I fatti avvenuti a Pisa e a Firenze lo scorso 23 febbraio sono solo l’ultimo degli episodi di manifestazioni pubbliche di cittadini aggrediti dalle forze di polizia.
Parlare chiaro è sempre bene ed è parlare chiaro affermare che a Pisa e a Firenze non c’è stato alcun esercizio legittimo dell’ordine pubblico da parte delle forze dell’ordine, inviate nelle piazze centrali non per vietare una “manifestazione non autorizzata”, non per disperdere i manifestanti secondo modalità espressamente previste dalla legge, non per contenere un corteo al fine di proteggere luoghi o palazzi delle città ritenuti sensibili.
L’illegittima violenta aggressione della polizia che si è accanita su ragazzi liceali di Pisa, tutti pacifici, tutti a volto scoperto, tutti disarmati, persino tutti a mani alzate per evitare l’aggressione, incastrati in un vicolo per impedire di raggiungere una piazza e qui manganellati, dimostra che la linea governativa nella gestione dell’ordine pubblico sta assumendo una piega che deve inquietare chiunque.
Parlare chiaro è rinfrescare la memoria a chi non ricorda o deliberatamente ignora che l’art. 17 della Costituzione sancisce il fondamentale diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente e senz’armi: è un diritto costituzionale, che nessuna norma o atto o comportamento può violare. E per chi nemmeno conosce gli elementari del diritto costituzionale è bene sottolineare che l’art. 17 della Costituzione non richiede affatto che per riunirsi in luogo pubblico sia necessaria l’autorizzazione dell’autorità, semplicemente che se ne debba dare preavviso, specificando che il diritto può essere vietato solo se l‘autorità indichi motivi comprovati di sicurezza e di incolumità pubblica.
Per ricordare tutto questo è stato necessario il comunicato del Quirinale, fermo e determinato, perfettamente coerente con il ruolo di garante che la Costituzione assegna al presidente della Repubblica. Intervento necessario quello del presidente Mattarella, ma che dà anche il segnale di quale sia l’orientamento di fondo del governo di destra: l’evidente irritazione che ha provocato in alcuni componenti delle forze politiche che formano il governo, da FdI alla Lega a FI, dimostra che la difesa costituzionale dei diritti elementari deve essere costantemente vigile e attiva, da parte di tutti i cittadini.
La violenza delle forze di polizia usata a Pisa, e anche in altre città, contro cittadini indifesi non è – come si è sentito dire – esagerata, o frutto di errori o di “difficoltà operative”: esagerare significa farsi prendere la mano, superare i limiti di un (pur) legittimo esercizio derivante dall’autorità che si incarna; “errori” o asserite “difficoltà operative” sono concetti inammissibili, privi di logica spiegazione a fronte di quanto è accaduto.
La violenza illegittima esercitata dalla polizia viene da ordini precisi, che dal ministero dell’interno passano ai gradini territoriali inferiori. È un’offesa all’intelligenza dell’opinione pubblica invocare “la responsabilità individuale del fatto”, come ha fatto il ministro degli esteri Tajani e vice presidente del consiglio, per deviare sugli interrogativi che riguardano la responsabilità del ministro dell’interno Piantedosi. In un Paese civile democratico come l’Italia non sono contemplati gruppi di agenti – perfettamente abbigliati in assetto antisommossa – che aggrediscono e picchiano i manifestanti perché mossi da spontanea consapevolezza di esercitare l’ordine pubblico.
È stato detto che i regimi autoritari cominciano nelle strade. È così. Ed è bene averne consapevolezza, perché il rigore nella difesa dei diritti costituzionali significa, allora, che continuare a manifestare pacificamente il dissenso nelle strade costituisce il maggior pericolo per chi sta tentando di riportare le lancette indietro nel tempo o di creare un nuovo stile autoritario nella nostra Repubblica.
A proposito di responsabilità individuali e collettive, vale la pena ricordare che risalgono a 23 anni fa le diverse proposte di legge in Parlamento dirette ad adottare i codici identificativi su uniformi e caschi del personale delle forze di polizia impegnate in servizio di ordine pubblico. La prima, del 2001, a firma Pisapia e altri, è stata respinta il 31.5.2002. Le altre 4 – presentate a partire dal 2018, per ultima quella dell’ottobre 2022 a firma Cucchi e altri – giacciono nei cassetti delle Commissioni Affari costituzionali delle rispettive Camere a cui sono state assegnate. Per esse non è mai stato iniziato l’esame.
L’identificazione degli agenti di polizia che si occupano di ordine pubblico è già regola diffusa in ambito europeo: dopo l’invito del Consiglio d’Europa agli Stati membri nel settembre 2001 (sortito a seguito dei fatti del G8 di Genova) ad adottare provvedimenti per individuare con maggiore facilità le forze dell’ordine quando prestano servizio in manifestazioni pubbliche e dopo la risoluzione del Parlamento europeo del novembre 2012, Francia, Spagna e Germania hanno introdotto un sistema di identificazione. L’Italia è ferma “alla proposta”, vincolata da precise ragioni politiche a cui non è estranea la contrarietà delle organizzazioni sindacali di polizia.
Occorre la richiesta collettiva per ottenere che il Parlamento esprima una legge che finalmente allinei l’Italia – oltre che alla sua Costituzione, continuamente disapplicata – anche alle altre democrazie europee in tema di esercizio dell’ordine pubblico e tutela del libero diritto di riunione dei cittadini. La difesa dei diritti costituzionali si realizza anche in questo modo.
Visti i fatti e i comportamenti governativi di questi giorni, si può facilmente immaginare – nell’ipotetico panorama di un nuovo ordinamento costruito sulla proposta di “premierato” avanzata dalla destra – quale rilievo potrebbe avere l’intervento del presidente della Repubblica che oggi ricorda, in primis al ministro dell’interno, come i manganelli siano estranei alla autorevolezza delle Forze dell’ordine. Un presidente della Repubblica, spogliato in quel sistema di premierato del ruolo di garante, verrebbe ignorato, o rintuzzato allo scopo di metterlo sui suoi nuovi binari istituzionali.
Anche i fatti dello scorso 23 febbraio sono l’evidente segnale che il dissennato “premierato” promosso dalla destra avrebbe campo libero nell’usare la repressione dei diritti costituzionali, a cominciare dalla libera manifestazione del pensiero in ogni piazza e strada italiane.
L’autrice: L’avvocato Silvia Manderino è vice presidente del Coordinamento democrazia costituzionale