La sinistra sta cercando una prospettiva unitaria, dovrebbe partire dai fondamentali. Se c’è accordo su questi il passo avanti è possibile.
Partiamo dal referendum del 4 dicembre 2016. Nel 2013 la sinistra ha pagato un prezzo per non avere raccolto la spinta dei referendum (vittoriosi) del 2011. Grillo capì l’errore, si intestò i risultati dei referendum più di quanto non avesse meritato sul campo.
La vittoria del No ha impedito la manomissione della Costituzione. Il problema ora non è se si era schierati per il No quanto riconoscere che andava sconfitto un disegno accentratore e autoritario.
Partire dal referendum è importante perché è riguarda il futuro democratico del nostro paese, la sua qualità, il diritto di avere diritti come scrisse Rodotà contro la normalizzazione pretesa dai processi di globalizzazione.
E’ un errore sottovalutare gli ispiratori e la spinta potente alla base del tentativo di modifica della Costituzione.
Ci sono centri di potere finanziari e politici che chiedono da anni di cambiare le Costituzioni dei paesi del sud Europa e dell’Italia in particolare, perchè troppo influenzate dalla sinistra. I documenti sono noti.
Banche di affari, centri di decisione finanziaria ed economica, multinazionali ritengono essere la partecipazione democratica, forse la stessa democrazia, una perdita di tempo e premono affinchè le decisioni che a loro interessano siano adottate con le stesse modalità delle aziende che vogliono avere sempre più le mani libere.
Ci sono settori politici che si adeguano, ma la sinistra deve opporsi.
La globalizzazione vera è questa: decisioni planetarie adottate in pochi e ristretti centri di potere economico.
La pressione per modificare la Costituzione ha questo retroterra di poteri e di cultura e punta ad adottare decisioni rapide ed inappellabili.
Per questo l’attacco è destinato a tornare malgrado il voto del 4 dicembre e sarà più determinato, più incisivo di quello tentato da Renzi. Si parla apertamente di cambiare non solo la seconda parte della Costituzione (Galli della Loggia) ma anche la prima (Panebianco). Finora era mancato il coraggio di prendere di petto l’insieme della Costituzione. Ora non più.
Per questo la legge elettorale è centrale e deciderà del nostro futuro democratico.
Nella Costituzione non c’è la legge elettorale. Questo ha costretto la Corte ad intervenire più volte per ridare coerenza costituzionale alle leggi elettorali. E’ una garanzia che non ci ha impedito di votare tre volte con il porcellum prima che venisse dichiarato incostituzionale.
Nel 2018 si tornerà a votare ma non si sa con quale legge. Allo stato si voterà con due leggi che sono il risultato di due diverse sentenze della Corte su leggi diverse.
Il parlamento, eletto con una legge incostituzionale, dovrebbe sentire almeno il dovere di approvare una legge elettorale coerente per Camera e Senato.
Purtroppo è un parlamento composto da nominati dai capi partito. I partiti sono ridotti a dependance dei loro capi, i quali decideranno chi verrà rieletto. Un disastro che ha già reso il parlamento debole, senza credibilità.
E’ evidente che in un nuovo parlamento di nominati, imbelle e subalterno, riprenderanno disegni neoautoritari, presidenzialisti, tali da ridurlo a sede di ratifica. Mentre oggi la nostra Costituzione mette il parlamento a fondamento dell’assetto democratico.
Per evitare questa regressione e per garantire che i principi della prima parte vengano attuati e non svuotati è necessario che i parlamentari vengano scelti direttamente dagli elettori.
E’ inaccettabile che i capi partito decidano da soli se e quale legge elettorale approvare. La Camera il 6/9 riprenderà l’esame della legge elettorale. Occorre un’iniziativa forte per impedire che vengano usati nuovi pretesti per fare saltare tutto e per evitare che torni dalla finestra quello che il referendum ha bocciato.
Il 2 ottobre alla Camera abbiamo convocato un’assemblea nazionale per lanciare, come l’11 gennaio 2016 per il No, una campagna di informazione e di mobilitazione per impedire anzitutto il sequestro delle decisioni.
L’attenzione dell’opinione pubblica sulla legge elettorale non è paragonabile a quella sulla Costituzione, anche per un’opera di depistaggio e di informazione confusa.
La sinistra alla ricerca di una sintesi dovrebbe farne un punto centrale, superando posizioni subalterne verso le forze maggiori, che lo sono oggi anche perchè il loro ruolo non viene messo in discussione.
Alfiero Grandi, vice presidente Coordinamento democrazia costituzionale su Il Manifesto del 25 agosto