Autonomia differenziata: l’altolà dei Comuni
Di Mauro Volpi
Il 2 marzo il ministro per gli affari regionali Calderoli ha sbandierato l’approvazione del suo disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio, da parte della Conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali. Non è così. Intanto il testo ha avuto il voto favorevole dei soli Presidenti regionali di centro-destra, compresa l’umbra Tesei che ha magnificato un inesistente coinvolgimento di tutte le Regioni da parte del ministro (il quale in realtà ha costituito un asse privilegiato con Veneto e Lombardia) e il ricorso al referendum come se fosse stato nazionale mentre nel 2017 ha riguardato solo le due Regioni citate, le quali insieme all’Emilia e Romagna hanno condotto trattative riservate con governi e ministri degli affari regionali a insaputa della grandissima maggioranza dei cittadini italiani. Hanno votato contro i quattro Presidenti di centro-sinistra: oltre De Luca e Emiliano, anche Bonaccini e Giani che pure (soprattutto il primo) avevano avanzato richieste sulla scia di quanto stabilito da Veneto e Lombardia, e quindi hanno ridimensionato le originarie velleità differenziatrici (questione sulla quale la nuova segretaria Schlein ha preso una posizione nettamente contraria). Ma c’è di più: l’1 marzo il Comitato direttivo dell’ANCI (che riunisce tutti i Comuni italiani) ha presentato all’unanimità un’ampia nota critica nei confronti della legge Calderoli e ne ha subordinato la propria approvazione all’accoglimento di numerosi emendamenti.
Vari sono i rilievi critici del documento. Viene innanzitutto sottolineata la necessità che l’art. 116. c. 3, Cost., vada letto e attuato in sintonia con gli articoli che riguardano tutte le autonomie territoriali, con particolare riferimento al riparto delle competenze e al finanziamento delle funzioni attribuite, e nel rispetto della tutela dell’unità giuridica e economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire in tutto il territorio nazionale. Quanto al metodo, viene criticata l’esclusività del confronto con le Regioni e il ridotto coinvolgimento degli Enti locali. Si avanza pertanto la richiesta che questi, tramite il Consiglio delle autonomie locali laddove istituito o tramite parere dell’ANCI e dell’UPI, siano consultati non solo nella fase della iniziativa regionale, ma anche sulla proposta definitiva di intesa Stato-Regione. Inoltre rappresentanti degli Enti locali devono fare parte della Commissione paritetica Stato-regione chiamata a determinare le risorse umane e finanziarie per l’esercizio delle funzioni trasferite e l’intesa relativa che la disciplina non può stabilire le modalità di finanziamento, che, come dimostra il riferimento alle “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale” (art. 5, c. 2, legge Calderoli), verrebbe a privilegiare le Regioni più ricche. Infine si avanza la proposta, che deriva evidentemente dalla emarginazione del Parlamento, della istituzione di una commissione parlamentare ad hoc che accompagni tutto il procedimento e il suo monitoraggio.
Quanto alla determinazione dei LEP, che dovrebbe precedere il trasferimento delle funzioni, viene criticata la via non legislativa seguita dalla legge di bilancio che attribuisce la competenza relativa alla Cabina di regia nominata dal governo e a Decreti del Presidente del consiglio dei ministri in contrasto con la riserva di legge stabilita nell’art. 117 Cost. Si sottolinea poi che la legge Calderoli si limita a prevedere che il trasferimento delle funzioni nelle materie riferibili ai LEP possa avvenire dopo la sua determinazione e faccia comunque salvo il confronto già avvenuto tra il Governo e le tre Regioni ricche del Nord sugli atti di iniziativa da queste presentati prima della legge.
Quanto alla individuazione delle funzioni trasferibili, si sottolinea che l’autonomia differenziata deve “rispondere unicamente a una specifica attitudine funzionale di ciascuna Regione interessata” e non ad “una mera rivendicazione di competenza legislativa senza alcun aggancio o fondamento in caratteristiche peculiari e soggettive della Regione”, come hanno fatto le tre regioni del Nord che hanno chiesto il trasferimento di tutte (il Veneto) o quasi tutte (Lombardia e Emilia) le 23 materie potenzialmente coinvolte.
Il punto che sta particolarmente a cuore ai Comuni riguarda l’esigenza di contrastare il rafforzamento del centralismo regionale che si è già manifestato in passato e che ha teso a trasformare la natura delle Regioni da enti legislativi di programmazione e di indirizzo in enti di amministrazione attiva a scapito dei Comuni, che in base alla Costituzione sono titolari di funzioni fondamentali stabilite dalla legge e più in generale di tutte le funzioni amministrative, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato (art. 118, c. 1, Cost.). Ne consegue che le “forme e condizioni particolari di autonomia” che le Regioni potrebbero richiedere dovrebbero riguardare prevalentemente o esclusivamente le competenze legislative nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione. Al contrario la legge Calderoli stabilisce che le funzioni amministrative sono trasferite alle Regioni le quali “possono” attribuirle in via residuale agli Enti locali della medesima Regione. Da ciò deriva il rischio che la Regione possa costituire nuove agenzie, aziende o enti per l’esercizio delle funzioni trasferite. Ne conseguirebbe un grave pregiudizio per l’esercizio di servizi fondamentali ai quali i Comuni devono fare fronte in una situazione di grave difficoltà economica e finanziaria.
Infine il documento dell’ANCI chiede che la questione della perequazione e del perseguimento dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, affrontate sbrigativamente dall’art. 9 della legge Calderoli, oltre ad essere estranee alla materia dell’autonomia differenziata, devono essere organicamente affrontate in un “provvedimento normativo di più ampio respiro”, che dia finalmente attuazione all’art. 119 Cost. il quale prevede un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante (c. 3) e risorse aggiuntive e interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (c. 5).
Ebbene, le critiche dell’ANCI non hanno impedito al Governo di approvare in via definitiva nel Consiglio dei ministri del 16 marzo il disegno di legge Calderoli in un testo sostanzialmente identico a quello del 2 febbraio. L’unica modifica riguarda la previsione che l’approvazione regionale dell’intesa assicuri la consultazione degli Enti locali. Un cambiamento davvero minimo che non incide sulla natura antidemocratica e incostituzionale del testo.