di Felice Besostri
La procedura di approvazione dei disegni di legge di revisione costituzionale è prevista nel Regolamento del Senato nel Capo XIV (Dei disegni di legge costituzionale). Purtroppo nel Regolamento non si è tenuto conto se non parzialmente della particolarità di questi disegni di legge e della norma costituzionale che li regola, cioè, l’art. 138 Cost.. Le leggi di revisione devono essere approvate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni. Le ultime deliberazioni a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Si tratta di un procedimento aggravato, improntato alla riflessione senza esigenze di celerità. Mai come in questo caso si rivela l’essenza del sistema democratico rappresentativo, dove più che i metodi per la scelta dei rappresentanti è determinante la qualità del dibattito pubblico che precede le deliberazioni. Nel caso di modifiche alla Costituzione questo deve essere particolarmente ampio e approfondito. Del tutto contraddittoriamente nel Regolamento del Senato si sono applicate norme dettate per le leggi ordinarie, che in un bicameralismo perfetto hanno una necessità contraria a quella delle leggi di revisione costituzionale, quella di rendere spedita l’approvazione per evitare una navetta senza fine. Per le leggi ordinarie ha quindi un senso l’art. 104 del Capo XII (Della Discussione), che recita “Se un disegno di legge approvato dal Senato è emendato dalla Camera dei deputati, il Senato discute e delibera soltanto sulle modificazioni apportate dalla Camera, salva la votazione finale. Nuovi emendamenti possono essere presi in considerazione solo se si trovino in diretta correlazione con gli emendamenti introdotti dalla Camera dei deputati.” Di contro questa equiparazione porta a risultati paradossali quando l’art. 124 c. 3 Reg richiama l’art 76 Reg. in caso di reiezione, cioè che il ddl costituzionale non possa essere ripresentato,” se non siano trascorsi sei mesi dalla data della reiezione. “. Doveva essere previsto un termine più lungo, proprio per tenere conto della ratio della norma di non ingolfare le Camere con ddl di legge non graditi: un ddl costituzionale rappresenta un sovraccarico doppio. Tutta la procedura si presta così ad abusi, autorizzati dall’art. 121, c. 1 Reg., per il quale “La prima deliberazione, prevista dall’articolo 138 della Costituzione per i disegni di legge di revisione della Costituzione e gli altri disegni di legge costituzionale, è adottata nelle forme previste dal presente Regolamento per i disegni di legge ordinaria.”. Ulteriore effetto è che le prime deliberazioni, per le quali non è previsto un quorum assumono di fatto una rilevanza maggiore delle seconde deliberazioni per le quali è richiesta una maggioranza assoluta: la maggioranza relativa detta legge alla maggioranza assoluta, dal momento che, ai sensi dell’art. 123, c. 2 Reg., “In Assemblea, il disegno di legge, dopo la discussione generale, è sottoposto soltanto alla votazione finale per l’approvazione del complesso.” Se i ddl costituzionali fossero composti da norme di revisione tra loro collegate e relative a Titoli e Sezioni omogenei potrebbe avere un senso, ma non quando riguardano una congerie di più di una quarantina di articoli, che spaziano dalla Sezione I del Titolo I della Parte Seconda alla Sezione II dello stesso Titolo fino al Titolo V. Prendere o lasciare, come se fosse un gioco a premi condotto dal Mike Bongiorno di turno, travestito da Ministro: uno spettacolo se confrontato con l’assenza di ministri e dello stesso Presidente del Consiglio dai banchi del Governo quando si discuteva e approvava Costituzione proclamata nel 1948. Tagliole e “canguri” , decisioni discutibili delle presidenze d’aula, influiranno in maniera decisiva sul testo finale. Ancora una volta espedienti e trucchi come quelli di dare una maggioranza a chi non ce l’ha e che la conserva anche quando è dichiarata incostituzionale la legge elettorale. Questo procedimento falsa anche l’eventuale referendum confermativo, che rivela la sua inadeguatezza in caso di revisioni costituzionali di ampia portata, come è avvenuto nel 2001: è significativo che allora, come oggi il referendum sarà richiesto anche da chi è favorevole e non solo dai contrari: due categorie estremamente confuse come è stato reso evidente dalle dichiarazioni di voto prima dell’approvazione alla Camera dei Deputati. Purtroppo, per fortuna per gli autori degli abusi regolamentari, i Regolamenti parlamentari appartengono alle “zone d’ombra” e “zone franche” della giustizia costituzionale italiana, che hanno appena cominciato a ridursi grazie alla sentenza n.1/2014 della Corte Costituzionale e che dovranno ancora ridursi a causa del confuso iter di approvazione delle leggi da parte del bicameralismo squilibrato, che sostituirà quello perfetto. Rassegnarsi non è possibile, quando è in gioco la salus rei publicae e i fondamenti democratici connaturati alla forma repubblicana tutelata dall’art. 139 Cost..
Nella pausa di riflessione trimestrale occorre prendere un’iniziativa per una modifica dei Regolamenti parlamentari, si vedrà comunque chi si oppone ad una loro riforma per renderli aderenti alla Costituzione, a cominciare dalla rimozione delle previsioni di decadenza dei ddl con la fine di una legislatura: un non senso che pone nel nulla anche testi votati da una Camera o come nel caso in esame addirittura da due. Sarebbe così possibile salvare il lavoro fatto, fare elezioni generali e riprendere l’iter di revisione costituzionale con Camere legittimate da un voto conforme alla Costituzione. Questa è una regola saggia sempre applicata in Svezia per qualsivoglia modifica e in Spagna per quelle che coinvolgono parti importanti della Costituzione, come è il nostro caso. L’altra modifica regolamentare è quella relativa ai ddl costituzionali, cui si devono applicare regole ad hoc, con esclusione di quelle per i ddl ordinari.
Milano-.Roma 14 marzo 2015