Il 20 luglio è stato il giorno della verità, Draghi si è presentato al Parlamento con un discorso da divinità offesa, deciso a crocifiggere il dissenso dei 5S e ad ottenere la sottomissione di tutte le componenti della sua variegata maggioranza, dando l’impressione di voler concedere un’altra chance ai Parlamentari di mostrarsi uniti alla sua leadership: “All’Italia non serve una fiducia di facciata che svanisce davanti ai provvedimenti scomodi. (..) I partiti e voi parlamentari siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti? (..) Questa risposta a queste domande la dovete dare non a me, ma a tutti gli italiani. “ Detto in altre parole non era il Parlamento che doveva rinnovare la fiducia al Presidente del Consiglio ma erano i Parlamentari che dovevano guadagnarsi la fiducia di Draghi, rinsaldando la loro unità intorno al sovrano e l’obbedienza ai dettami della sua politica. Agendo in questo modo Draghi non si è reso conto che introduceva un elemento di autoritarismo nella vita politica che mal si concilia con la dialettica democratica. Gli elementi più inquietanti nel suo discorso riguardano la posizione internazionale dell’Italia. Il Presidente del Consiglio ha rivendicato che: “questo Governo si identifica pienamente nell’Unione europea, nel legame transatlantico. La nostra posizione è chiara e forte nel cuore dell’Unione europea, del G7, della NATO.” A questo passaggio c’è da obiettare che chi si identifica nell’Unione Europea dovrebbe accorgersi che c’è una distanza incolmabile fra gli interessi dell’Europa (il primo dei quali è che cessi la guerra ai suoi confini) e quelli degli USA (che dal prosieguo della guerra traggono grandi vantaggi). Chi pretende di identificarsi nell’UE e nel legame transatlantico, in realtà sposa la subalternità dell’Europa agli Usa e tradisce gli interessi europei. Non c’è dubbio che Draghi non è un europeista convinto ma il più autorevole terminale della NATO nel sistema politico italiano. Lo ha dimostrato anche con i richiami al sostegno della guerra in Ucraina: “Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo (.) Come mi ha ripetuto ieri al telefono il presidente Zelensky, armare l’Ucraina è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi.”
La presenza di Draghi alla guida del Governo italiano è stata considerata dagli USA, dalla NATO e dalla stessa Ucraina una garanzia irrinunziabile per mantenere la fedeltà assoluta del nostro paese agli indirizzi sconsiderati dalla NATO che a Madrid ha effettuato una scelta strategica di rilancio della guerra, fredda e calda (in Ucraina), difficile da far accettare ai popoli europei. Per questo si preferiva che in Italia restasse al comando un leader forte ed autorevole, capace di assicurare la “fedeltà atlantica”, senza tentennamenti.
Forte di questo consenso internazionale, Draghi è stato tradito dal suo orgoglio, ha trasformato in tragedia il dissenso di una parte della sua maggioranza e ha compiuto il gesto di arroganza di dimettersi, pur avendo ottenuto la fiducia con una maggioranza assoluta. E’ tornato in Senato per bastonare i dissenzienti ed ottenere una nuova incoronazione trionfale. In questo modo è caduto nella trappola che gli ha teso il centrodestra e che non si sarebbe mai aspettato. La festa del ritorno di Draghi è stata rovinata dalla Lega che ha chiesto un governo “profondamente rinnovato”, cioè con nuovi ministri, con esclusione dei 5 Stelle , manifestando in questo modo l’intenzione di non inchinarsi al Presidente e di volerne condizionare la navigazione. Fino all’imprevisto esito finale che ha visto Lega e Forza Italia disertare il voto (l’astensione dei 5 Stelle era scontata), col risultato che nella seconda votazione sulla fiducia, i voti a favore sono scesi da 172 a 95. L’esperienza del governo dei migliori è giunta al capolinea.