“Fronte del porto” è un film drammatico girato nel 1954 dal regista Elia Kazan nel quale è rimasta memorabile l’interpretazione del giovane Marlon Brando. Un altro fronte del porto si è aperto a Napoli dove ha sede la società Augusta Offshore, armatore della nave “Asso 28”. Si tratta di un rimorchiatore che nel 2018 operava in appoggio a una piattaforma petrolifera dell’ENI al largo di Sabratha (Libia). Il 30 luglio del 2018 la nave effettuò il salvataggio in mare, in acque internazionali, di 101 migranti stipati a bordo di un’imbarcazione in difficoltà, quindi si diresse a sud e, giunta nel golfo di Tripoli, li consegnò ad una motovedetta libica. Il tutto si sarebbe svolto in silenzio e senza nessuna conseguenza ma sfortunatamente in zona era presente la nave della ONG Open Arms, che interloquì con la Asso 28 e capì che era successo qualcosa di strano, segnalando ai media la notizia di un possibile respingimento in Libia. In tarda serata la società armatrice rilasciò un comunicato stampa ammettendo l’esistenza di un’operazione di salvataggio eseguita dalla Asso28 sotto il coordinamento di autorità libiche.
È diventato subito chiaro che una nave, battente bandiera italiana, aveva effettuato un respingimento collettivo verso la Libia di un gruppo di profughi intercettati in alto mare. C’è da premettere che nel maggio del 2009 il ministro dell’Interno dell’epoca Maroni, inaugurò, vantandosene, un “nuovo modello di contrasto all’immigrazione”, ordinando alle navi militari italiane di intercettare le imbarcazioni di fortuna che attraversavano il Mediterraneo centrale e di riportare i profughi in Libia, consegnandoli nelle mani delle autorità locali. Questa pratica disumana appariva manifestamente illegale in quanto contraria a principi inderogabili del diritto internazionale alle principali Carte sui diritti dell’uomo e alle Convenzioni sul diritto del mare. Alcuni superstiti riuscirono a portare la questione di fronte alla Corte Europea dei Diritti Umani che, con una sentenza del 23 febbraio 2012 (Hirsi), emise una durissima condanna contro l’Italia. In particolare la Corte mise l’accento sul tema dei trattamenti inumani e degradanti e su quello dei respingimenti collettivi, stabilendo che
L’esecuzione di un ordine di respingimento di stranieri costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, quando vi sono motivi seri ed accertati che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca nel Paese di destinazione trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione (con riferimento alla Libia)
L’allontanamento di un gruppo di stranieri effettuato fuori del territorio nazionale, in presenza di giurisdizione dello Stato, senza che venga esaminata la situazione personale di ciascun componente del gruppo e senza che ciascuno possa presentare argomenti contro l’allontanamento, integra una violazione del divieto di espulsioni collettive di cui all’art. 4 Protocollo n. 4 CEDU la cui portata deve considerarsi anche extraterritoriale.
La sentenza di fatto mise fuori legge il “nuovo modello di contrasto all’immigrazione” inventato da Maroni e questa pratica si rivelò impercorribile per l’Italia e gli altri paesi europei presenti nel Mediterraneo con i loro assetti navali. A questo punto l’Italia ed i paesi europei sono corsi ai ripari finanziando la Libia perché intervenisse per “salvare” i profughi che fuggivano dalle sue coste e riportarli indietro. Il 28 giugno 2018 la Libia notificava all’IMO (International Maritime Organization) l’istituzione di una zona SAR (estesa fino a 180 km dalle sue coste), pur non avendo né i mezzi, né le strutture logistiche per effettuare il monitoraggio di una zona marina così estesa.
Con questo trucco le autorità italiane possono delegare alla Libia le operazioni di salvataggio in mare ed aggirare il divieto di respingimento collettivo vietato a tutti i Paesi che aderiscono alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Esclusi gli assetti militari, rimaneva impregiudicato il problema delle navi commerciali battenti bandiera italiana che si trovavano ad operare salvataggi in acque internazionali ricomprese nella fittizia SAR libica. Quella della Asso28 è stata la prima segnalazione di un’attività di soccorso-respingimento operata da una nave commerciale italiana. In data 8 agosto esponenti del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e dell’Associazione nazionale Giuristi democratici, hanno presentato un esposto al Procuratore della Repubblica di Napoli, sottolineando l’illegalità della condotta di respingimento collettivo operata dalla nave Asso28 e chiedendo di accertare le esatte modalità dei fatti e le eventuali responsabilità penali individuali.
La Procura di Napoli non è rimasta indifferente, ha acquisito tutta la documentazione tecnica relativa all’evento ed alle comunicazioni che si sono svolte fra i vari attori in gioco, ha interrogato l’equipaggio ed ha contestato al comandante della nave il reato di abuso d’ufficio aggravato dal danno di rilevante gravità. Qualche giorno fa il Tribunale di Napoli ha condannato il comandante della nave. La condanna è passata sotto silenzio, salvo un intervento sul quotidiano “Avvenire” (14 ottobre) che ha rilevato che: “è la prima volta che in Europa si arriva a un verdetto di questa portata e che, di fatto, conferma come la Libia non possa essere riconosciuta come luogo sicuro di sbarco. D’ora in avanti qualsiasi nave civile coinvolta nei respingimenti rischia un processo e una condanna”.
È proprio questa la buona novella che ci viene dal fronte del porto. Il processo non solo ribadisce che la Libia non è un porto sicuro in cui possano essere sbarcati i naufraghi poiché migranti e rifugiati sono sottoposti a violenze estreme, come documentano i rapporti dell’UNHCR e delle altre agenzie dell’ONU (che la politica finge di non vedere) ed anche alcune sentenze dei tribunali italiani, ma ha accertato in concreto che anche i migranti riportati indietro da Asso28 hanno ricevuto un trattamento infernale. Infatti, uno di loro, il cittadino camerunense Noa Basseck è riuscito a fuggire nuovamente dalla Libia ed è sbarcato a Lampedusa dopo essere stato raccolto dal veliero Alex della ONG Mediterranea. Il ragazzo ha riferito che, dopo essere stati recuperati dalla nave Asso28, i profughi avevano ricevuto assicurazione che sarebbero stati condotti in Italia. Invece vennero sbarcati a Tripoli ed imprigionati in un campo di detenzione dove sono stati sottoposti a violenze, vessazioni ed abusi di ogni sorta. Ha osservato nella sua requisitoria il pubblico ministero che: “una nave battente bandiera italiana in acque internazionali risulta a tutti gli effetti “territorio dello Stato”, ovvero un contesto nel quale, per quelle persone recuperate, scattavano immediatamente una serie di garanzie e diritti che sono stati clamorosamente violati (es. l’asilo, la tutela e l’inespellibilità per le donne in stato di gravidanza e dei minori, specie quelli non accompagnati, il divieto di respingimento in paesi dove la libertà e l’integrità fisica è messa in pericolo). I doveri del comandante erano in questo caso regolati dalla legge italiana (art. 8 c.n.), questo gli imponeva (..) di apprestare una tutela rafforzata ai soggetti sopra indicati. I 101 migranti, fra cui donne e bambini sono stati illegittimamente respinti e condotti in un “porto non sicuro”, esposti pertanto al concretissimo rischio di abusi, violenze e trattamenti inumani e degradanti all’interno dei centri di detenzione per stranieri, peraltro nel contesto di un paese in piena guerra civile.”
La tempestiva attivazione della Procura di Napoli, ha portato ad un risultato significativo in termini di prevenzione. Dalla requisitoria del Pubblico Ministero apprendiamo, infatti, che dopo la vicenda di Asso28, ci sono stati almeno altri quattro interventi di salvataggio da parte di navi mercantili a servizio delle piattaforme petrolifere al largo della Libia, in tutti questi casi i comandanti hanno fatto rotta verso l’Italia, benché si trovassero in zona SAR libica. Questo significa che centinaia di persone sono state salvate dall’inferno libico ed è stata offerta loro una speranza di vita.
La giurisdizione penale è un potere terribile che può distruggere le persone se male esercitato, ma quando riesce ad esprimere delle parole di giustizia, quelle parole sono salvifiche.