8, 9 e 10 marzo: tre giorni cruciali di eventi simbolo della disumanità che avanza.
Quando c’è una guerra in corso, l’esigenza di legittimare o anche più semplicemente di far accettare le azioni più atroci e disumane, che costituiscono l’essenza stessa della guerra, porta gli apparati politici ed i mass media a declinare le scelte compiute ammantandole di valori assoluti, tanto più intransigenti, quanto più farlocchi. Così se dal versante russo, si legittima la guerra alzando la nobile bandiera della lotta al nazismo e si risveglia lo spirito patriottico richiamando gli immensi sacrifici umani sostenuti dall’URSS per sconfiggere Hitler, sull’altro versante l’aggressione all’Ucraina è un’aggressione alla democrazia e ai “valori dell’Occidente”, che le potenze (autocratiche) non occidentali vogliono travolgere. Di qui la necessità di una lotta senza quartiere per ristabilire l’ordine internazionale basato sulle regole (quali?). In questo scontro titanico fra principi supremi, la politica dei Grandi è disposta a pagare qualsiasi prezzo umano ed a produrre centinaia di migliaia di morti, proprio come accadeva durante la prima guerra mondiale, quando si sono distrutte intere generazioni nel nome della “Patria”. Questa politica necrofila si appresta a cogliere ulteriori trionfi. Adesso il mantra della NATO è che bisogna incrementare le scorte di munizioni ed aumentare la produzione per consentire all’Ucraina di lanciare la controffensiva di primavera. Lo ha detto, senza un filo di vergogna, Stoltemberg/Stranamore al meeting dei Ministri della difesa UE (Stoccolma, 8 marzo).
Resta il dilemma, finiranno prima le munizioni o gli uomini da sacrificare sul campo di battaglia?
Il 9 marzo si verificano due eventi, che mettono in gioco i “valori dell’Occidente” sul fronte dell’immigrazione. A Cutro si svolge un Consiglio dei Ministri straordinario per varare un nuovo decreto legge sull’immigrazione e la Meloni dichiara: “Abbiamo voluto celebrare questo consiglio dei ministri qui a Cutro perché all’indomani della tragedia volevamo dare un segnale simbolico e concreto.” Quale segnale? Tutte quelle bare allineate nel Palazzetto dello sport di Crotone, non hanno indotto nessun ripensamento, sulle politiche di abbandono in mare e di ostacolo alle azioni di salvataggio delle ONG, anzi il decreto legge reca il segnale opposto: come dobbiamo rendere la vita più difficile a coloro che sono sbarcati, ridimensionando la protezione speciale. Come ha osservato Donatella di Cesare (il Fatto, 9 marzo): “nessun governo precedente di questa Repubblica ha mai dato un messaggio così duro ed inesorabile: la vita degli altri conta poco o nulla”. Quei peluche che sono stati lanciati contro il corteo delle macchine blu, sono l’unico segnale simbolico e concreto di quanto è avvenuto, sono un simbolo potente: è l’innocenza sacrificata che chiede conto al potere.
Nello stesso giorno a Londra viene presentato dal Governo Sunak, l’illegal immigration Bill. Una nuova disciplina, mirata a stroncare gli sbarchi sulle coste inglesi del popolo dei migranti e richiedenti asilo. Coloro che sbarcano “illegalmente” saranno imprigionati, in centri di detenzione, e quindi rimpatriati nel paese di origine o deportati in paesi “sicuri” come il Ruanda con cui il ministero degli interni ha già siglato un accordo, senza possibilità di opporsi o fare appello per bypassare la Corte di Strasburgo che ad oggi, appellandosi alla Convenzione Europea dei Diritti Umani, ha bloccato sulle piste inglesi i voli già previsti per Kigali. Con questa nuova disciplina la Gran Bretagna, si ribella, anche formalmente, alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e all’autorità della sua Corte, e fa strame della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. E’ la cultura dello scarto che trionfa, la necropolitica si sbarazza dei vincoli che il diritto ha posto a tutela dei diritti umani. Cionondimeno la Gran Bretagna non arretra dalla guerra per la difesa dei “valori dell’Occidente”.
La sera del 9 marzo è giunto a Roma il Premier israeliano Benjamin Netanyahu, accompagnato da un coro di proteste e blocchi dei cittadini israeliani che contestano la sua politica di demolizione dei presidi dello Stato di diritto, a cominciare dalla “riforma della Giustizia”, che mira esplicitamente ad eliminare ogni autonomia della Corte Suprema israeliana rispetto al potere politico di governo. La cartina di tornasole che identifica un sistema politico come democratico, non è la possibilità di eleggere, ad intervalli regolari un organo legislativo, ma la possibilità che l’esercizio del potere politico sia sottoposto a dei controlli di legalità. Con la sua “riforma della Giustizia”, Netanyahu, toglie ogni freno all’esercizio del potere politico che, in questa fase storica, tende a diventare sempre più violento e vendicativo, come dimostra la via crucis quotidiana delle uccisioni nei territori occupati.
In realtà è difficile che uno Stato possa essere democratico con i propri cittadini e praticare l’apartheid nei confronti delle popolazioni sulle quali comunque esercita il suo potere. Come se non bastasse, l’estrema destra al potere medita di introdurre la pena di morte. “Chi causa la morte di un cittadino israeliano spinto da motivi razzisti o di odio, e con lo scopo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella sua patria, rischia una condanna a morte”. Recita così il disegno di legge proposto da Otzma Yehudit – partito politico ultranazionalista ebraico che tra i suoi punti programmatici prevede l’annessione a Israele dell’intera Cisgiordania. Naturalmente il beneficio della pena di morte è riservato solo al terrorista che causa la morte di un cittadino israeliano, non si applica al cittadino israeliano che causa la morte di un palestinese, spinto da motivi razzisti o di odio. A coloro che hanno suscitato delle perplessità è stato risposto che la pena di morte è praticata anche nelle “grandi democrazie”, come gli Stati Uniti.
Il 10 marzo Netanyahu è stato ricevuto con tutti gli onori a Palazzo Chigi. Nella conferenza congiunta la Meloni ha dichiarato: “Ci conosciamo e ci stimiamo da tempo.”
Non ne abbiamo mai dubitato!