Articolo di Antonio Pileggi su Rivoluzione Liberale, pubblicato il 10/1/2016
Il capo del Governo dell’Italia, che è anche capo del suo partito, nella conferenza stampa di fine anno, ha dichiarato che, se non dovesse passare il “SI” alle sue riforme costituzionali nel referendum del prossimo autunno, la sua esperienza politica finirà.
Le doppie funzioni esercitate da Renzi pongono l’esigenza di sottolineare che il voler legare ai destini politici della sua persona il processo di formazione della volontà costitutiva della Legge costituzionale nulla ha a che fare con lo “spirito costituente” che dovrebbe animare qualsiasi costituzione avente il connotato liberal-democratico.
Dalla secolare Costituzione americana in poi, dovrebbe essere del tutto ovvio che, quando il “potere legislativo” sia impegnato a discutere e a decidere in materia costituzionale (o il popolo sovrano sia chiamato a partecipare ad un referendum su questioni di natura costituzionale), il “potere esecutivo” dovrebbe fare un passo indietro e tacere.
È sconcertante la pretesa di far diventare un referendum sugli assetti ordinamentali della Repubblica in un plebiscito incentrato su una persona. Ed è ineffabile la pretesa di far diventare il “potere esecutivo” una gioiosa macchina da guerra, in tandem con le preannunciate mille Leopolde, a sostegno di cambiamenti costituzionali congegnati per corrispondere ai desiderata del capo del medesimo “potere esecutivo”, che è anche il capo della sua organizzazione politica di parte.
Quando si mette in campo la pretesa di “rottamare” anche Montesquieu, il teorico della divisione dei poteri, c’è da dire “NO”. Non si può dire “SI” alla “rottamazione” dei principi e dei valori sui quali si basa la liberal-democrazia. Sta di fatto che è stato già costituito un Comitato per il “NO” alla riforma nel previsto referendum di ottobre. Il Comitato agirà unitamente ad un secondo Comitato che si propone l’obiettivo dell’abrogazione, attraverso un referendum, di alcune norme illiberali della legge elettorale denominata “Italicum”. Entrambe le iniziative politiche si propongono di impedire lo stravolgimento dell’architettura costituzionale di stampo liberal-democratico che caratterizza la giovane Repubblica italiana.
L’11 gennaio 2016 è un giorno da ricordare. Mentre la Camera vota la riforma costituzionale voluta da Renzi, in una Sala della stessa Camera, scende in campo aperto il Comitato per il “NO” alle riforme costituzionali. È un primo impegno pubblico di una serie di iniziative politiche rivolte a rendere visibili le mille ragioni di chi crede nei principi e nei valori liberali ed avversa l’idea di realizzare un regime dell’uomo solo al comando.
Meno di settanta anni fa, l’11 marzo 1947, il Liberale Benedetto Croce si rivolse all’Assemblea Costituente per proporre un’implorazione allo Spirito Santo con le parole dell’inno sublime Veni creator Spiritus. Un Uomo di provata convinzione “laica”, un vero gigante della cultura laica, sorprese tutto il mondo politico per aver deciso di sollecitarlo a percepire la solennità e l’importanza del momento storico e a cogliere la “sacralità” della scrittura del testo costituzionale, che è la Legge delle leggi, da valere al di sopra e all’infuori dei personalismi e degli interessi politici di chicchessia.
Impossibile, per mille motivi, fare paragoni tra la statura politica ed ideale dei Padri della vigente Costituzione e le “ambizioni” degli attuali novelli costituenti. I Padri costituenti, destinatari dell’appello di Benedetto Croce, furono eletti col sistema proporzionale e non hanno nulla in comune con i parlamentari di questa diciassettesima legislatura. Questi ultimi sono stati eletti con una legge dichiarata incostituzionale. Il capo dell’Esecutivo, Renzi, non è mai stato eletto in un’Assemblea legislativa. Invece è stato eletto a capo di un’organizzazione politica di parte, cioè il suo partito, che è l’unico al mondo ad eleggere il proprio capo attraverso le così dette primarie all’italiana, che sono del tutto autoreferenziali, cioè non regolate da alcun controllo di Legge, e del tutto aperte alla partecipazione anche dei non iscritti al medesimo partito. E c’è di più. Renzi ha esercitato un invadente ruolo nelle scelte di natura costituzionale riservate al “potere legislativo”.
Quanto allo spirito costituente che aleggia sull’attuale Parlamento, c’è da notare, inoltre, che in questa legislatura c’è già un record: quello dei voltagabbana. Infatti mai si è verificata tanta migrazione di parlamentari eletti in un partito e poi passati ad altre formazione politiche. I Liberali, per formazione e convinzione, sono rispettosi dei principi che presiedono alla libertà dal vincolo di mandato. Ma l’esodo da record che si è verificato a tutto il 2015 non può non suscitare serie perplessità a fronte di scelte aventi valore costituzionale. Insorgono interrogativi su quanta credibilità possano avere le istituzioni coinvolte e travolte da questo esodo così massiccio e così subalterno ad un personaggio politico che si propone come uomo solo al comando e il cui destino politico viene correlato allo stravolgimento della Costituzione.
A tal riguardo preme sottolineare quanto siano importanti la credibilità e l’autorevolezza dei partiti e, nel contempo, la credibilità e l’autorevolezza delle istituzioni. I numeri non consentono di fare demagogia. Basta considerare che, come mai avvenuto nella storia della Repubblica, più della metà degli italiani sta abbandonando le urne. Un abbandono da record. Un altro record che si aggiunge a quello dei parlamentari voltagabbana.
È appena il caso di ricordare la scuola di pensiero riferibile al filosofo Amiel: «L’esperienza di ogni uomo ricomincia daccapo. Soltanto le istituzioni diventano più sagge: esse accumulano l’esperienza collettiva e, da tale esperienza, da tale saggezza, gli uomini soggetti alle stesse norme non cambieranno certo la loro natura ma trasformeranno gradualmente il loro comportamento». Qual è lo stato di salute delle istituzioni italiane?
L’attuale crisi di credibilità dei partiti nati nell’ultimo ventennio è palese. E sono palesi le caratteristiche di essi partiti, che sono per lo più padronali e incapaci di far crescere una classe politica ispirata all’etica della responsabilità. La bugia e la demagogia sono diventate il pane quotidiano di politicanti preoccupati solo di occupare i palazzi del potere. C’è poco da star sereni perché la crisi dei partiti ha contagiato le istituzioni e sta camminando di pari passo con la crisi di credibilità delle stesse istituzioni. Tutto ciò impone di valorizzare e rilanciare, in termini attuativi e credibili, la parte programmatica della giovane Costituzione italiana, nata con uno spirito costituente assolutamente incomparabile, per mille motivi, con la riforma Boschi-Renzi tutta incentrata sull’idea di un uomo solo al comando.
Il vigente modello strutturale e funzionale delle istituzioni può essere migliorato, ma non stravolto nei suoi connotati essenziali. È stato concepito con pesi, contrappesi e controlli, cioè in termini plurali. La divisione dei poteri non è una teoria da lasciare scritta sui libri di storia, ma deve essere sempre viva per fermare ogni tentativo di prevaricazione e di assolutismo. A tal riguardo giova ricordare che la pietra miliare delle Costituzioni moderne è sempre l’idea della divisione dei poteri. È l’idea dalla quale prese le mosse Montesquieu, per scrivere la sua indimenticabile opera,“Lo spirito della legge”. Aveva ben presente, Montesquieu, che “Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”.