno che il lavoro e la dignità di ogni persona, sia posta a fondamento dell’ordinamento, non la precarietà del lavoro e della vita; abbiamo bisogno che sia salvaguardata la salubrità dell’ambiente, non lo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali; abbiamo bisogno di una scuola pubblica che formi il cittadino, non di un’agenzia asservita al mercato; abbiamo bisogno di sanità pubblica ed universale, non di servizi scadenti e per censo; abbiamo bisogno di istituzioni rappresentative dove possano entrare le domande, i bisogni e le aspirazioni dei cittadini, non di parlamentarti che rappresentino solo i loro capi.
Insomma la Costituzione partorita settant’anni fa attraverso le doglie della nostra Storia è ancora viva, guarda al futuro e pone una sfida al rinnovamento della politica che è più attuale che mai.
Domenico Gallo il 22 dicembre su articolo 21