L’annuncio del Presidente Mattarella di aver conferito a Mario Draghi l’incarico di formare un nuovo governo sulle ceneri del Conte bis disfatto da Renzi, è stato accolto con esultanza dai principali mass media che, fin dalla nascita del governo giallo-rosso, si sono messi di traverso e negli ultimi sei mesi hanno condotto una campagna sempre più intensa per screditare l’azione del Governo e l’alleanza politica che ne era alla base. Esultanza condivisa dai mercati finanziari che hanno celebrato l’annunzio con una fiammata dei listini. A questo entusiasmo fanno da contraltare le voci che rimarcano il ruolo di vestale dell’ortodossia neoliberista svolto in passato da Draghi ed eccepiscono che il pilota automatico ha sostituito la Costituzione.
Quali che siano i meriti o i demeriti, le virtù e le capacità del personaggio, noi che non crediamo nell’uomo della Provvidenza, non possiamo non osservare con malinconia che l’operazione di calare un “deus ex machina” per risolvere l’incapacità del Parlamento di dar vita ad una maggioranza politica e ad un governo capace di governare, certifica il “commissariamento” delle istituzioni politiche rappresentative. Questa situazione nasce da una crisi profonda della politica. Come ha osservato Massimo Villone (il Manifesto del 4 gennaio): “i mali di oggi vengono da una pessima legge elettorale che ha generato un Parlamento senza qualità, e soprattutto ha consentito a Renzi di portare nelle assemblee i suoi pretoriani e di avere così un peso che non ha nel paese.”
Se non c’è da esultare per l’esito della crisi di governo, ci sono degli aspetti positivi che devono essere valutati. Il primo e più importante è che l’insediamento di un Governo Draghi scongiura il ricorso anticipato alle urne che in questo momento sarebbe esiziale per il nostro Paese. Il Presidente Mattarella nel suo messaggio ha spiegato i gravissimi inconvenienti che deriverebbero da una paralisi di quattro/cinque mesi dell’attività di governo mentre dobbiamo affrontare il passaggio cruciale della pandemia e del Recovery plan. Ma ci sono altri motivi altrettanto importanti. L’attuale legge elettorale (il rosatellum adattato al taglio dei parlamentari) non assicura il rispetto della volontà popolare poiché con il 35/40% dei voti il centrodestra otterrebbe la maggioranza assoluta dei seggi, si assicurerebbe il Governo e la possibilità di eleggere un suo Presidente della Repubblica. In questo modo si aprirebbe la strada al modello ungherese della “democrazia illiberale”.
Un altro aspetto positivo è che, a differenza del Governo Monti, nato con la missione di tagliare la spesa sociale per ridurre il debito, quello di Draghi nasce sotto il segno del rilancio di una politica espansiva assicurato dalle risorse europee. Qui viene in gioco la sensibilità del personaggio, che dovrà necessariamente fare delle scelte politiche e confrontarsi con delle esigenze sociali drammatiche che non possono essere oscurate, a cominciare dalla scadenza a marzo del blocco dei licenziamenti, come gli ha ricordato Mattarella.
Quello che è certo è che in queste condizioni, non è possibile fare un governo “tecnico”. Draghi per governare dovrà fare delle scelte politiche rilevanti. Manterrà o cancellerà il reddito di cittadinanza, come gli chiede la Confindustria? Porterà avanti o seppellirà il progetto divisivo dell’autonomia differenziata, tanto caro alle destre? Nell’attuazione del Recovery plan, svilupperà i punti cruciali come la riduzione del divario Nord-Sud, la sanità, la scuola, l’ambiente, che stanno a cuore alle forze democratiche? Molto dipenderà dalla maggioranza su cui potrà contare. E’comprensibile il travaglio del Movimento 5 stelle, ma è evidente che il Governo Draghi assumerà i suoi orientamenti sulla base delle forze parlamentari che lo sosterranno. In questo momento tutti i giochi sono aperti, la cosa peggiore sarebbe quella di ritirarsi dal tavolo di gioco e consegnare tutte le fiches alla destra.