Come ogni anno, da quando fu indetta dall’Assemblea Generale dell’Onu il 1° novembre del 2005, si tiene il 27 gennaio la giornata internazionale della Memoria dedicata al ricordo dell’Olocausto. Una occasione importante per riflettere sulla peggiore pagina del novecento europeo, sul più grande genocidio dell’umanità. La ricorrenza non è affatto rituale, vista la crescita di movimenti e partiti apertamente neonazisti e neofascisti, razzisti e xenofobi in tutta Europa, che cercano collegamenti e intese tra loro, da cui non è certo esente il nostro paese. Il che è stato dimostrato in recenti quanto troppo frequenti manifestazioni di razzismo, di antisemitismo, di esaltazione di teorie fasciste e naziste. Qualche tempo fa la senatrice a vita Liliana Segre, sopravissuta ai campi di concentramento nazisti, in un bellissimo discorso ha saputo legare il ricordo di quel doloroso passato alle terribili ingiustizie del presente. “Anch’io sono stata clandestina” ci ha detto. Pensieri non dissimili ha affermato in un’intervista di ieri, Edith Bruck, scrittrice novantenne reduce da Auschwitz – questa sera al Palladium a Roma alle 20.00 per ricordare la Shoah – quando dice che non è ammissibile che “in nome della patria e di dio si compiano massacri, si lascino affogare o crepare di freddo gli emigranti.” Bisogna continuare a ricordare per comprendere meglio il passato, per farlo conoscere e per evitare che ritorni in qualsiasi forma si presenti. Come scriveva Primo Levi, con splendida sintesi, al termine della sua celebre trilogia di Auschwitz: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.