Clima. Se tutt’ora nessun paese ha scelto con decisione di dare avvio alla transizione che dovrebbe portare ad ottenere entro non molti anni una copertura del fabbisogno energetico al 100 per cento da rinnovabili è perché in gioco ci sono molti interessi che le bloccano.
«Inutile preoccuparsi per l’approvvigionamento di energia e per il suo rincaro: a darci quanto abbiamo bisogno e a contenere il costo delle nostre bollette c’è il nucleare». Questo il messaggio tranquillizzante uscito dagli ultimi incontri al vertice dell’Unione europea, proprio ora, a pochi giorni dal G20, il vertice di Glasgow, quando dovranno essere ridefiniti i parametri, le cifre della riduzione da imporre alla produzione di energia tratta da fonti non rinnovabili.
E così, proprio quando difronte alla drammatica accelerazione delle catastrofi climatiche tutti ci aspettavamo un taglio più radicale di quello previsto nei precedenti vertici, accade il contrario: i limiti potrebbero diventare anche meno rigidi, se non per il carbone almeno per il gas e il nucleare, che in Italia era stato addirittura cancellato da due referendum e in Germania nel 2022 avrebbe dovuto esser chiusa l’ultima centrale ancora aperta. Perché – questa è la sostanza dell’annuncio – l’energia derivata dalle fonti rinnovabili – sole vento e acqua – inutile illudersi, non sono sufficienti.
Le cose però non stanno così: le rinnovabili non solo sono sufficienti, sono anche meno care. Se tutt’ora nessun paese ha scelto con decisione di dare avvio alla transizione che dovrebbe portare ad ottenere entro non molti anni una copertura del fabbisogno energetico al 100 per cento da rinnovabili è perché in gioco ci sono molti interessi che le bloccano. Quelli degli azionisti dell’Eni, che vorrebbero continuare a ricorrere alle centrali a gas della cui rendita godono (in Germania per via dei giganteschi accordi conclusi con la Russia, mediatore proprio l’ex cancelliere socialdemocratico Schroeder, che allo scadere della sua carica, della potentissima Gasprom è diventato consigliere); in Francia quelli che provengono dalla più estesa rete di centrali nucleari d’Europa, per uso civile ma anche militare.
Ecco dunque perché anziché impegnarsi a costruire la nuova rete energetica fondata sulle rinnovabili si sparge la leggenda che non sarebbero sufficienti, sebbene non sia vero. Vento e sole, usando il patrimonio dei bacini idroelettrici costruiti già 100 anni fa dai nostri nonni – che hanno dato all’Italia il primato europeo in questo campo – come supplenza in caso di eventuali intermittenze di erogazione da parte del vento e del sole. In più idrogeno verde per navi, ed aerei, che non hanno dove attaccare spine elettriche. I calcoli fatti in proposito ci dicono che così potremmo raggiungere gli obbiettivi che l’Europa e le Convenzioni mondiali hanno fissato per il 2055.
Basterebbe questo a chiarire le cose, ma non può non esser detto ciò che non viene detto sul nucleare. Nella rubrica “Attenti ai dinosauri” a cura della Task force “Natura e lavoro” pubblicata sul manifesto on line l’analisi dell’ing. Sorokin sulla questione.
Ma il problema di cui si dovrebbe prendere atto è che non c’è più tempo. Già ci sono dubbi, in parte fondati, sulla validità dell’obiettivo del 55 % di energie rinnovabili per il 2030 e quindi occorrerebbe fare già molto di più, ma è certo che riproporre oggi di investire in centrali nucleari di quarta generazione per costruire le quali servono anni, o sulla fusione nucleare per la quale le previsioni più ottimistiche sui suoi possibili risultati indicano più di 30 anni di tempo, è irresponsabile.
Chi sostiene che puntare sul 100 per 100 di rinnovabili è un obiettivo illusorio si pone o è fuori dalla scienza come i no vax e i negazionisti del cambiamento climatico. Le proiezioni su cui noi ci basiamo sono in linea con quelle pubblicate dall’Onu, e dall’Unione Europea.