Nodi e contraddizioni del PNRR stanno per venire al pettine
Le dichiarazioni di Draghi, quando ha chiesto la fiducia in parlamento, sulla transizione ecologica sono state impegnative, ha citato il papa e si è rivolto ai giovani. Presto arriveranno i nodi da sciogliere e l’apertura di credito potrebbe rovesciarsi nella delusione. Un nodo da sciogliere particolarmente impegnativo riguarda la scelta di produrre energia con fonti rinnovabili, fotovoltaico, eolico, accumuli di varia natura e di fare scelte sulla rete ferroviaria, sui veicoli a trazione elettrica, sulla produzione e la distribuzione di idrogeno, da cui discendono il ruolo indispensabile dello Stato e richiedono la ridefinizione del perimetro dei suoi interventi e una visione strategica. Già il testo del PNRR, nella versione inviata a Bruxelles, lascia trasparire ambiguità e perfino la possibilità di soluzioni opposte, lasciando l’impressione che avere ragione delle resistenze conservatrici dei potentati economici del nostro paese non sarà semplice e il governo finora non ha dato prove certe di volerlo fare.
Eppure al presidente del Consiglio, come ai suoi ministri, non può sfuggire che le carte inviate a Bruxelles (PNRR) sono un piano (come dice il nome stesso) per di più strategico in quanto ha una durata ragguardevole di attuazione (oltre una legislatura) e il compito di portare l’Italia fuori dal disastro della crisi occupazionale ed economica post pandemica, ricollocandola nell’economia mondiale. Anche sul dopo pandemia il messaggio che sembra prevalere è il ritorno a prima del Covid 19, mentre dovrebbe essere colta l’occasione per innovare in profondità e per superare i guasti precedenti. Non ci può essere un mero ritorno alla situazione precedente.
Ad esempio, un piano strategico non si realizza solo con bandi rivolti ai privati e alle aziende a partecipazione pubblica per l’uso delle risorse per i diversi interventi previsti dal PNRR, ma richiede che il governo per primo si ponga in un’ottica di programmazione degli interventi, partendo dal ruolo delle partecipazioni pubbliche, per costruire un’orchestra di interventi con obiettivi ben individuati, come del resto sembrerebbe fare il PNRR, sul piano teorico. Il mercato non riesce ad ordinare in modo produttivo le risposte. Occorre che la sede decisionale politica si rivolga al mercato chiarendo gli obiettivi pubblici e governando con polso fermo l’attuazione delle scelte. In sostanza non basta avere scelto grandi filoni di intervento ma occorre fare un piano di attuazione, richiamando a questa coerenza i soggetti che sono partecipati dal sistema pubblico.
A differenza di quanto affermato dal ministro Cingolani lo Stato ha il diritto/dovere di essere partecipe e controllore dell’attuazione delle scelte e della loro coerenza con obiettivi e parametri attuativi. Non basta denunciare eventuali inadempienze, occorre garantire comunque il raggiungimento dei risultati. Ci sono grandi player, anche a partecipazione pubblica, che debbono smettere di essere questuanti per ottenere le risorse del PNRR per realizzare i loro obiettivi aziendali, per diventare invece strumenti effettivi di politica economica dello Stato. Ci sono produzioni che hanno dimostrato di essere strategiche per la salute dei cittadini che debbono essere realizzate in Italia, o al massimo in Europa, per essere certi di avere a disposizione questi strumenti nel momento della necessità, così è necessario sviluppare settori di ricerca che portino anche l’Italia ad avere un ruolo nelle innovazioni, non solo nelle produzioni altrui. Ci sono obiettivi che non possono dipendere da presunte convenienze aziendali, ma obbligano tutti alla realizzazione degli obiettivi indicati nel PNRR verso il quale è in corso una pressione lobbistica per averne i finanziamenti senza prendere impegni e tanto meno per contribuire a realizzarne gli obiettivi. Ad esempio. Per quanto ancora lo sviluppo delle energie rinnovabili di alcuni grandi gruppi produttori di energia elettrica verrà promosso solo fuori dall’Italia? Possiamo limitarci a diffondere le colonnine per la ricarica elettrica e rinunciare a produrre veicoli elettrici, visto che dall’Aie viene proposto di cessare la produzione dei veicoli a scoppio entro il 2035?
Documenti recenti dell’Aie e dell’Onu hanno sollevato il velo non più solo sulla CO2, con il carbone sul banco degli accusati ma anche sull’uso del gas naturale, sia perché a sua volta produce CO2, sia perché il metano in quanto tale nell’atmosfera si sta rivelando climalterante. È comprensibile che chi ha puntato tutto sul metano con accordi di conferimento, con i gasdotti e ora ne ha la disponibilità trovi difficoltà a convertire le proprie scelte. Eppure è inevitabile che questo avvenga, evitando di continuare a svolgere un ruolo di sorda resistenza verso le innovazioni o puntando sul rinvio delle scadenze indicate. La svolta è indispensabile, altrimenti occorre che il MEF proceda a nuove nomine prima possibile. Si parla molto delle resistenze della burocrazia ma non si parla affatto della resistenza esplicita di strutture che pure hanno una significativa partecipazione pubblica a cambiare le loro scelte strategiche, è bene che anche su queste si accenda un faro.
Il PNRR deve essere una svolta, cioè innovazione, collocazione dell’Italia all’avanguardia, per recuperare qualità (a partire dal lavoro) e produttività.
I “veterani” dell’energia hanno scritto con chiarezza in un loro documento che l’uso del gas naturale ha già svolto il suo compito e oggi è diventato l’alibi per mantenere l’Italia nell’economia e nella cultura del fossile. Ogni nuovo investimento nel gas naturale sottrae risorse alle fonti rinnovabili, che richiedono una forte accelerazione e investimenti ingenti, ad esempio entro il 2030 il fotovoltaico deve aumentare di 80 GW e l’eolico di almeno 20 GW, di cui almeno la metà off shore. È curioso che ancora oggi non sappiamo se e quando il governo presenterà all’Unione Europea il piano per individuare dove collocare in mare l’eolico off shore, che doveva essere inviato a Bruxelles entro il 31 marzo scorso. Senza piano l’eolico in mare non potrà decollare ed era lecito attendersi che questo governo lo approvasse rapidamente per non essere complice dei ritardi precedenti.
Il PNRR sembra riservare gli investimenti nelle fonti di energie rinnovabili a risorse private perché le risorse previste nel PNRR sono del tutto insufficienti. Se fosse così gli obiettivi del PNRR non verrebbero realizzati.
L’idrogeno verde può arrivare solo da questi ingenti investimenti nelle energie rinnovabili, altrimenti è solo idrogeno blu, cioè un imbroglio. Solo l’idrogeno verde può essere una scelta strategica per cambiare il modello di sviluppo in produzioni fondamentali per il paese, a partire dall’acciaio. Questo vale anche per altri aspetti della transizione ecologica. Senza scelte nette si rischia di scoraggiare gli investimenti dall’estero, di perdere la possibilità di attrarre il risparmio e di precludersi l’accesso al mercato dei capitali perché gli investitori terranno conto della qualità delle scelte, una forte carica innovativa invece potrebbe incoraggiarli.
I giovani, a partire da friday for future, hanno chiesto coraggio nelle scelte, per il loro futuro. Nelle parole di Draghi sembrava esserci attenzione a questo versante, ma la prova verrà dai fatti, dal coraggio del governo di non farsi bloccare dai poteri costituiti che vogliono conservare il modello di sviluppo che è sotto accusa.
L’Italia ha tutto da guadagnare da scelte coraggiose, anzitutto perché si collocherebbe nella fascia avanzata della ricerca e degli investimenti, poi perché da queste scelte possono venire molte delle risposte che occorrono per sostituire le perdite occupazionali derivate dalla crisi legata alla pandemia, ma non solo. Il governo è ad un passaggio delicato, dopo avere acceso speranze ora rischia di avviare una fase deludente se non sarà all’altezza delle promesse e degli impegni e finora ci sono ragioni serie di preoccupazione, perché la trasposizione nel PNRR è avvenuta più come elenco che come indicazione delle scelte di fondo, se a questo si accompagnasse una sostanziale delega al mercato a decidere sulla base delle convenienze e degli umori delle imprese, nella maggioranza conservatrici dell’esistente, potremmo avere qualcosa di più serio di una delusione sulle reali qualità del governo.