Pubblicato su il Fatto quotidiano 21.9.2015
Intervento di Alessandro Pace
In un articolo intitolato “Perché è meglio indiretta”, apparso di recente su “Il sole 24 ore”, Roberto D’Alimonte, autorevole ed ascoltato studioso di sistemi elettorali, ha ribadito la sua contrarietà all’elezione diretta del Senato sulla base di due concisi argomenti: 1) l’elezione indiretta è da preferire perché su 28 paesi dell’Unione europea, 15 hanno un sistema monocamerale, 8 prevedono l’elezione indiretta e solo 5 l’elezione diretta. Pertanto «la proposta in discussione al Senato» non costituirebbe affatto «un’anomalia»; 2) quanto al modello indiretto di elezione, per D’Alimonte «non è semplice rispondere» se sia meglio il modello previsto per il Bundesrat della Repubblica federale tedesca – nel quale sono i Governi locali a rappresentare i Länder – oppure il modello Boschi, nel quale sono i consigli regionali e i consigli provinciali di Trento e Bolzano ad eleggere i senatori: 74 tra i consiglieri regionali e 21 tra i sindaci dei comuni capoluogo. Pertanto, non essendo semplice rispondere al quesito, è opportuno non «rinviare sine die una riforma che il paese attende da più di trenta anni».
In apertura, D’Alimonte rileva che «sui metodi di elezione delle seconde camere in Europa si sta facendo in questi giorni parecchia confusione». Il che è vero. E’ però altrettanto vero che uno dei maggiori motivi di confusione sta proprio nell’inesattezza della locuzione “elezione indiretta” generalmente utilizzata per designare sia il modello tedesco, sia il modello previsto dalla riforma Boschi.
Infatti, se i cittadini eleggono i consiglieri regionali e provinciali, e questi a loro volta eleggono i senatori, non si può dire, per la proprietà transitiva, che i cittadini eleggano (indirettamente) anche i senatori. Sono infatti esclusivamente i consigli regionali e provinciali ad eleggere i senatori. Quindi è solo per intenti mistificatori, per ignoranza oppure per addolcire la pillola che si allude alla futura elezione dei senatori come se saranno indirettamente scelti dai cittadini. Si badi bene: se tale tesi rispondesse a verità, si dovrebbe allora concludere che anche il Presidente della Repubblica è eletto indirettamente dal popolo. Mentre è a tutti noto che le Camere in seduta comune sono liberissime nella loro scelta.
Del pari inesatto è sostenere che l’elezione dei componenti del Bundesrat sarebbe indiretta. Il modello vigente costituisce una conseguenza dell’ordinamento federale instaurato dalla Costituzione imperiale del 1871, che mantenne in vita gli Stati preesistenti trasformandoli in Länder, mentre l’unificazione monarchica italiana li soppresse del tutto (di qui la difficoltà storica più che giuridica di trasformare il nostro Senato in una specie di Bundesrat). Il Bundesrat tedesco è quindi costituito non da parlamentari, ma dai 16 Länder rappresentati dai rispettivi Governi, nella persona di uno o più rappresentanti, che, a seconda dell’importanza del Land, hanno a disposizione da 3 a 6 voti per ogni deliberazione.
Quand’è, allora, che si può correttamente parlare di “modello indiretto”? Risposta: solo quando i cittadini eleggano i Grandi elettori, e questi, a loro volta, eleggano i senatori (Leopoldo Elia). Il che appunto avviene in Francia, dove sono i cittadini ad eleggere i 150 mila Grandi elettori che dovranno eleggere i 348 Senatori, laddove in Italia non sarebbero i cittadini, ma poco più di mille consiglieri regionali e provinciali a dover eleggere solo 95 senatori.
In conclusione, le ragioni in base alle quali il Senato dovrebbe continuare ad essere direttamente eletto sono assai serie. Direi, anzi, indiscutibili. Esse discendono da ciò: poiché anche dalla riforma Boschi gli è riconosciuta la spettanza delle funzioni legislativa e di revisione costituzionale, sarebbe manifestamente incostituzionale se le rispettive deliberazioni, vincolanti per tutti i cittadini, non rinvenissero la loro legittimazione nel voto dei cittadini. Nel proclamare che «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», l’articolo 1 della nostra Costituzione garantisce infatti che la funzione legislativa e la funzione di revisione costituzionale – massime espressioni della sovranità popolare – debbano essere riconducibili «alla volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare» (così la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014).
Beninteso, l’elettività del Senato è solo uno dei molti punti critici della riforma Boschi, ma è di grande importanza. Il riconoscimento del suffragio universale per il Senato ha infatti l’indiscutibile merito di evitare – almeno in linea di principio! – che la scelta dei candidati alla carica di senatore sia coinvolta nelle beghe e negli scandali che notoriamente coinvolgono la politica locale.
Postilla. Leggo che, per tacitare la minoranza PD, sarebbe in via di presentazione un emendamento secondo il quale spetterebbe alle leggi regionali disciplinare le modalità di valutazione dei consiglieri regionali candidati al Senato. Emendamento che però sarebbe palesemente incostituzionale poiché, essendo il Senato un organo dello Stato, la relativa legislazione elettorale rientra nella competenza esclusiva statale [articolo 117 comma 1 lettera f), Cost.]. Né si pensi che, per introdurre una tale norma bislacca, potrebbe essere modificato anche il citato articolo 117. La Corte costituzionale, in decine di sentenze, ha infatti sempre sottolineato l’incostituzionalità di leggi regionali che pretendevano di disciplinare attività strumentali del funzionamento di organi dello Stato.