Riforma Cartabia, luci e ombre
Tra legalità, giustizia e conflitti sociali
“Che cos’è per noi la legge? “
Platone, in Minosse
La ragione più importante del violento conflitto in corso sulla riforma Cartabia – che riguarda sia il processo civile che quello penale – non risulta quasi mai evidenziata nemmeno nelle migliori riflessioni. La ragione a me sembra la seguente: a fronte della sistemica criminalità nel campo economico in cui sono coinvolti con ininterrotta continuità parti rilevanti del capitalismo italiano, del mondo bancario e dei gestori del patrimonio pubblico, il quadro repressivo sanzionatorio è stato permanentemente caratterizzato da scelte di politica penale che rendevano-rendono estremamente difficile punire gli autori di tale genere di reati. Per ricordarne solo alcune: nel periodo monarchico la sottoposizione del Pubblico ministero al potere politico garantiva qualsiasi insabbiamento, nel periodo repubblicano costituzionale si è reso necessario cambiare strada utilizzando la legislazione quale strumento per realizzare l’impunità: processi lunghi e prescrizioni brevi (7 anni e 1/2 dalla data di consumazione del reato), abolizione del reato di abuso di ufficio non patrimoniale , gravissimo depotenziamento del reato di abuso di ufficio patrimoniale nel 1997, la legge Obiettivo del 2001 in cui si stabiliva che il Direttore dei lavori delle grandi opere ,responsabile del controllo di legalità, veniva nominato dalla ditta appaltatrice e non dai pubblici poteri !, la legge Cirielli nel 2005 che produsse la prescrizione in 10 anni di oltre 1 milione e ½ di processi penali contro reati economici , amnistie e indulti spesso motivati soprattutto dalla necessità di non far finire in carcere ,o di farli uscire, i delinquenti dai “bianchi colletti” . Una amplissima serie di fatti – dallo “scandalo” (termine quanto mai ingannevole) della Banca Romana del 1892 a Mani Pulite e all’oggi – passando per le vicende relative alla Banca Italiana di Sconto del 1921 (leggere in proposito Piero Sraffa in La crisi bancaria in Italia,1922) al Banco di Napoli, al Banco di Sicilia, al Monte dei Paschi di Siena , alle frodi nelle forniture militari del 1915 sino all’ultima del 2020) alla corruzione nei settori dei lavori pubblici, della sanità e della gestione del patrimonio pubblico in generale – ed una non contestata letteratura confermano i legami saldissimi lungo l’intera nostra storia nazionale tra corruzione malversazione evasione fiscale e classi dirigenti. Si mostra con evidenza una pratica non occasionale dei poteri politici e , soprattutto, economici per accaparrarsi – con straordinaria continuità storica – la maggiore quota possibile della ricchezza prodotta . La controprova sta nelle statistiche dell’amministrazione penitenziaria: su una media di 55-58 mila detenuti ogni anno presenti nelle carceri italiani, quelli con condanna definitiva per reati contro l’economia pubblica, di solito laureati e con alti redditi, sono nel 2020 poche centinaia (lo 0,4%). Nel 2016 erano esattamente 126 per corruzione, 26 per peculato, 11 per concussione. Abbiamo così la prova che la capacità punitiva dello Stato è inversamente proporzionale alla gravità del reato, al livello di reddito e al grado di istruzione dei condannati. Una legalità che non produce giustizia e che tende anzi ad impedirla con ogni mezzo nei confronti dei gradi alti della borghesia nazionale.
La riforma Cartabia – come quella Bonafede entrata in vigore nel 2020 – che intervengono nel contesto che abbiamo ricordato, andrebbero quindi valutate misurando il merito delle proposte sulla base della loro capacità di contrastare in positivo, individuandone le cause complesse e i possibili rimedi, l’impunità degli autori di reati economici divenuta da tempo sistema. La legge Bonafede – che tentava di arginare la criminalità economica tramite il solo stop assoluto della prescrizione dopo la sentenza di primo grado – prometteva quello che, per due ragioni fondamentali, non poteva mantenere: 1) la Corte Costituzionale con la sentenza n.140/2021 ha dichiarato incostituzionale il regime della prescrizione senza termine come disciplinato dalla stessa legge e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato 1.200 volte l’Italia per la non ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. ; 2) senza massicci investimenti – assenti nella riforma Bonafede – in personale, mezzi , infrastrutture informatiche, forti dosi di depenalizzazione di reati, riforme in tema di intercettazioni, usura, rientro dei capitali dall’estero, elusione, il tentativo del M5S appariva del tutto velleitario e destinato al fallimento. La riforma penale di Cartabia invece è caratterizzata da 3 scelte di fondo: 1) una sulla prescrizione apparentemente identica a quella della legge Bonafede mentre in realtà quest’ultima viene completamente capovolta dallo strumento della improcedibilità nei giudizi di impugnazione (non si deve superare 2 anni di durata per l’appello e 1 per la Cassazione, con qualche proroga limitata a processi complessi) ; 2) la seconda relativa ad un vasto e quanto mai positivo intervento depenalizzante e premiante le alternative alla giurisdizione sia penale che civile con l’obiettivo di sfoltire i reati e ridurre i tempi ; 3) la terza riguardante la previsione che il Parlamento avrà il potere di indicare ogni anno con propria deliberazione vincolante per le Procure quali siano le priorità da rispettare per l’esercizio dell’azione penale. Il giudizio predittivo sulla riforma della prescrizione non è difficile da formulare: alimenterebbe l’impunità perché garantirebbe almeno nei primi anni di applicazione la prescrizione di centinaia di migliaia di processi anche per reati importanti. L’ultima delle richiamate scelte, quella sulle priorità da indicare da parte del parlamento per l’esercizio dell’azione penale, appare palesemente illegittima e costituzionalmente irricevibile, stante il tenore letterale e sistematico dell’art. 112 cost. che dispone che “Il PM ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. L’unica alternativa costituzionalmente praticabile in questo campo è costituita da interventi di depenalizzazione di molti tra i reati minori. L’intesa di queste ore tra Conte e Draghi/Cartabia sul nodo prescrizione-improcedibilità è certo un passo avanti rispetto al primo testo – si prevede ora una durata di 3 anni per l’appello e di 1 anno 6 mesi per la Cassazione ferma l’imprescrittibilità per i reati puniti con l’ergastolo – restando del tutto dubbio tuttavia se essa sarà sufficiente ad evitare – date le attuali condizioni di tante corti d’appello – che il sistema dell’impunità per i reati contro l’economia e il patrimonio pubblico possa procedere come prima. Sarebbero necessarie a questo fine norme che almeno garantissero la non prescrizione per reati minori ma commessi in un contesto mafioso o di terrorismo o di corruzione e che disponessero l’applicazione del regime di improcedibilità solo quando fossero effettivamente realizzati gli interventi finanziari/organizzativi a sostegno del sistema giudiziario. Consapevoli che la situazione della giustizia penale e civile oggi in Italia realizza una realtà indifendibile e del tutto incompatibile con la Costituzione fondata sull’uguaglianza sostanziale. In questo ha ragione la ministra Cartabia: lasciar tutto com’è non è una opzione valida. Nemmeno la riforma proposta lo sarà se l’impunità delle classi dirigenti italiane dovesse continuare, impedendo così che parte rilevantissima della ricchezza nazionale possa finanziare scuola, sanità, ambiente, finanziare in una parola la democrazia. Il rischio esiste ed è alto. Le sue cause di fondo vanno ricercate nei rapporti di forza tra destra e sinistra.