L’emendamento formulato dal deputato di Azione Enrico Costa, assai dedito a simili avventure, ha peggiorato il testo di delega per il recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza, introducendo il divieto di pubblicare in modo integrale o per estratto il testo di un’ordinanza cautelare. Non per caso buona parte del mondo democratico dell’informazione è insorto, pur con toni e accenti differenziati.
L’associazione Articolo21 ha promosso un incontro online sull’argomento e la federazione della stampa – anche in vista di un’assemblea nazionale dei comitati di redazione prevista per il 3 gennaio – ha deciso di non partecipare al tradizionale incontro di fine d’anno con la presidenza del consiglio. La rete NoBavaglio si è espressa con parole aspre, ottenendo a sua volta numerose adesioni.
Chiamiamolo o meno bavaglio, la sostanza è chiara.
Con un colpo solo la maggioranza della camera dei deputati ha dato il via libera ad un ordito tanto pericoloso quanto surreale. Pericoloso perché, come ha sottolineato con forza e sofferenza Ilaria Cucchi, se non si fosse conosciuta la stesura completa dell’ordinanza inerente al calvario del fratello, lo stesso avvocato Anselmo – così efficace nel fare emergere le incofessabili porcherie sottese ad una morte tutt’altro che accidentale – non avrebbe avuto l’opportunità di sviscerare il caso. E così chissà quante vicende che attengono alle malefatte dei luoghi del potere non uscirebbero da una fredda comunicazione giudiziaria: come un titolo senza allegato.
Inoltre, la decisione finora assunta (il dispositivo non è ancora legge mancando il decisivo passaggio del senato e non è neppure di esecuzione immediata in attesa dei regolamenti attuativi) in sede parlamentare ha un sapore di lotta arcaica contro la modernità. Davvero si pensa di comprimere la conoscenza di un atto pubblico? A parte il fatto che già ci sono stati pronunciamenti tesi alla disobbedienza civile, nonché prese di posizione assai scettiche di autorevoli voci della magistratura, è evidente che il divieto rischia di essere una grida manzoniana. Anzi, assisteremmo al solito mercato nero delle notizie, che rende non più rigoroso il rispetto delle garanzie per le persone indagate, bensì maggiore la distanza tra chi può permettersi una costosa assistenza legale e chi no.
Non solo. Nell’età che si vorrebbe della trasparenza della pubblica amministrazione e del Freedom of information act (introdotto in Italia con il decreto legislativo numero 97 del 2016), oscurare è una scelta medievale e autoritaria.
Il presidente del sindacato dei giornalisti Vittorio Di Trapani e la docente esperta in questioni comunitarie Marina Castellaneta hanno accuratamente spiegato che la stessa direttiva che si vorrebbe recepire e le regole internazionali in materia vanno in senso opposto. Vale a dire, norme e giurisprudenza consolidate affermano il primato del diritto ad informare e ad essere informati, mentre il velo del segreto confligge con la libertà di sapere. Si è espresso nettamente pure l’ordine dei giornalisti.
Insomma, si cerca di introdurre in Italia un’ulteriore sequenza repressiva; e nulla si fa sulle querele temerarie o sul rispetto delle fonti o sullo sblocco dell’equo compenso per i giornalisti precari.
Solo un’assurdità? Non pare, vista la tenacia del proponente e di chi lo supporta nella destra (e non solo). C’è un disegno, per quanto rudimentale, figlio della stagione delle cosiddette democrature: come in Ungheria o in Polonia, ad esempio. La segretezza è necessaria per il potere e richiede accentramento decisionale, oltre alla limitazione del ruolo della magistratura e dell’informazione.
Talvolta, un piccolo maldestro articolato ha un valore sia in sé sia per il contesto che evoca e cui offre ulteriori elementi.
Articolo21 lancerà una specifica campagna, con un comitato di giuristi appositamente creato.
Ma è auspicabile che nella lettura finale in parlamento l’opposizione riesca a condurre una lotta non limitata ad un voto contrario, bensì connessa alle iniziative tese a difendere la Carta costituzionale.