Contributo di Felice Besostri al Convegno del CDC del 27 dicembre 2017-Sala degli Atti Parlamentari-Senato della Repubblica
Se la Costituzione a 70 anni dalla sua firma è “sempre giovane” la Corte Costituzionale è ancora più giovane, perché sebbene prevista dalla legge costituzionale n. 1 del n. 9 febbraio 1948, tempestivamente adottata dalla Assemblea Costituente a pochissima distanza dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e prima delle elezioni del 18 aprile 1948, non fu una priorità della prima legislatura-. Soltanto nel suo ultimo anno fu approvata la legge costituzionale n. 1 del 11 marzo 1953 e la legge 11 marzo 1953 n. 87. Era un’Italia divisa quella uscita dalle elezioni del 1948 in un mondo diviso tra blocchi contrapposti e reciprocamente ostili, che si era rapidamente sostituito all’unità contro il nazi-fascismo e all’imperialismo giapponese. Nel sistema costituzionale italiano la Corte Costituzionale era un organo di garanzia e il più neutro rispetto alla Presidenza della Repubblica e alle Presidenze delle due Camere, la cui investitura era totalmente politica. A mio avviso non è un caso che l’attuazione della Costituzione, nella previsione di un giudice delle leggi, si sia svolta in parallelo con una riforma del sistema elettorale proporzionale con una legge forse ingiustamente definita “legge truffa”. Basta pensare ai più tardi tentativi di attribuire una maggioranza artificiale, a chi non l’avesse conquistata nelle urne, perseguita con le leggi n. 270/2005 e n. 52/2015, dichiarate incostituzionali nelle parti qualificanti dalle sentenze n. 1/2014 e 35/2017. L’aspetto preoccupante di quella legge era l’entità del premio di maggioranza, non che fosse attribuito ad una maggioranza assoluta consacrata dal voto popolare. Con il 65% dei seggi la coalizione maggioritaria aveva a portata di mano la possibilità di modificare la Costituzione con i due terzi dei voti delle Camere e quindi di sottrarla al referendum costituzionale previsto dall’art. 138 Cost.. Questo strumento che si è rivelato efficace usbergo, nel 2006 e il 4 dicembre 2016, ai tentativi di modificare la forma di governo parlamentare e il bicameralismo, sottraendo il Senato all’investitura di un’elezione universale e diretta (art.58) con voto eguale, libero e personale, oltre che segreto, come prescrive l’art. 48 Cost.. Una riforma, che era piuttosto una deforma costituzionale, che con la modificazione della composizione del parlamento in seduta comune nel caso dell’art. 90 Cost. e una legge elettorale maggioritaria, con un’impropria designazione di un candidato alla presidenza del Consiglio dei Ministri, avrebbe alterato l’equilibrio tra i poteri costituzionali posti al vertice della Repubblica, con la messa sotto tutela del suo Presidente.
La legge elettorale 31 marzo 1953 fu eccezionalmente promulgata, pubblicata e entrata in vigore lo stesso giorno, una fretta giustificata dalle elezioni del successivo 3 giugno 1953: una legge sulla quale la Corte Costituzionale non avrebbe potuto pronunciarsi poiché si è insediata il 15 dicembre 1955 e dopo aver eletto il suo primo Presidente, Enrico de Nicola, tenne la sua prima seduta il 23 aprile 1956, giorno a me particolarmente caro riportandomi all’adolescenza, annullando significativamente e simbolicamente un articolo il 113 di una legge fascista il T.U. delle leggi di p.s. approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.
La sentenza n. 1 del 5 giugno 1956 ha avuto come relatore Gaetano Azzariti ed stata decisa dopo aver sentito gli avvocati di cui basta leggere alcuni nomi per comprendere l’importanza di quella sentenza: Costantino Mortati, Massimo Severo Giannini, Vezio Crisafulli, Giuliano Vassalli, e Piero Calamandrei, il cui discorso sulla Costituzione del 26 gennaio 1955 a Milano è stato decisivo per la mia formazione. L’importanza di quella sentenza sta anche per l’affermazione in dispositivo “Afferma la propria competenza a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge anche se anteriori alla entrata in vigore della Costituzione”. La nascita della Corte Costituzionale e la sua prima decisione è stata segnata dalla volontà di non lasciare zone franche, sottratte al controllo di costituzionalità. Per le leggi elettorali si è dovuto aspettare un’ordinanza del 17 maggio 2013 la n. 12060 della Prima Sezione Civile della Cassazione. Quest’ ordinanza, in un certo senso, ha avuto la stessa funzione dell’ordinanza del pretore di Prato, che per primo aveva sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 113 del T.U. di P.S. con l’ ordinanza 27 dicembre 1955 e che era Antonino Caponnetto, al suo primo incarico di magistrato.
La Corte Costituzionale è un organo indipendente dalla politica, ma non dal clima politico e culturale, in cui si trova ad operare e che per funzionare ha bisogno che una pluralità di attori sia sensibile ai valori costituzionali a cominciare dai gruppi parlamentari, dai partiti politici, dai docenti universitari, che formano giudici ed avvocati, da quest’ultimi nella loro professione per finire con l’opinione pubblica e il corpo elettorale.
Come per la legge n. 148/1953 fu il popolo ad esprimersi nelle successive elezioni del 7 giugno, spetterà al corpo elettorale pronunciarsi politicamente sulla legge n. 165/2017, che ha sì abbandonato la strada dei premi espliciti di maggioranza, ma non la tentazione di prefigurare i risultati. Si impedisce una volta di più agli elettori di scegliersi i loro rappresentanti con liste bloccate( come se l’unica alternativa ai voti di preferenza fossero le liste bloccate ignorando il sistema elettorale svizzero o quello svedese), con il voto congiunto tra candidati uninominali e liste plurinominali, l’assenza di scorporo e i privilegi per i gruppi parlamentari uscenti rispetto a nuovi soggetti che possano competere per essere rappresentati in Parlamento. Vi è la violazione dei principi di una sentenza fondamentale come quella del 23 aprile 1986 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, per i quali i gruppi di un parlamento uscente non si possono accordare privilegi a danno di soggetti politici non ancora rappresentati.
La zona franca delle leggi elettorali dipende anche dalla cattiva abitudine di adottare leggi elettorali nuove o con modificazioni importanti alla vigilia delle elezioni. Così è stato con la legge n. 148/1953 pubblicata il 31 marzo e con elezioni indette il 7 giugno successivo. La legge n. 270 del 21 dicembre 2005 ha presieduto le elezioni del 9 e 10 aprile 2006 . La stessa indifferenza ha prodotto l’approvazione della legge di modifica della legge 24 gennaio 1979, n. 18 con la legge 20 febbraio 2009, n. 10, frutto di un accordo PD-FI alla vigilia delle elezioni del 6 e 7 giugno di quell’anno. Le prossime elezioni per la XVIIIma Legislatura saranno rette da una legge entrata in vigore il 12 novembre 2017 e si svolgeranno, come da anticipazioni di stampa, nel mese di marzo e sicuramente prima del 18 per dar loro una parvenza di elezioni anticipate, per riammettere in termini sindaci che si erano dimenticati di dimettersi in tempo. L’Italia fa parte dalla sua fondazione del Consiglio d’Europa e ha contribuito all’adozione di un Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale, che ha ormai quasi 15 anni di vita essendo stato adottato a Strasburgo il 23 maggio 2003, che raccomanda di non adottare cambiamenti importanti della legge elettorale nell’anno che precede le elezioni. Un Parlamento, che è stato eletto con una legge dichiarata incostituzionale dopo la sua elezione, manca evidentemente della sensibilità per i valori della democrazia, ma avrebbe dovuto evitare addirittura di abrogare di fatto una legge del 1990, la n. 53, che avrebbe consentito di raccogliere le firme fin dal 180° giorno precedente le elezioni per portarlo al 45° giorno antecedente al voto. Non c’è il tempo per portare al vaglio della Consulta la nuova legge elettorale e mi sia consentito di dire, che neppure sarebbe stato opportuno che una decisione intervenisse dopo lo scioglimento delle Camere. La Corte di Cassazione aveva fissato la discussione finale del ricorso per la riforma della decisione negativa della Corte d’Appello di Milano sul diritto di votare in conformità della Costituzione per il gennaio 2013 per rinviarla al 17 maggio 2013. Con le elezioni indette si deve pronunciare il corpo elettorale anche se il pronunciamento non sarà libero e il voto non eguale e personale. Finché il voto sarà segreto chi si confeziona leggi elettorali nel suo interesse è sempre stato smentito in sede di prima applicazione, così e avvenuto per il Mattarellum e il Porcellum. L’Italikum è stato, addirittura, espunto dall’ordinamento prima di essere applicato. Per la legge 165/2017 bisogna augurarsi un destino analogo a quello della legge 148/1953. La via politica e quella giudiziaria non sono alternative e men che meno si contrappongono, ma si integrano e si influenzano. La decisione di ricorrere alla giustizia ordinaria e costituzionale è di per se stessa una scelta politica, di fiducia nello stato di diritto, nella democrazia e nella Costituzione. Semmai c’è da denunciare una carenza di iniziativa legislativa anche della sinistra, quando era maggioranza almeno come proposta di riforma della procedura di controllo di costituzionalità. Non mi ricordo nessuna iniziativa per circoscrivere l’art. 66 Cost. alla fattispecie prevista dallo stesso articolo, ma estesa, grazie ad una magistratura compiacente alle operazioni elettorali preparatorie, che altrimenti non sarebbe stato legittimo approvare una norma di delegazione legislativa come l’art.44 c. 2 lett. d) della legge n. 69 del 2009, che assoggettava al controllo giurisdizionale le operazioni elettorali preparatorie per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. Per quella via sarebbero potute arrivare al controllo di costituzionalità, in tempi più rapidi, almeno le norme che incidono sulla stessa libertà di voto e di candidarsi in condizione di eguaglianza come prescritto dall’art. 51 Cost.. Tuttavia in un ottica di manutenzione e difesa attiva della Costituzione, la soluzione maestra è quella di adottare soluzioni del tipo della Grundgesetz della Germania Federale, dove è previsto un ricorso al Tribunale Costituzionale Federale contro le decisioni del Bundestag sulla convalida dei deputati e sui ricorsi contro la loro proclamazione. Le leggi elettorali sono inoltre collegate nella loro attuazione al sistema dei partiti, che da noi, nonostante l’art. 49 Cost., non sono mai stati oggetto di un’organica legislazione, che comprenda il controllo giurisdizionale delle decisioni in ordine alla candidature: una procedure trasparente e giustiziabile, assunta con largo anticipo rispetto al deposito delle liste, porrebbe fine alle discussioni su liste bloccate e preferenze. In assenza d’istituti d’accesso diretto alla Corte Costituzionale in caso di lesione di diritti costituzionali fondamentali come il Verfassungbeschwerde nella RFT o il recurso de amparo constitucional spagnolo, almeno in materia di diritto di voto, il controllo in via incidentale non è uno strumento adatto per i suoi tempi. Bisognerebbe che la raccomandazione del Codice di Buon Comportamento in Materia Elettorale, per la quale “Gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni non devono poter essere modificati nell’anno che precede l’elezione” sia incorporata almeno nei Regolamenti parlamentari. Gli stessi Regolamenti dovrebbero essere espliciti, in conformità con l’art. 72c.4 Cost. nel divieto di approvarne articoli con il ricorso al voto di fiducia, sulla cui erronea applicazione nella Camera dei Deputati in occasione dell’approvazione finale della legge n. 52/2015 ha scritto con argomentazioni decisive il nostro presidente prof. Massimo Villone nel Manifesto del 16.4.2015 (http://ilmanifesto.it/lossimoro-della-fiducia-segreta/ ). Parlo del voto di fiducia su norme elettorali perché si è creato un precedente, del quale il Presidente del Senato, benché contrario, ha dovuto, per la sensibilità istituzionale che gli va riconosciuta, tener conto per non smentire l’altra Camera e non dare un’immagine schizofrenica del bicameralismo paritario consacrato dal corpo elettorale referendario con una partecipazione superiore a quella delle precedenti elezioni del 2014. La questione è stata sollevata nei 23 ricorsi presentati in altrettanti Tribunali delle città capoluogo di distretto di Corte d’Appello, di cui solo 5 hanno dato luogo ad ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale e nessuna di esse con un quesito ritenuto ammissibile sul punto, tanto che la Corte ha auspicato che le fosse rimesso, finora invano per insensibilità dei Tribunali aditi. Se le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie, esse devono essere necessariamente costituzionali, quindi l’accertamento del diritto di votare secondo Costituzione deve precedere le elezioni pena l’inefficacia della decisione, com’è avvenuto con la sentenza n. 1/2014 rispetto al Parlamento eletto nel 2013. In Germania il Plenum del Bundesverfassungsgericht ha fin dal 20 luglio 1954 (BVerfGE 4,27) statuito che i partiti politici possono far valere le loro ragioni in materia elettorale soltanto per la via dell’Organstreit, che corrisponde al nostro conflitto di attribuzioni, ma una tale decisione può arrivare solo con modifica della legge n. 87/1953, anche se il collegamento tra partiti e legge elettorale è consacrato dall’art. 14 del dpr n. 361/1957 e tra liste presentate alle elezioni e gruppi parlamentari dai Regolamenti parlamentari, compreso quello assai recentemente approvato dal Senato della Repubblica, che senza incidere sul divieto di mandato imperativo, che va mantenuto, è di ostacolo alle transumanze.
Il conflitto di attribuzione è lo strumento più adatto, anche alla luce dell’ordinanza n. 225/2017 che ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione n. 2/2017 e ammesso per la prima volta la possibilità di misure cautelari estendendo ai conflitti di attribuzione quanto previsto dagli artt 22, 35( come modificato dall’art. 9 c. 4 l. n. 131 del 2003) e 40 della legge n. 87/1953 per i giudizi di costituzionalità in via incidentale. A legislazione vigente la Corte Costituzionale potrebbe tenere conto che la nostra Costituzione è l’unica, tra quelle europee, nella quale la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ( art. 1 c. 2 Cost.) e che come corpo elettorale elegge un Parlamento, i cui membri non rappresentano in primo luogo i loro elettori e/o i territori d’elezione, bensì la Nazione(art. 67 Cost.). Al prossimo Parlamento spettano compiti importanti come il completamento della Corte Costituzionale, l’elezione dei membri laici del CSM e, se compie il quinquennio, l’elezione o la riconferma del Capo dello Stato nel 2022, oltre che contribuire alla riforma dei Trattati dell’Unione europea in vista delle elezioni per il Parlamento europeo del 2019. Una legge elettorale è stata approvata, che solleva dubbi e favorisce una diminuzione della partecipazione elettorale. Per evitare contraccolpi, che rendano ancora più fragili le nostre istituzioni, sarebbe opportuno che tutte le forze politiche amanti della Costituzione, siglino al loro interno e tra di loro un Patto per la Costituzione, per la sua difesa e attuazione che abbia come guida il secondo comma dell’articolo 3 Cost., per il quale “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” e come fonte di ispirazione le aspettative e le speranze, che hanno animato i cittadini e le cittadine, che hanno partecipato al referendum del 4 dicembre dello scorso anno.