La disciplina della forma di governo nella Costituzione francese è ambigua. Da un lato il presidente della Repubblica, eletto dal popolo dal 1962, è titolare di poteri privi di controfirma ministeriale, compresa la nomina del primo ministro, dall’altro il governo, politicamente responsabile nei confronti del parlamento, ha il potere di determinare la politica della nazione e il primo ministro quello di dirigere l’azione del governo.
La lettura dominante ultra-presidenziale della Costituzione ha attribuito al presidente la determinazione dell’indirizzo politico trasformando il primo ministro in un mero esecutore. Ma si è trattato di un presidenzialismo «ad eccezione coabitazionista» in quanto in tre periodi (1986/88, 1993/95 e per l’intera legislatura 1997/2002) il presidente ha dovuto nominare un primo ministro e un governo espressione di una maggioranza parlamentare di opposto orientamento politico.
L’ULTRA-PRESIDENZIALISMO è stata accentuato dalle riforme del 2000/01 che hanno equiparato a cinque anni la durata in carica del presidente e dell’Assemblea nazionale e posposto di due mesi le elezioni parlamentari rispetto a quelle presidenziali, il che tra il 2002 e il 2017 ha determinato un effetto di trascinamento delle seconde sulle prime, caratterizzate da un crollo della partecipazione popolare (poco più del 43% nel 2017 e del 46% nel 2022). Macron ha accentuato la personalizzazione, come dimostra la decisione dello scioglimento anticipato dell’Assemblea nazionale annunciata la sera delle elezioni europee dopo avere non consultato (come prevede la Costituzione), ma meramente informato il primo ministro e i presidenti delle Camere.
NEL FRATTEMPO sono entrati in crisi i due fattori che garantivano la stabilità dalla Quinta Repubblica: dal 2017 il bipolarismo droite/gauche sostituito da un sistema politico multipolare, nel 2022 il fait majoritaire, che grazie al sistema elettorale maggioritario a doppio turno produceva una maggioranza parlamentare di regola fedele al presidente. Così nel 2022 la coalizione macroniana non ha avuto la maggioranza assoluta dei seggi e il presidente ha nominato un governo di minoranza che ha fatto ricorso a rigidi strumenti procedurali per imporre il sostegno parlamentare alle politiche presidenziali. La situazione scaturita dalle elezioni straordinarie del 2024 è molto diversa: la coalizione governativa ha dimezzato i suoi deputati, vi è stata una crescita del Rassemblement national che non ha conquistato la maggioranza assoluta grazie alla desistenza praticata al secondo turno elettorale, il Nouveau Front populaire ha avuto la maggioranza relativa anche se lontana da quella assoluta.
Occorre quindi ricorrere ad una logica parlamentare con la formazione di un governo di coalizione, che aggreghi una maggioranza o anche minoritario che ricerchi il consenso sui singoli provvedimenti proposti, e determini la politica nazionale.
IN QUESTO CONTESTO Macron che ha perduto le elezioni si comporta come se fosse libero di scegliere il governo che preferisce. Quindi il ricorso organico alle consultazioni dei partiti parlamentari è sfociato nel rifiuto di nominare la candidata indicata all’unanimità dalle sinistre, anche al prezzo della non presenza come ministri di esponenti della France insoumise. Macron punta a dare vita ad una coalizione dei perdenti (centristi e gollisti) e a una rottura del Nfp, che contrasterebbe con la volontà manifestata dal popolo di sinistra. In sostanza ripropone una lettura presidenzialista della Costituzione in un contesto in cui è in evidente crisi e si impone quella parlamentare che non può prescindere dall’applicazione rigorosa delle disposizioni costituzionali che gli danno il potere di nominare il primo ministro ma alla luce del risultato delle elezioni dell’Assemblea.
Difficilmente la risposta può essere la destituzione del presidente, ventilata da Mélenchon, che richiede la maggioranza dei due terzi dei membri prima delle due Camere poi del parlamento costituito in Alta Corte. Piuttosto vanno prese in seria considerazione le proposte avanzate in Francia, anche da vari costituzionalisti, di adozione di un sistema elettorale proporzionale per l’Assemblea nazionale e di abolizione della elezione popolare del presidente della Repubblica, ritenute più corrispondenti al nuovo contesto politico e a un funzionamento parlamentare della forma di governo.