Nessuna contrarietà ad introdurre una forma nuova di referendum, cosiddetto propositivo, nella Costituzione che potrebbe rafforzare l’impianto della democrazia nel nostro paese se effettivamente innestasse una forma di partecipazione diretta nella democrazia parlamentare del nostro paese. Tuttavia all’intenzione dichiarata dai proponenti (maggioranza e governo) non corrisponde un’attuazione convincente. E’ la classica distinzione tra buone intenzioni e fatti. Malgrado i passi avanti fatti rispetto alla proposta di legge su cui si è iniziato a discutere alla Camera, l’impianto di questa modifica della Costituzione presenta tuttora dei difetti di fondo che non consentono di valutarla positivamente.
C’è anzitutto il contesto in cui avviene, che non è poca cosa. Basta ricordare che governo e maggioranza finora hanno dato all’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione un’impostazione grave ed inaccettabile, di merito e di metodo, tanto da creare un giusto allarme sulla possibilità di aprire una ferita nei diritti fondamentali garantiti nella prima parte della Costituzione, fino al rischio di mettere in discussione la stessa unità nazionale, aprendo le porte ad una strisciante secessione delle regioni ricche a danno di quelle maggiormente in difficoltà. Inoltre, tra qualche settimana la Camera esaminerà la proposta, già approvata dal Senato, di modifica della Costituzione che riduce il numero dei parlamentari, con l’unica motivazione della riduzione dei costi e senza alcun ragionamento serio sulla funzione del parlamento. Per di più questa modifica è accompagnata da una proposta di legge che conferma sostanzialmente l’impianto dell’attuale legge elettorale, con il risultato di mantenere un parlamento di nominati dall’alto, ancorchè ridotti di numero.
L’attuazione dell’articolo 116 e queste modifiche della Costituzione fanno parte di un contesto che punta a ridimensionare drasticamente il ruolo della democrazia rappresentativa, cioè del parlamento. Parlamento che invece è il punto centrale dell’assetto istituzionale previsto dalla nostra Costituzione. Parlamento che non solo subisce il diluvio di decreti legge e voti di fiducia ma è stato perfino costretto ad approvare una legge importante come quella di bilancio senza poterla neppure leggere, nè tanto meno modificare.
Nel merito della proposta di introdurre nella Costituzione il referendum propositivo ci sono almeno tre punti inaccettabili nell’attuale formulazione.
1) Gli argomenti che possono essere sottoposti a referendum propositivo sono più ampi e indefiniti di quelli previsti nell’articolo 75 riguardanti il referendum abrogativo, bastava adottare lo stesso testo, invece si è scelta una forma ambigua ed involuta che potrebbe portare a referendum propositivi su materie che dovrebbero essere escluse in radice, scaricando sulla Corte costituzionale compiti eccessivi.
2) Un referendum propositivo non può avere effetti di spesa e tanto meno prevedere modalità di finanziamento. Solo governo e parlamento sono in grado di affrontare il tema del finanziamento di misure introdotte con referendum e questa riserva chiara non è prevista. Eppure Di Maio e Salvini dovrebbero per primi avere ben presente le riunioni di vertice a cui sono stati costretti in materia di bilancio. Ora seriamente pensano di farsi scrivere il bilancio dello stato da scelte impreviste? Se un referendum propositivo prevedesse di coprire le spese con l’aumento dell’Iva sarebbe accettabile?
3) La procedura del referendum propositivo è tale da provocare seri rischi di contrapposizione tra iniziativa popolare e ruolo del parlamento. Anzitutto andrebbe limitato il numero dei referendum propositivi possibili durante la legislatura, non più di due/tre, altrimenti è evidente che il parlamento difficilmente riuscirà a discuterne e quindi si arriverà inevitabilmente al referendum.
Inoltre se le Camere approvano una legge sull’argomento, la Cassazione dovrà decidere se il risultato del lavoro parlamentare e la proposta di iniziativa popolare sono veramente diverse, per evitare un referendum del tutto formale. Ma così la questione è mal posta. Se le Camere approvano una legge che si propone di rispondere al referendum propositivo i proponenti dovrebbero semmai ricorrere al normale referendum abrogativo, invece viene sottoposto agli elettori il testo della proposta di iniziativa popolare che di fatto stoppa il lavoro del parlamento, il cui esito forse non vedrà mai la luce visto che la sua efficacia viene sospesa e se passa il referendum propositivo non esisterà più. Come si fa a sostenere che non c’è più contrapposizione tra parlamento e cittadini? La contrapposizione è nascosta meglio di prima, ma resta la sostanza ed è grave perché così non si integrano democrazia diretta e rappresentativa, ma vengono contrapposti e questa è una scelta grave. C’è ancora il passaggio al Senato e dopo la doppia lettura, quindi non è ancora detto che questo sarà il testo della modifica della Costituzione. Tuttavia perchè cambi nella sostanza occorre che questa modifica della Costituzione esca dall’ombra in cui finora è rimasta.
Era impressionante ieri sentire dai maggiori mezzi di informazione tutto sulla Tav mentre ignoravano una modifica della Costituzione che, checchè se ne dica, fa parte di un pacchetto, e che comunque introduce una novità che potrebbe contribuire a ridurrre non poco il ruolo del parlamento. Al di là della tattica parlamentare, sempre discutibile, su questi argomenti costituzionali è auspicabile che alla fine i parlamentari ricordino bene che se la proposta passerà con i 2/3 dei voti nella seconda lettura il referendum costituzionale non sarà possibile. Invece è fondamentale che se i cittadini lo vorranno possano ricorrere al referendum e questo, non a caso, non è gradito a chi insiste su formulazioni discutibili o sbagliate.