In un’intervista a Fanpage.it il costituzionalista Mauro Volpi spiega perché l’accelerazione del ministro Calderoli sull’autonomia differenziata non è una buona notizia per la democrazia. Il professor Volpi sostiene la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, che intende limitare il progetto dell’autonomia differenziata.

Il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli (Lega) ha depositato a Palazzo Chigi il disegno di legge sull’autonomia. Il ministro leghista spera che il Consiglio dei ministri possa approvare entro gennaio una proposta di legge sull’autonomia differenziata: “La mia speranza è che la legge possa uscire dal Cdm con approvazione preliminare e quindi venga mandata in Conferenza unificata e che per gennaio possa essere approvata come proposta di legge, non stiamo parlando di un decreto legge, che dovrà poi essere discussa dal Parlamento”, ha spiegato ieri.

L’attivismo di Calderoli però ha messo in allerta maggioranza e opposizione, con il Pd che chiede il ritiro del disegno di legge e il M5s che lo giudica “scellerato”. Un’accelerazione, quella di Calderoli, considerata un calcolo politico, una conseguenza dell’imminente voto per le elezioni regionali in Lombardia.

Secondo Francesco Boccia, senatore Pd e responsabile Regioni e Enti locali della Segreteria nazionale, “Parlare di Autonomia differenziata senza mai dire preventivamente quante e quali risorse saranno destinate al Sud sarebbe l’ennesima presa in giro al Mezzogiorno”. Il parlamentare dem chiede che prima ci siano “le risorse e la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) su scuola, sanità, assistenza e trasporto e poi l’Autonomia. Il tema è politico: definire i Lep attraverso la cabina di regia con un dpcm è inaccettabile, la vita delle persone non può essere definita con un provvedimento amministrativo. Così come il testo deve essere prima condiviso con la Conferenza Stato Regioni e con la Conferenza Unificata, senza fughe in avanti unilaterali”.

Ma cosa succederebbe se non fossero definiti i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), che la legge di Bilancio affida a una cabina di regia, nei tempi prefissati? Ne abbiamo parlato con Mauro Volpi, docente di Diritto Costituzionale all’Università di Perugia e componente del Direttivo del Coordinamento per la democrazia costituzionale, secondo cui se non si arrivasse a definire i Lep “l’autonomia differenziata andrebbe avanti lo stesso. I Lep funzionano un po’ come una cortina fumogena: in primo luogo si stabilisce non che siano attuati, ma che siano soltanto determinati, con dpcm. Non si indicano esattamente quali sono le materie su cui i Lep sono necessari, né le risorse finanziarie che dovrebbero garantirli. In assenza di tutto questo, come emerge dal disegno di legge Calderoli, si ricorre alla spesa storica, cioè a quella che lo Stato ha esercitato all’interno delle varie Regioni, che premia soprattutto le Regioni del Nord”.

Secondo Volpi infatti per assicurare gli standard minimi di prestazioni, affinché ci sia un’eguaglianza nel godimento dei diritti sociali e civili, occorrerebbero i 60 e gli 80 miliardi: “Economisti che si sono occupati della questione hanno indicato questa cifra, che in una situazione di difficoltà economica non è facile raggiungere. Ci vorrebbe in realtà uno spostamento di risorse da Regioni che hanno potuto beneficiare di una spesa storica più consistente rispetto ad altre Regioni, sarebbe necessario un riequilibrio. Invece con l’autonomia differenziata si va in direzione esattamente opposta: sarebbero premiate proprio le Regioni che sono state favorite dalla spesa storica”.

Se la cabina di regia non sarà in grado di definire i Lep entro un anno, il compito passerà a un commissario, e questo per il professor Volpi sarebbe un problema per la democrazia, “perché tutto avviene all’interno del governo, con un ruolo determinante svolto dal ministro per gli Affari regionali, e nel rapporto con gli esecutivi regionali, soprattutto con i presidenti delle Regioni: lì si costruisce l’intesa”.

Per Volpi le intese sono trattative di tipo quasi privatistico – come quelle già siglate tra le Regioni Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e il governo – che avvengono all’insaputa delle altre Regioni e dei cittadini italiani: “L’iniziativa è della Regione, che deve solo sentire gli enti locali. Dopodiché si costruisce un’intesa provvisoria, che va al Consiglio dei ministri. In base al disegno di legge Calderoli si richiede solo un parere, non vincolante, della Conferenza unificata e poi della commissione parlamentare per le questioni regionali. Il procedimento va avanti comunque, entro trenta giorni, anche se i pareri non ci sono. È del tutto evidente che questi pareri non hanno alcuna incidenza. Quindi il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge che attua l’intesa, e questo va al Parlamento per l’approvazione finale”.

“Dunque il Parlamento – ha aggiunto – non ha nessuna possibilità di emendare il tutto, e in questo modo si corre il rischio di spaccare l’Italia in tante piccole Repubbliche: anche se dovrebbe svolgere un ruolo di primo piano, il Parlamento è esautorato sia prima che dopo l’approvazione dell’intesa, che diventa praticamente irreversibile. L’intesa potrebbe essere modificata solo sulla base di una nuova intesa, tra lo Stato e la Regione. Allo stesso modo il Parlamento non discute dei Lep, perché tutto si esaurisce all’interno del governo”.

 

Chi è contro l’autonomia differenziata è contro la Costituzione?

L’autonomia differenziata è prevista dall’articolo 116 della Costituzione, per cui chi sostiene la riforma dice che chi vuole ostacolare il progetto è in realtà contro la Costituzione. Secondo il costituzionalista Volpi quest’affermazione “non tiene conto del fatto che questo articolo introdotto nella Costituzione nel 2001 deve fare sistema con il complesso degli articoli che riguardano l’autonomia, e in particolare con i principi costituzionali, e cioè con l’articolo 5 della Costituzione, che sancisce l’unitarietà e l’indivisibilità della Repubblica italiana, ma anche con l’articolo 3, secondo comma, cioè il principio di uguaglianza, la rimozione degli ostacoli che determinano le disuguaglianze territoriali. E naturalmente si devono assicurare i Lep, e cioè l’attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva per la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni. Per far ciò bisognerebbe evitare, come invece indica il disegno di legge Calderoli, che tutte le 23 materie possano essere trasferite alle Regioni. Il Veneto per esempio le ha chieste tutte e 23”.

 

Cosa dice la proposta di legge di iniziativa popolare contro l’autonomia differenziata

Il professor Volpi sostiene la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, scritta dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, con cui verrebbero posti alcuni limiti all’autonomia differenziata, modificando gli articoli 116 e 117 della Costituzione. Il testo prevede che il trasferimento di singole funzioni alle Regioni sia legato alle specificità territoriali, che non ci siano più intese tra singole Regioni e Governo, che la Regione interessata possa fornire un parere e che spetti poi al Parlamento decidere se e come legiferare in merito.

La proposta di legge introdurrebbe poi la possibilità, al momento non contemplata, di ricorrere a un referendum, per dare la parola ai cittadini. Nel primo mese – la raccolta firme è iniziata a novembre – sono state raccolte quasi 10mila firme (ne occorrono 50mila in tutto), e c’è tempo fino a fine aprile.

“L’auspicio è che ci sia il sostegno dei sindacati della scuola, che hanno dichiarato di appoggiare l’iniziativa, ma di anche altri soggetti. Ultimamente è arrivato il sostegno ufficiale anche di Anpi e Arci, e abbiamo riscontrato un impegno significativo della Cgil. A livello politico abbiamo registrato piena disponibilità del M5s e di Sinistra italiana, e di settori del Partito Democratico, che sulla questione è un ancora un po’ diviso”, ha detto il professore a Fanpage.it.

“Con questa proposta noi chiediamo di limitare molto bene l’articolo 116 comma 3 della Costituzione, e cioè che possano essere trasferite alle Regioni funzioni solo in stretta correlazione con bisogni territoriali. Significa che la richiesta di autonomia della Regione deve essere motivata. Il secondo punto che noi chiediamo è di eliminare il meccanismo dell’intesa: la Regione può prendere l’iniziativa, dopodiché tutto passa nelle mani dello Stato e del Parlamento. Quest’ultimo nel momento in cui approva la legge a maggioranza assoluta può modificarne i contenuti, dopo averne discusso nel merito. Inoltre si prevede che possa esserci un referendum preventivo su richiesta di altre Regioni o di 500mila cittadini italiani, ed eventualmente dopo anche un referendum abrogativo, qualora si verifichino dei problemi nell’attuazione della legge”, ha spiegato Volpi.

“Per quanto riguarda l’istruzione si prevede poi una ricentralizzazione a favore dello Stato, fermo restando che argomenti come l’edilizia scolastica o analoghi possano essere oggetto di competenza concorrente”.

 

Quali sarebbero gli effetti dell’autonomia differenziata sulla scuola?

Se andasse avanti l’autonomia differenziata le norme generali sull’istruzione, attualmente nella competenza esclusiva dello Stato, verrebbero trasferite alla competenza legislativa delle Regioni, e l’istruzione, che adesso è materia concorrente, diventerebbe interamente regionale.

“Attualmente lo Stato ha la competenza esclusiva per quanto riguarda le norme generali sull’istruzione – ha spiegato Volpi – Si prevede poi che l’istruzione sia anche una materia concorrente, ovviamente in modo subordinato alle norme generali e ai principi fondamentali stabiliti dallo Stato. Tranne la formazione professionale che è di competenza regionale. Con l’autonomia differenziata tutto diventerebbe di competenza regionale, sia le norme generali sull’istruzione sia l’istruzione nel suo complesso, al di là dei principi fondamentali e della legge dello Stato. Questo potrebbe comportare conseguenze assurde: ogni Regione potrebbe costruirsi il suo sistema scolastico, a livello di programmi e di personale, con concorsi non più nazionali ma regionali, trattamenti economici per gli insegnanti eventualmente differenziati. Quest’ultimo aspetto è stato ad esempio ventilato in Veneto dallo stesso presidente Zaia. Questo andrebbe a colpire evidentemente i principi fondamentali della Costituzione di unitarietà, indivisibilità e uguaglianza”.