La rielezione di Mattarella, dopo le prime reazioni “a caldo”, induce a diverse riflessioni. Anche perché «con due casi (consecutivi) su tredici, la rielezione cessa di essere eccezione e si trasforma in regola» (https://volerelaluna.it/politica/2022/02/03/i-guasti-e-i-rischi-della-rielezione-di-mattarela/).
Il mandato del Presidente della Repubblica dura sette anni ed è destinato a svolgersi per intero, salvo gli eventi precisati all’art. 86 della Costituzione (impedimento permanente, morte o dimissioni) e quanto previsto per la messa in stato di accusa per alto tradimento o attentato alla Costituzione e il relativo giudizio della Corte Costituzionale (integrata dai sedici membri “popolari” come da art. 135 Costituzione). In pratica, cause naturali a parte (come accaduto con Segni), solo l’iter della messa in stato di accusa può impedire al Presidente di proseguire il suo mandato. Procedimento sino ad oggi mai avviato anche se ha comunque “condizionato” le dimissioni di Leone e Cossiga (per quest’ultimo il Parlamento respinse la richiesta presentata). Così, tenendo conto che un mandato dura sette anni, una persona potrebbe ricoprire la più alta carica dello Stato anche per 14 anni (se non ancor di più): quasi tre legislature piene. Un’evenienza che si pone in contrasto con quella “regola aurea” della temporaneità delle cariche di vertice, propria degli ordinamenti democratici, espressa da Gaetano Azzariti (Perché la rielezione del presidente va vietata, il manifesto, 31 gennaio) e richiamata da Francesco Pallante nell’articolo sopra richiamato. Evenienza forse inopportuna però legittima, visto che in Costituzione non si pongono limiti per la rielezione del Presidente della Repubblica. Situazione che, tra gli Stati tra UE e G20, ci vede in compagnia solo con Cipro, Malta e India.
Il tema diventa ancor più delicato in relazione ai poteri del Presidente della Repubblica. Questi sono espressamente richiamati nella Costituzione e in tal senso “limitati”. Tuttavia, a parte che alcuni sono già di particolare rilievo (si pensi allo scioglimento delle Camere e alla elezione di ben cinque giudici della Corte costituzionale), la loro estendibilità è “a fisarmonica”, utilizzando l’espressione che Gianfranco Pasquino attribuisce a Giuliano Amato: «Se il Presidente è autorevole, se la sua personalità è forte, se il suo prestigio è grande, se la sua popolarità è diffusa […] allora egli potrà allargare la fisarmonica dei suoi poteri fino alla sua massima estensione». Quindi un mandato con poteri importanti ed estendibili, per una durata già lunga e che, praticamente, può interrompersi solo per sua stessa volontà o per cause naturali.
Viene da chiedersi: come mai i Costituenti, ben preoccupati di evitare accentramenti di potere in un sol organo costituzionale e men che meno in un sol uomo, non ne hanno negato (o limitato) la rieleggibilità? È un rischio/pericolo per gli equilibri del nostro ordinamento? Durante i lavori della Costituente ci furono opinioni contrastanti in merito, motivate da posizioni ideologiche e/o diffidenza reciproca (https://formiche.net/2021/05/rielezione-presidente-della-repubblica/). Alla fine si mantenne il mero riferimento ai sette anni senza porre divieti o limiti alla rieleggibilità. In pratica si rinviò agli equilibri che si andavano definendo e vedevano appunto nel Parlamento (integrato dai delegati regionali) la fonte della eleggibilità (e rieleggibilità) del Presidente. Alla fine infatti è (dovrebbe essere) sempre il Parlamento, depositario diretto della sovranità del popolo, il centro di “gravità permanente” del nostro Ordinamento. Per quanto “forte, prestigioso e popolare” un Presidente della Repubblica trova (dovrebbe trovare) il suo “contrappeso” proprio nell’organo eligente che dovrebbe ben considerare tutte le variabili in essere e le esigenze politiche del caso prima di procedere alla rielezione. Tutto sommato, per quanto possa o no piacere, potremmo dire che è quanto accaduto con le rielezioni di Napolitano e Mattarella, pur se in situazioni profondamente diverse.
Arriviamo quindi al punto: la forza, il prestigio, la popolarità del Presidente della Repubblica uscente non sono un “problema” e ancor meno un “pericolo” se trovano giusto equilibrio nella “forza, prestigio e popolarità” del Parlamento, nella sua autorevolezza. Autorevolezza che si esprimerebbe anche con la scelta (ed eventuale rielezione) di una figura che, proprio perché garante della Costituzione, «non conduca la forma di governo verso un – illegittimo – semipresidenzialismo di fatto» (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/01/24/e-se-fosse-un-presidente-nel-nome-della-costituzione/) ma anzi, se necessario, eserciti i suoi poteri per “ridare centralità al Parlamento” (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/01/21/identikit-di-un-presidente-della-repubblica/).
In che situazione siamo oggi? A parte gli onorevoli rinviati a giudizio o condannati, quanto può esser autorevole un Parlamento dove, sugli ideali e gli impegni presi coi cittadini, sembrano prevalere logiche di potere ed autoconservazione? Anche la rielezione di Mattarella è apparsa, a molti, ispirata soprattutto dal timore di una irrisolvibile crisi di governo con conseguenziale scioglimento anticipato delle Camere e perdita di mesi di retribuzioni e privilegi (e pensione). Inoltre quanta autorevolezza può esprimere un Parlamento che registra continui spostamenti tra i gruppi parlamentari? Complessivamente i cambi di gruppo avvenuti dal 2018 a oggi sono stati 302, per una media di circa 6 al mese. Legittimi per la libertà di mandato ma che certo non contribuiscono a consolidare il “legame politico” espresso dal cittadino all’atto del voto. Soprattutto in assenza di voto di preferenza e, quindi, di una maggior personalizzazione nella scelta politica. Quindi il vero problema non è nella mancanza di limiti alla rieleggibilità del Presidente della Repubblica, ma nella perdita di centralità del Parlamento conseguenziale alla sempre minor sua autorevolezza. Testimoniato anche dalle vicende di questi ultimi tempi con un Presidente del Consiglio forte e autorevole a fronte di un Parlamento incapace di interpretare il proprio ruolo.
2.
Come ridare autorevolezza al Parlamento? La soluzione non è certo semplice ma si potrebbe comunque innanzitutto ritrovare un maggior “legame personale” (e così “controllo” politico) tra i cittadini e i parlamentari. Legame che passa non solo attraverso la reintroduzione delle preferenze nella legge elettorale, ma anche evitando un’eccessiva sproporzione tra numero di elettori e candidato. Elemento sfavorito dalla riduzione dei parlamentari così come realizzata e che renderà, soprattutto al Senato, tale rapporto sempre più distante (si ricordi, poi, sempre Terracini: «quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti»). Per recuperare quanto previsto dai Costituenti, mantenendo gli stessi obiettivi di risparmio ed efficienza sostenuti dai proponenti del “taglio”, si potrebbe tornare a rispettare il criterio proporzionale tra numero di parlamentari e cittadini previsto dai Costituenti nel ‘48 (e rispettato dal Parlamento nel 1963 nello stabilire il numero fisso dei parlamentari) riportando almeno a 600 i deputati alla Camera ed “eliminando” il Senato o ridimensionandolo nelle funzioni e nel numero dei componenti. Il bicameralismo perfetto non è un tabù. Personaggi autorevoli ne hanno parlato, come Rodotà, firmatario di una relativa proposta di legge (https://www.camera.it/_dati/leg09/lavori/stampati/pdf/24520001.pdf). Del resto il Senato ha da tempo perso le differenze strutturali con la Camera (durata) e potrebbe perderne altre (parificazione età per l’elettorato attive e circoscrizione su base nazionale e non più regionale al Senato) divenendo sempre più un mero “doppione”. Il Senato potrebbe, eventualmente, diventare un organo consultivo. Ridotto nel numero dei componenti, magari due per regione come, mutatis mutandis, per gli USA.
Necessaria anche una legge sui partiti attuativa dell’art. 49 della Costituzione, perché «ci vogliono delle regole per disciplinare la partecipazione degli iscritti e i loro diritti esigibili» (come recentemente sostenuto da Massimo Villone: https://ilmanifesto.it/riforma-elettorale-ritornare-alla-costituzione/) e così realmente «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Si potrebbe anche ragionare della durata del mandato parlamentare: da cinque a quattro, perché no? Non credo intaccherebbe l’efficienza di un Parlamento autorevole e selezionato, mentre si avrebbe un controllo politico dei cittadini “più ravvicinato”. In ultimo, ma non ultimo, tornare a una legge elettorale proporzionale, anche per ridare maggior voce alle diverse sensibilità che animano la Società privilegiando il dialogo tra molti al “decisionismo di pochi”.
La “macchina della Repubblica” costruita dai Costituenti è fondata su una Sovranità che appartiene al Popolo e il Parlamento deve esserne degno a autorevole rappresentante! Si lavori in tal senso, prima che sia troppo tardi.