Da un predellino a un arancino. Dieci anni fa, Berlusconi annunciava dal predellino di un’automobile la nascita del popolo delle libertà. Nel centrosinistra alcuni trovarono che la cosa facesse piuttosto ridere.
Ma poco si divertirono quando, nel 2008, il centrodestra sconfisse la napoleonica arroganza di Veltroni che condusse al disastro il Pd in corsa (quasi) solitaria. Oggi l’annuncio del patto elettorale del centrodestra viene da un tavolo di ristorante. Ma il senso è lo stesso.
Il centrodestra incassa la promulgazione della legge elettorale, prevedibile e annunciata. In una delle ultime esternazioni, Mattarella aveva detto che l’intervento del Presidente si giustifica solo in caso di manifesta incostituzionalità. In realtà, avvertiva che tale non era il caso per il Rosatellum 2.0.
Probabilmente è anche giusto. In specie, non è dubbio che la legge favorisca alcuni e danneggi altri. Ma non viene da questo una automatica e indiscutibile incostituzionalità. Ad esempio, se dovessimo considerare manifestamente incostituzionale la legge che ammettendo le coalizioni danneggia M5S che non le vuole fare, non dovremmo del pari considerare manifestamente incostituzionale la legge che sbarrando la strada alle coalizioni danneggia chi ha la possibilità e volontà politica di farle?
Voteremo con il Rosatellum 2.0. Un nuovo assalto giudiziario non ha molte prospettive, e da qui al voto i tempi sono comunque troppo brevi. Con la nuova legge elettorale le chance di vittoria del centrodestra – se unito – si consolidano. Da qui la spinta più forte per il patto dell’arancino. Vedremo se Berlusconi saprà contenere l’impeto della Lega, lanciata dal collegio uninominale maggioritario verso l’egemonia nel Nord, e rafforzata anche dai referendum nel lombardo-veneto.
Intanto Berlusconi incassa il patto, e scommette sulla Sicilia, dove l’azionista di maggioranza non è la Lega.
Inutilmente Renzi cerca di tenersi lontano dal voto siciliano, auspicando addirittura che vinca il migliore, quasi che fosse un evento sportivo. È il segretario di un partito schierato per uno dei candidati. Dunque, sbaglia, e l’errore si aggiunge ai molti già fatti.
Renzi è un segretario che ha rotto con mondi storicamente di riferimento; ha avvelenato i rapporti con corpi intermedi ancora in grado di organizzare il consenso, come i sindacati; ha contribuito al disfacimento organizzativo del suo partito e all’emorragia di militanti; ha perso pezzi importanti e tuttora capaci di un seguito, come da ultimo Bassolino a Napoli; ha condotto le truppe a dure sconfitte come quella sul referendum costituzionale, e non solo; ha forzato la mano su una legge elettorale che reca danno al suo stesso partito; attacca un governo, che pure è un clone del suo esecutivo, a partire dalla Boschi; conduce parlamentari lanzichenecchi, in dispregio di prassi e principi di correttezza politica e istituzionale, a sfasciare in chiave populista delicati equilibri, come nel caso Bankitalia.
Un partito degno di questo nome avrebbe già posto all’ordine del giorno un cambio di leadership. Non il Pd di oggi. Renzi può dire quel che vuole, e – scontando un insuccesso – gabellare come accettabile il terzo o quarto posto di un candidato sostenuto dal Pd. Ma lasciamo che De Coubertin riposi in pace. Un simile risultato certificherebbe la possibilità che il generale conduca l’esercito alla sconfitta nel 2018.
Qui è l’occasione per la sinistra a sinistra del Pd di entrare in Parlamento con forze sufficienti ad avere, nonostante la legge elettorale, un ruolo. Si vedrà poi quale. Intanto, dovrà costruire il progetto di un paese diverso, inclusivo, aperto alla domanda di novità che viene dal mondo giovanile, e da tanti che hanno da tempo abbandonato le urne e potrebbero voler ritrovare un senso nel voto. Sarà possibile in poche settimane dare credibilmente il messaggio di un paese diverso, una vita migliore, una speranza di futuro non illusoria? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che non è questione di facce, quanto di idee e parole chiare. E attardarsi nella conta e nella distribuzione delle poltrone disponibili non aiuta.
Quanto a Renzi, si illude se pensa di ritrovare un consenso popolare perduto girando l’Italia in treno. Risalga in carrozza, e riprenda il viaggio. Ma per andare direttamente al deposito.
Massimo Vilone su Il Manifesto del 5 novembre 2017