Arte e politica. L’ex ministro con un colpo di coda ha nominato la commissione che deciderà sui fondi. Sempre più le voci contro la normativa che mortifica il cinema meno commerciale
Il meccanismo, in verità immaginato dalla legge del 2016 dell’allora ministro Franceschini, è finito prima nell’occhio del ciclone di una destra famelica per eventuali favoritismi ad opere di scarsa consistenza, per poi essere rivisto con una correzione di stile neoliberista. Nel frattempo, il sistema è stato bloccato.
LA GRIGLIA varata dal dimissionario Sangiuliano (non da solo, ovviamente) ha scelto di privilegiare le opere di maggior forza di mercato in grado di connettersi a gruppi sovranazionali e di dotarsi di una delle prime venti società di distribuzione. Il resto è relegato alla riserva indiana dei contributi selettivi, dedicati alle iniziative autoriali non votate alla mera commercializzazione. Un caso di scuola: il Leone d’argento alla Biennale di Venezia non sarebbe stato attribuito a Vermiglio di Maura Delpero senza simile opportunità.
E, in generale, proprio la quota di maggior impegno culturale sarebbe ridotta al lumicino se si chiudesse il cerchio consegnando definitivamente il nostro immaginario alle logiche imperiali, per di più eterodirette a loro volta dall’intelligenza artificiale.
Tuttavia, dei circa 80 milioni di euro previsti per i «selettivi», oltre 50 sono destinati a fatti e personaggi emblematici dell’identità italiana. Ed ecco il pasticciaccio finale.
L’ex titolare del dicastero – pur alle prese con accese polemiche nei riguardi di un’abile comunicatrice come Maria Rosaria Boccia – ha trovato il tempo di firmare sull’uscio della porta ben 18 nomine inerenti proprio alla commissione che dovrà decidere su quelle risorse selettive. Non si è trattato di normale amministrazione.
La penna ha promosso signore e signori di varie estrazioni professionali cui nessuno potrà mai togliere il marchio di una discutibile legittimazione, cosa differente dalla mera legittimità formale.
La redazione consiglia:
Scompiglio Maxxi, il balletto delle poltroneSI VOLTI pagina e si cancellino designazioni varate con modalità di pessimo gusto, al netto di ogni giudizio sulle qualità delle persone, benché l’eterno ritorno di Stefano Zecchi o il ricorso alla panchina sicura non lascino sperare granché. Le indiscrezioni hanno azzardato nomi variegati di giornalisti, di rappresentanti di studi legali, di un po’ di accademia, oltre all’universo dei produttori che contano: Valerio Caprara, Paolo Mereghetti, Francesco Specchia, Giacomo Ciammaglichella, Pier Luigi Manieri, Massimo Galimberti, Pasqualino Damiani, Luigi Mascheroni, Manuela Maccaroni. Con beneficio di inventario: tra discese ardite e risalite.
Ora le carte sono passate al successore Alessandro Giuli, uno della ventina di frequentatori abituali delle 100 ore quotidiane – su tutte le reti, dall’alba alla notte – di talk che ormai sono l’ossessione della televisione generalista. Tuttavia, non è bello ed educato predire il futuro. Vedremo il Giuli governativo alla prova dei fatti.
LA RIAPERTURA della discussione sul Tax credit e il bianchetto apposto a quei nomi sarebbero sintomi di qualcosa.
Chissà se le storiche organizzazioni del settore – dall’associazione nazionale degli autori cinematografici (Anac) ai 100Autori – si scuoteranno da una curiosa incertezza e se le organizzazioni sindacali decideranno di mettere in testa all’agenda anche la tutela del lavoro culturale.
Le stesse forze politiche dell’opposizione hanno materia per buttarsi nell’agone. Qualche segno è arrivato, ivi compresa una sottolineatura importante nel discorso di Elly Schlein che ha concluso la festa dell’Unità a Reggio Emilia. Insomma, «campo largo» se ci sei batti un colpo.
Nanni Moretti salì sul palco dei Democratici di sinistra nel 2002 a piazza Navona di Roma e pronunciò parole asperrime contro i gruppi dirigenti della sinistra. A Venezia ha di nuovo tuonato. Rinasceranno i girotondi? Ce ne sarebbe tanto bisogno, per uscire da un lungo sonno arrendevole e consociativo.