Stupore e grande preoccupazione. Sono le reazioni al disastro ambientale in Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo con distruzioni, tanti morti e dispersi, molti feriti, comunicazioni impossibili, danni enormi all’ambiente e all’economia. Altri episodi in passato hanno dato l’allarme ma la novità ora è che gli effetti del disastro ambientale e climatico diventano sempre più gravi, più estesi, più radicali.
Il clima del pianeta su cui viviamo è malato, con il rischio che l’alterazione diventi irreversibile. Ci sono scienziati che affermano che è già così. La temperatura è salita a causa delle attività umane ed è assolutamente indispensabile arrestare il degrado, altrimenti le condizioni di vita sul pianeta diventeranno proibitive. La vita stessa potrebbe entrare in sofferenza, non solo la sua qualità, con buona pace dei negazionisti. Anche la corsa verso lo spazio contiene un’ambiguità di fondo: è ricerca di nuove avventure dell’uomo prima impensabili ma è anche l’emergere di primi tentativi nella ricerca di condizioni di vita al di fuori del nostro pianeta.
Le iniziative per impedire che il clima sul nostro pianeta impazzisca, raggiungendo punti preoccupanti di non ritorno, debbono essere prese prima che sia troppo tardi. Non possono essere rinviate. Il negazionismo non è l’unico avversario delle politiche per arrestare l’alterazione del clima, gli tiene bordone il presunto buon senso di chi afferma che bisogna tenere conto anche di altri aspetti, che bisogna andarci cauti, e prepara in questo modo la politica dei rinvii, dello sconto sulle misure, in sostanza.
La Commissione UE ha proposto un pacchetto di misure importanti per una politica coerente con l’accordo di Parigi sul clima – in cui Biden ha il merito di avere riportato gli Usa – che inquadrano meglio la transizione ecologica delle misure del Next Generation EU. Le misure per superare la crisi sociale ed economica seguita alla pandemia da Covid 19 sono qualificate dalle misure contro le alterazioni climatiche e per una ripresa eco-compatibile, con in più la novità di interventi finanziari a dimensione europea che inglobano un certo grado di solidarietà. Ci sono limiti, come ha rilevato Legambiente, ma la direzione di marcia delle misure proposte è chiara.
Le misure che la Commissione ha reso note emblematicamente il 14 luglio costituiscono la cornice in cui le politiche per il clima potrebbero realizzare gli obiettivi importanti del Next Generation EU, in Italia attraverso il PNRR. Sono misure impegnative che cercano di chiudere le possibili vie di fuga. Un esempio: affermare che nel 2035 non dovranno più essere prodotti e commercializzati veicoli con motori a scoppio – emblema della mobilità da due secoli – è una scelta forte da cui dovrebbero derivare politiche per realizzare le alternative concrete in modo da rendere un settore, che è responsabile del 35% della CO2 emessa nell’atmosfera, compatibile con il carbon free nel 2050. La reazione dei contrari è stata immediata. Interessi, abitudini hanno fatto sentire la loro voce e anche paesi come la Francia, l’Italia, la Spagna puntano per lo meno al rinvio celandosi dietro le preoccupazioni degli oneri per i settori della società più esposti. Come se una svolta non ponesse il problema dei costi che ne derivano e quindi delle contromisure politiche indispensabili per non lasciare indietro qualcuno. È evidente la coerenza nell’atteggiamento del governo italiano tra lo sblocco dei licenziamenti, che sta creando problemi sociali enormi, voluto dalle imprese e questa ritrosia verso il cambiamento di paradigma produttivo, ascoltando ancora una volta i timori delle imprese. È curioso che si sia distinto in questo il ministro Cingolani, che dovrebbe rappresentare il punto di vista di una coraggiosa svolta ecologica, invadendo il campo del collega dello Sviluppo economico, Giorgetti.
Se l’Italia ha veramente nel suo obiettivo di arrivare nel 2030 al 70% di rinnovabili
È evidente che un conto è chiedere più tempo, o peggio come fanno i paesi di Visegrad pretendere la modifica sostanziale delle proposte della Commissione, altro è individuare le misure che consentano di reggere la sfida. Nel 2035 avremo l’energia necessaria per la mobilità verde, visto che nel 2030 dovremmo arrivare al 70% di Fer. Per questo è difficile capire come possa il ministro Cingolani affermare che con le misure della Commissione mancherebbe l’energia per la mobilità.
Un atteggiamento finisce con il rinvio, l’altro con l’individuare le misure necessarie per arrivare all’obiettivo senza conseguenze sociali importanti. Se è in gioco il clima del pianeta non sono accettabili posizioni che puntano a rinviare le misure per timore dei contraccolpi. I contraccolpi saranno molto peggiori se la situazione della crisi climatica non viene affrontata presto, con il coinvolgimento di tutti gli interessati per individuare le misure di riequilibrio. Non si venga a dire che questo sarebbe assistenzialismo, l’Italia spende già miliardi di euro per aiutare settori come i trasporti pubblici e privati, l’attività agricola a consumare prodotti petroliferi, quindi a inquinare, mentre questi fondi potrebbero essere parte degli interventi contro le alterazioni climatiche.
La direzione dell’Unione europea va sostenuta in questo passaggio decisivo. Questo non vuol dire che sia tutto oro colato e nemmeno che non possano esserci altri interventi, ciò che conta è un segnale coraggioso sul clima. In questo ambito il PNRR può essere un motore decisivo per le risorse che è in grado mobilitare. Tuttavia, sempre più emerge una contraddizione essenzialmente politica che rivela che sotto le bandiere del PNRR possono esserci soluzioni reali molto diverse. Ha ragione chi dice che il vero PNRR è la sua attuazione. Nella sua attuazione c’è un punto contraddittorio che può rendere ancora più difficile garantire risultati reali adeguati. Le proposte della Commissione europea sono un piano, un progetto che ha delle regole e delle condizioni attuative. Lo stesso PNRR ha il nome di piano ma la sua formulazione lo è solo in parte perché un piano, un programma, ha bisogno di strumenti attuativi precisi. Mentre il fulcro attuativo del PNRR è nei bandi che non è detto – neppure facile – che vengano governati in modo unitario. In alternativa, questo avverrà sostanzialmente nella cabina di regia del governo e soprattutto nei suoi organi tecnici, quindi una gestione che si presta alla penetrazione delle lobby, che sono presenti e vigili. Un recente articolo sugli incontri delle lobby con i vari settori del governo offre uno scenario impressionante.
I diversi bandi regolati di fatto dal mercato e non da piani e progetti che indicano gli obiettivi rappresentano un problema, e un vuoto, e rafforza la preoccupazione che il sistema decisionale prevede non solo la semplificazione e l’accelerazione dei tempi ma anche un potere attribuito al governo per sciogliere i nodi gordiani di dissensi nei percorsi per decidere. Questo è un passaggio delicato politicamente e istituzionalmente. Il governo deve decidere ma quando esistono condizioni ragionevoli di consenso, altrimenti la decisione rischia di essere una forzatura sulle altre istituzioni, sulle organizzazioni sociali, sui cittadini e abbiamo già avuto esperienze politiche e sociali dolorose come la Tav. Almeno una condizione deve essere posta. Se il governo ritiene di dover sciogliere un nodo non può sentirsi autorizzato per il solo fatto che ha il consenso sul PNRR ma deve avere un consenso mirato al singolo intervento. Senza complicare il percorso si può immaginare che il Governo venga autorizzato preventivamente dalle commissioni parlamentari interessate a compiere gli atti che ritiene necessari.
Purtroppo il parlamento sta procedendo senza offrire l’immagine di una consapevolezza di questi problemi. Il decreto semplificazioni prosegue il suo iter alla Camera stancamente, senza far capire all’esterno di cosa si discute, quasi a dare per scontata l’approvazione finale, in attesa di probabili voti di fiducia. Rassegnazione e passività sembrano prevalere anche nei partiti di maggioranza. In realtà non esiste oggi il pericolo che il PNRR entri in crisi e che iniziative precise e puntuali possano mettere in discussione il governo. Esiste al contrario il pericolo che vi sia una delega a Draghi e al suo governo senza limiti e questo sarebbe un serio vulnus politico e democratico, creando nei fatti un’elite a cui tutto è delegato, mentre i partiti sembrano alla ricerca di una patente di capacità di governare ottenibile solo con la delega e la partecipazione al governo a decidere.
Errore grave. Il manovratore va disturbato, deve sentire il controllo dei cittadini e se non lo faranno i partiti, i sindacati, le associazioni, il rischio di una gerarchizzazione politica e sociale che porterebbe ad una delega al vertice e ad una passività del resto cambierebbe in profondità il nostro assetto costituzionale, il funzionamento della nostra società, la nostra democrazia.
Il PNRR è una sfida decisiva, tutto si può fare tranne che non capire che stare a guardare, sarebbe un errore.