Intervista ad Alessandro Pace da Barbara Acquaviti
Un appello caduto nel vuoto. Uno di quei silenzi che si usa definire “assordanti”. Perché il comitato del No, quello presieduto dal professor Alessandro Pace che ha come presidente onorario Gustavo Zagrebelsky, si aspettava da Sergio Mattarella “almeno una parola”, un cenno di risposta. E invece niente. Nel mese di luglio, quando la lunga rincorsa della campagna referendaria era già iniziata, avevano scritto una lettera al presidente della Repubblica per chiedergli di far “valere la sua autorità” perché ci fosse un riequilibrio informativo. “Chiedevamo – spiega Pace – che ci desse un aiuto perché fossimo trattati alla pari. Invece non c’è stato nessun intervento, e questo ci dispiace”. Più volte in queste settimane, dai partiti che si sono schierati contro il ddl Boschi, il nome del capo dello Stato è stato tirato in ballo. Ma per il presidente del Comitato dei professori c’è una ragione ben precisa per la quale un intervento di Mattarella sarebbe stato più che auspicabile.
“Fin quando la Costituzione non verrà modificata – afferma Pace all’Huffpost – questa è la Carta di cui lui è garante e quindi coloro che la difendono meritano di essere trattati con imparzialità. In secondo luogo, questa revisione costituzionale è illegittima perché come tutti sanno è stata avviata contro la sentenza numero uno del 2014 della Corte Costituzionale relativa all’incostituzionalità del Porcellum. Con queste premesse, è stato un azzardo iniziare un processo di revisione costituzionale da parte del Governo. La maggioranza è ‘drogata’, il risultato è viziato alla base. Quantomeno sotto questo aspetto, Mattarella dovrebbe avere un occhio di riguardo verso chi difende la legalità”.
Ma in pratica cosa vi aspettavate che facesse il presidente?
Guardi, ci saremmo accontentati di una mezza frase, qualche minimo accenno così come quando ultimamente è intervenuto dopo le parole dell’ambasciatore americano Phillips, ricordando che sono gli italiani a dover decidere. Quella breve frase ha avuto un grande effetto, basterebbe qualcosa del genere. Da quando è cominciata la campagna referendaria, io per esempio, avrò avuto 100 secondi di spazio sulla tv pubblica. Poteva dire che la Rai dovrebbe dare degli spazi ai difensori del No e invece da marzo noi vediamo solo il Sì in tutte le salse.
Voi avevate provato a chiedere anche un incontro, vero?
Sì, è vero. Magari fosse successo, ma non speravamo così tanto. Io credo sia giusto sottolineare anche un altro aspetto: stando ai sondaggi, almeno il 50% dei cittadini se non di più è favorevole al No e di questo Mattarella deve pur tenere conto. Lui è il garante di tutti.
A proposito, il presidente della Repubblica è stato chiamato in causa anche per la formulazione del quesito referendario, ma il Quirinale si è chiamato fuori. Pensa che invece sarebbe dovuto intervenire anche su quel punto?
Io avevo posto il problema di insistere perché vi fosse uno spacchettamento dei quesiti. La maggioranza degli studiosi è a favore della mia tesi, e cioè che le revisioni dovrebbero essere sottoposte a giudizio con domande puntuali e omogenee. Però c’è una parte minoritaria, ma comunque consistente, che ritiene legittimo sottoporre più argomenti in un unico quesito. In questo caso, la vera furbata di Renzi è stata infilare il tema del contenimento delle spese che non è, al pari delle altre, una materia, ma una conseguenza. Io però penso che chi poteva intervenire su questo erano i presidenti delle Camere, non direi il Quirinale.
Uno dei momenti in cui le vostre ragioni hanno avuto più risalto mediatico è stato il confronto tra Zagrebelsky e Renzi su La7. Che impressione ne ha ricavato?
Come ha detto Zagrebelsky, Renzi è stato un anguilla. Io dico che d’ora in poi i professori si devono scontrare con i professori e i politici con i politici. Un professore intellettualmente onesto non sostiene tesi di cui non è convinto, il politico invece è capace di tutto. Basti pensare alle banalità e alle castronerie che ha detto il premier: sosteneva che era legittimo il voto indiretto del Senato. Leopoldo Elia diceva che non si può parlare di elettività indiretta in casi come questo, ma solo in quei sistemi con i grandi elettori, come in America e Francia. Questa versione è alla carlona, indiretta per modo di dire.
Lunedì presenterete le prossime iniziative. Avete cercato qualche grande sponsor, per esempio nel mondo della cultura o dello spettacolo? A favore del Sì, per esempio, si è schierato Benigni…
Ci saranno varie iniziative sul territorio e un grande evento a Roma dal 13 al 15 ottobre con manifestazioni, lezioni di diritto costituzionale e altro. Quanto agli intellettuali, per la verità noi ne abbiamo avuto più di uno sin dall’inizio, penso a Dario Fo o Piergiorgio Odifreddi. Una lista che loro non hanno mai avuto. E poi, dalla nostra parte sono schierati 10 ex presidenti e 10 ex vice presidenti della Corte costituzionale. Loro hanno soltanto Sabino Cassese. È uno contro 20 e poi, anche se è stato un ottimo giudice costituzionale, non è un costituzionalista, ma un amministrativista.