Due processi paralleli sono in corso nel variegato mondo della sinistra e del civismo costituzionale. Dato lo scontato appello all’inclusione, è un fatto che tutti e due i processi hanno preso avvio da un’iniziativa di pochi. Non è un peccato capitale. Neppure la rottura col passato lo è, ma la discontinuità non basta: dobbiamo fare politica non riscrivere la storia. I morti non devono afferrare i vivi.
Dobbiamo dare una risposta agli elettori ignoti, quelli che hanno dato al NO quel risultato inaspettato per i fautori del SI’, vanificando campagne mediatiche con costi milionari.
Se il punto di partenza è l’attuazione della Costituzione, il voto espresso il 4 dicembre non è determinate per includere o escludere a priori chicchessia; il punto principale è il rispetto della volontà popolare democraticamente espressa sulla forma di Stato e di Governo, come delineato dalla nostra Costituzione: uno Stato delle autonomie e una forma di governo parlamentare. Il referendum ha confermato un sistema parlamentare bicamerale paritario: non si può andare al voto, con soglie totalmente differenti e contraddittorie (3% nazionale per la Camera e 8% regionale per il Senato), che, quindi, condannano a maggioranze disomogenee e che violano articoli fondamentali della Costituzione, come il 3, il 48 e il 51, sull’uguaglianza del diritto di voto e di candidatura ed anche il 49, perché i partiti politici non sono liberi di presentarsi con le stesse liste nei due rami del Parlamento.
Il paese ha bisogno di un momento di trasparenza e di verità della sua rappresentanza: se i due processi paralleli non riescono ad accordarsi nemmeno sulle regole del gioco fondamentali, è meglio lasciar perdere ogni tentativo di unificarli. In questa fase le discussioni sulla leadership sono perdita di tempo o puramente strumentali. Un accordo sulla legge elettorale è una condizione necessaria; tuttavia, non è sufficiente.
La lista unica e unitaria della sinistra e non solo, variamente declinata, è un obiettivo in sé o un passaggio verso una nuova formazione politica? La sola alleanza elettorale sarebbe percepita come frutto di uno stato di necessità: insufficiente, quando si deve convincere a ritornare al voto, tendenzialmente, la metà del corpo elettorale (in termini percentuali). Un progetto credibile da costruire nel corso della prossima legislatura dovrebbe mettere in conto, intanto, le elezioni regionali siciliane del 5 novembre del corrente anno e quelle regionali del 2018 in Lombardia, Lazio, Molise, Friuli Venezia Giulia e Basilicata. Basta proiettarsi nel 2019 per incontrare le elezioni regionali in Sardegna, Abruzzo, Piemonte, Calabria e Emilia Romagna, la regione dove più bassa è stata la percentuale dei votanti alle elezioni precedenti, 37,71%. Troppa carne al fuoco e in assenza di cuochi e fornelli in comune!
Senza fare i conti con l’Europa non è possibile alcuna inversione/rottura con le politiche economiche e sociali dettate dall’austerità. Senza un cambio deciso di rotta dell’Unione Europea la questione dell’accoglienza dei migranti, quale che sia la loro natura politica, economica o ambientale diventerà il tema numero 1 della prossima campagna elettorale
Chiaramente la prudenza consiglierebbe che, prima di impegnarsi per il 2019( elezioni europee), si veda come va nel 2018, ma qui casca l’asino perché, se ci sono troppe timidezze e riserve, il progetto non è credibile: non lo è per gli elettori se non ci credono neppure i suoi promotori. Se il progetto non è nemmeno biennale (2018-2019), c’è da dubitare sulla sua validità per un elettorato che vuol coniugare sentimento e ragionamento, il bacino naturale di riferimento di ogni sinistra.
Emerge un problema di fondo sulla natura della proposta di una lista unica ed unitaria. Se si crede nella democrazia come partecipazione, e non solo come rappresentanza parlamentare e nelle altre assemblee territoriali, la mobilitazione nella società è un dovere; ma se si crede nella democrazia costituzionale per la conquista e la gestione del potere, ci si presenta alle elezioni con l’ambizione di vincerle, perché convinti di poter conquistare la maggioranza dei cittadini.
Una sinistra senza aggettivi dice solo dove si sta, non dove si voglia andare tutti insieme, appassionatamente e non può ignorare nessuno dei suoi filoni ideali storici, socialista, comunista e libertario( Edgar Morin).
Il terreno dell’attuazione della Costituzione rappresenta un comune denominatore, che assegna alla nascente formazione politica sia il compito di rappresentanza delle masse popolari, che di una missione nazionale contro la disgregazione sociale, Questa missione nazionale presuppone una visione ampia dell’orizzonte, una volta era scontato l’internazionalismo socialista e comunista e l’universalismo cristiano, ora che sarebbe più che mai necessaria una visione cosmopolitica, perché è in gioco la stessa sopravvivenza del pianeta, prevalgono egoismi nazionali, che le organizzazioni internazionali, prive di una dimensione parlamentare, spesso acuiscono, perché gli stati son rappresentati dai loro governi, sempre con più poteri perché sottratti ai controlli dei loro parlamenti.
Il punto di partenza – e che rischia di essere anche d’arrivo – è l’esistenza di due processi paralleli, che se restano tali in una geometria euclidea non si incontrerebbero mai. Occorre una lista unica e unitaria della sinistra e del civismo democratico costituzionale, che prepari una formazione politica larga, plurale ed inclusiva per l’attuazione della Costituzione e dei suoi principi fondamentali.
*Felice Besostri, Presidente del Gruppo di Volpedo, è componente dell’esecutivo del Coordinamento Democrazia Costituzionale.