Il testo del decreto legge che conosciamo insiste sulla prospettiva di un rilancio e sulle iniziative conseguenti.
Tuttavia molte misure sono inevitabilmente volte a sostenere settori della società che non sono in grado di assorbire i contraccolpi della crisi, che soprattutto colpisce le aree sociali più a rischio e più deboli. Una società complessa come la nostra ha bisogno di provvedimenti complessi che debbono cogliere le sfaccettature delle difficoltà. Alcuni provvedimenti, ad esempio di semplificazione, potevano essere affrontati con maggiore urgenza, a parte. Da settimane ci sono forti lamenti che i benefici di precedenti provvedimenti non sono arrivati o sono arrivati tardi. Chi potrebbe opporsi oggi a decreti legge per fare arrivare tutta la cassa integrazione a destinazione in tempi rapidi, correggendo le procedure che hanno ritardato l’arrivo degli euro previsti? Perché non tentare di lavorare nelle commissioni parlamentari per convertire decreti che hanno un largo consenso? Il Salvini di turno potrebbe opporsi a un decreto che velocizza l’arrivo dei quattrini alle partite Iva, alle imprese e così via?Questi aspetti potevano e dovevano essere affrontati con l’urgenza necessaria, mettendo tutti di fronte alle loro responsabilità. Il grosso del decreto contiene altro e cerca di portare risorse alle imprese (15/16 miliardi), a lavoratori e precari (25,6miliardi), alla sanità (3,25 miliardi) e cancella le norme sull’aumento dell’Iva che ogni anno hanno messo in croce i provvedimenti finanziari. Ci vorrà tempo per comprendere meglio i singoli interventi e il passaggio parlamentare deve aiutare a capire, se la maggioranza non si chiuderà a riccio e l’opposizione capirà che il periodo delle urla sguaiate deve finire. Altrimenti è l’Italia che entrerà in sofferenza e chiunque governerà in futuro avrà difficoltà enormi a ricostruire uno spirito pubblico. È vero che il governo ha avuto difficoltà, ci ha messo tempo per trovare un accordo sulle norme. Mentre le persone hanno problemi urgenti, hanno bisogno di sostegno ed è questo l’unico parametro che conta, il resto è fuffa. L’opinione pubblica ha premiato il governo quando ha saputo adottare provvedimenti rapidi, severi per evitare guai peggiori sulla salute delle persone.
Questo è un provvedimento di grande impatto economico, 55 miliardi di euro sono tanti, la leva prevista ingente, si sommano a quelli già stanziati, ma rischia di non avere lo stesso risultato e sarebbe un paradosso perché dipende dalla maggioranza più che dall’opposizione, che cercherà in ogni modo di svilire le misure. Il ministro dell’Economia ha correttamente messo in guardia contro assalti alla diligenza in parlamento. Il passaggio in parlamento è sempre un’occasione per assalti ma soprattutto per capire se i provvedimenti adottati sono costruiti nel modo più efficace. Un provvedimento così complesso non può avere un percorso facile e poiché è difficile sostituire norme di sostegno già scritte con altre la tendenza sarà ad allargare ulteriormente la spesa. Non sarà facile tenere la barra del timone. Il decreto è stato chiamato rilancio, in realtà è largamente un sostegno ai redditi e alle imprese, che sono la premessa per un rilancio, perché un rilancio vero e proprio ha bisogno di investimenti, di misure di sostegno alla ricerca e all’innovazione, alla qualità del lavoro, al suo allargamento, alle modifiche istituzionali necessarie.
Il ministro dell’Economia ha dato rassicurazioni che l’intervento pubblico, perfino la proprietà pubblica non avrebbe comportato intromissioni sulle scelte del mercato. Forse era diretto ad una Confindustria che sta assumendo toni antagonisti e avanza richieste che la caratterizzano come la più forte lobby corporativa del paese, che pretende senza offrire consapevolezza del quadro d’insieme. Il “sappiamo noi come si fa” è ricorrente, come l’attacco spocchioso al governo, fingendo di non sapere che occorre tenere conto anche della salute delle persone e ogni morto in più è inaccettabile. Sotto la coperta della convivenza con il virus viene rilanciato un nuovo malthusianesimo che accetta che i morti in più siano il prezzo da pagare. Anche Boris Johnson ha teorizzato l’immunità di gregge fino al giorno in cui è toccata a lui e ora sembra più consapevole del valore della vita delle persone. Comunque sia l’affermazione di Gualtieri non è convincente. Se pandemia e crisi hanno insegnato qualcosa è che occorre un progetto, una visione di sistema per affrontare le sfide. Nel bene e nel male la forza tedesca nasce da qui.
La programmazione del futuro è una necessità per scegliere su cosa puntare e su cosa no, o per rinviare a tempi migliori. L’accesso agli aiuti europei serve a questo, o no?
Se la Bei finanzierà le iniziative delle imprese verso quali settori e obiettivi verranno indirizzati i fondi? Se arriveranno soldi dal Mes senza condizioni che spenderli per la sanità e le sue conseguenze occorre ragionare su quale progetto è necessario per ricostruire un sistema sanitario nazionale pubblico, in grado di garantire gli stessi servizi alle persone, da Pantelleria alla Val d’Aosta. Se arriverà il recovery fund, nell’ambito dei filoni europei di spesa, inevitabilmente si dovrà ragionare su ambiente, territorio, infrastrutture, strutture culturali e di ricerca. Il green va declinato, altrimenti altri saranno più veloci nel fare proposte e non sarebbe la prima volta. Ci sono anche compiti a casa da svolgere. È evidente che il sistema fiscale ha bisogno di essere ricentrato, la destra vuole semplicemente meno tasse a prescindere, da dove verranno i fondi è un mistero. Questa maggioranza vuole aprire una riflessione sulla possibilità di raccogliere più e meglio risorse da chi ne ha per sostenere chi non ne ha e aiutare chi ne ha bisogno ? L’Italia del dopo pandemia sarà comunque diversa. Può diventare diversa sulla base di spinte non governate, oppure si può progettare il futuro e in questo ambito è improprio che il Ministero dell’Economia non metta bocca sulle scelte strategiche delle aziende che sono poco o tanto di proprietà pubblica. Né si può affidare alla Cassa Depositi e Prestiti un ruolo eccessivo e forse rischioso per i conti pubblici. Perché tornare ad una nuova Iri dovrebbe essere un tabù? Gli errori del passato si possono correggere e le privatizzazioni hanno visto anch’esse molti errori.
Progettare il futuro, adottare nuovi strumenti, senza timore di mutuare dai tedeschi l’esperienza di gestione del debito pubblico attraverso un’agenzia specializzata. Sono scelte che debbono essere fatte insieme ad una semplificazione coraggiosa di quanto non serve. Il Mef non è adatto a gestire queste scelte, Il presidente del Consiglio ha già un ruolo molto impegnativo. Quindi occorre reinventare strumenti abbandonati con troppa leggerezza, altrimenti il rilancio a cui tende questo maxi decreto rischia di non arrivare e noi continueremo a chiederci all’infinito perché altri fanno sistema e l’Italia non ci riesce.