Appello per il cessate il fuoco
Dopo l’ampia discussione avvenuta nel convegno del 6 febbraio 2024 nella sala degli atti parlamentari della Biblioteca del Senato gli organizzatori e i partecipanti inviano questo nuovo appello.
Dopo 120 giorni di combattimenti che hanno causato oltre 28.000 vittime, di cui il 70% composto da donne e bambini, non si arresta l’offensiva di Israele contro la martoriata popolazione della Striscia di Gaza. Anzi è in programma un attacco a Rafah al confine con l’Egitto dove si concentra la popolazione palestinese fatta evacuare dal nord della Striscia. Alla luce delle sofferenze “indicibili” inflitte alla popolazione di Gaza, e destinate ulteriormente ad incrementarsi, è divenuto imperativo il cessate il fuoco. Le misure di prevenzione del Genocidio decretate dalla Corte Internazionale di Giustizia non possono trovare attuazione se non si perviene immediatamente al cessate il fuoco. Solo il cessate il fuoco può impedire che il Genocidio si compia. Dobbiamo esigere che l’Italia e l’Unione Europea impongano il cessate il fuoco, a pena di sanzioni adeguate. Il rischio, come avvertono in una drammatica lettera aperta 800 funzionari USA e UE, è quello di diventare complici di “una delle peggiori catastrofi umane di questo secolo”.
Il cessate il fuoco è una condicio sine qua non per avviare un percorso di pace ma non è sufficiente se non vi è un progetto per il futuro. Il fatto che il conflitto si prolunghi, senza che se ne intraveda una via d’uscita, dipende dalla oscurità degli obiettivi perseguiti in fondo ai quali si intravede il disegno, impossibile a realizzarsi e disumano, del Governo Netanyahu, di liberarsi della popolazione palestinese per espandere il territorio dello Stato ebraico “dal fiume al mare”, realizzando così una seconda e definitiva Nakba. La vastità delle distruzioni operate da Israele rende evidente l’obiettivo di eliminare la presenza dei palestinesi a Gaza come comunità politica.
Non è un caso se sono stati distrutti quei luoghi nei quali un gruppo umano si riconosce come comunità: l’Università, il Tribunale, il Parlamento, le scuole, le chiese, le moschee e gli ospedali. Netanyahu ha in più occasioni dichiarato che, dopo aver conseguito la “vittoria” non ritirerà l’esercito da Gaza e che Israele manterrà il controllo della sicurezza. Questo vuol dire che resterà in vigore l’assedio che ha soffocato Gaza negli ultimi 15 anni e che Israele si riserverà il diritto di eliminare qualsiasi forma di resistenza. E’ evidente che fin quando Israele pretenderà di mantenere il controllo su Gaza, il conflitto non avrà fine e non potranno essere ripristinate le condizioni minime di vita per la popolazione palestinese.
Il primo passo da compiere è quindi la liberazione del popolo di Gaza dall’occupazione israeliana. Occorre un intervento immediato della Comunità internazionale attraverso l’ONU per definire lo status giuridico di Gaza, con una soluzione transitoria. Ciò può avvenire con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, adottata a norma del Cap. VII della Carta, come in passato avvenne per il Kosovo, che fu distaccato dalla Serbia e sottoposto ad una amministrazione ad interim delle Nazioni Unite. La Palestina è stata già un Mandato britannico, oggi per la Striscia di Gaza si può resuscitare una sorta di Mandato affidato alle Nazioni Unite. Un’amministrazione civile e militare dell’ONU dovrebbe liberare gli ostaggi, se ancora sequestrati, procedere al disarmo di Hamas e della Jihad islamica, che potrebbero restare attivi come partiti politici assieme ad altri, impedire che dal territorio della Striscia possano partire atti di ostilità contro Israele, affrontare tutte le emergenze causate dalla guerra.
L’Amministrazione dell’ONU dovrebbe promuovere la creazione, in attesa di una soluzione definitiva, di una sostanziale amministrazione autonoma della Striscia di Gaza. Il processo di pace deve puntare alla riconciliazione fra i due popoli ma la riconciliazione non è possibile se una parte continua a schiacciare l’altra. Oltre alla liberazione degli ostaggi è decisiva la liberazione dei detenuti politici palestinesi, fra cui Marwan Barghouti, come contributo alla pacificazione. Per contribuire al processo di pace, il Parlamento italiano deve riconoscere immediatamente lo Stato palestinese.