L’anno che verrà
L’anno che verrà non si presenta sotto i migliori auspici.
Tuttavia se il barometro del tempo politico volge a tempesta, non è questo il momento di abbandonarsi allo sconforto. Al contrario è proprio nelle situazioni più disperate che nei popoli può venire fuori un’energia insospettata.
L’avvento dell’anno nuovo generalmente viene accompagnato da un’aspettativa esistenziale che ogni anno si ripete. Ai piedi dell’anno che verrà si depongono tutte le illusioni, le amarezze ed i dolori che ci hanno accompagnato nell’anno appena trascorso col desiderio di sbarazzarcene ed iniziare una nuova vita sotto il segno della speranza.
Quest’anno è difficile ripetere i soliti riti propiziatori perché all’orizzonte infuria un tempesta che non accenna a placarsi. Il 2002, con nostro grande stupore, ha visto ritornare la guerra in Europa. Dalla fine della seconda guerra mondiale (esclusa la parentesi dei Balcani) la guerra non aveva fatto più capolino in Europa. Dopo 77 anni è ritornata con grande fragore di armi e squilli di tromba.
All’alba del 2023, dopo 10 mesi di combattimenti ininterrotti, non se ne intravede la fine dato che entrambi i contendenti sono determinati a combattersi fino alla “vittoria”.
Anche gli altri scenari internazionali sono oscuri e grondano di sangue. Così la Turchia può permettersi impunemente di bombardare la popolazione curda del Rojava, mentre in Iran prosegue il martirio del popolo iraniano, esposto alla repressione più crudele da parte di un regime intenzionato a reprimere le proteste “senza pietà”, come ha dichiarato il Presidente Ebrahim Raisi.
Nei Balcani la ferita sempre aperta provocata dalla separazione manu militari del Kosovo dalla Serbia, grazie all’intervento della NATO, sta provocando rinnovate tensioni sul fronte della tutela della minoranza serba, oggetto di minacce e discriminazioni.
In Israele l’insediamento del nuovo governo Netanyahu, ostaggio della destra religiosa per la presenza dei suoi esponenti più estremisti come Itamar Ben Gvir (alla Pubblica sicurezza) e Bezalel Smotrich (alle Finanze), lascia presagire un incremento della violenza e dei trattamenti disumani nei confronti della popolazione palestinese. Inoltre il nuovo Governo punta a limitare i poteri dei giudici e la libertà di espressione, perché vorrebbe fare della religione sempre di più il fondamento dello Stato.
Sul fronte interno l’orizzonte non è meno cupo. Con l’avvento del nuovo governo quelle forze politiche che hanno vissuto la Costituzione come l’esito di una loro sconfitta storica, adesso hanno la possibilità di prendersi la rivincita e demolire i tratti distintivi della democrazia repubblicana.
L’attacco si muove su tre fronti: “presidenzialismo”, “riforma della giustizia” e “autonomia differenziata”. Con l’introduzione del sistema presidenziale di tipo francese, si cancella una garanzia politica che svolge un ruolo di equilibrio e si mortifica ulteriormente il ruolo del Parlamento.
Con la c.d. “riforma della giustizia” si mira a stravolgere il sistema costituzionale di indipendenza della magistratura e a raccordare il giudiziario con i poteri di governo, intaccando il principio del “potere diviso”.
Con l’autonomia differenziata diventerebbero oggetto di differenziazione beni pubblici essenziali come l’istruzione, la sanità, il lavoro, demolendo di fatto il principio fondamentale che la Repubblica è una e indivisibile.
Se questo processo riformatore venisse portato a compimento sbarcheremmo in un altro pianeta, che non è più quello della Repubblica fondata sulla Costituzione nata dalla Resistenza.
Nel 2023, l’incrocio fra i venti di guerra, che infuriano feroci e il vento sovranista che soffia nel nostro paese produce le condizioni ideali per una “tempesta perfetta”.
Se il barometro del tempo politico volge a tempesta, non è questo il momento di abbandonarsi allo sconforto. Al contrario è proprio nelle situazioni più disperate che in ciascuno di noi può venire fuori un’energia insospettata.
Oggi che la pace nel continente europeo è perduta, la coscienza del pericolo estremo di una guerra nucleare e la consapevolezza delle sofferenze e dei danni irreparabili prodotti dal conflitto, può far rinascere nel profondo della coscienza collettiva quel sentimento di ripudio della guerra, che ha trovato espressione nella Carta dell’ONU e nella Costituzione italiana.
Se nel 2022 l’opinione pubblica è rimasta irretita dalla narrazione bellicista, nel 2023 in questa narrazione possono aprirsi delle crepe e può crescere il dissenso verso le èlite politiche, nazionali ed europee, che hanno indossato l’elmetto della NATO per correre alla guerra.
Parimenti sul fronte interno, il consenso riscosso con le elezioni del 25 settembre può rapidamente appassire man mano che questa maggioranza porterà avanti i suoi progetti di manomissione della democrazia costituzionale. Che possono essere respinti dal popolo italiano, com’è già avvenuto nel 2006 e nel 2016. L’anno che verrà ci chiama all’azione per la pace, i diritti, la democrazia.
Non dobbiamo farci cogliere impreparati.