Alfiero Grandi. Approvare subito Pdl di iniziativa popolare di riforma elettorale in senso proporzionale, restituendo ai cittadini la capacità di scelta dei parlamentari
Premessa: solidarietà a Martina, presentato da Renzi al congresso del Pd come vice nel ticket congressuale, poi diventato reggente dopo le sue dimissioni da segretario. Ora pesantemente strattonato in diretta televisiva dal capo (vero ma nascosto) del Pd. A meno di una rivolta contro Renzi e quindi di una (auspicabile) smentita nella direzione del 3 maggio, ogni ipotesi di accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd diventa impossibile. Per questo Martina, che non è persona da reazioni sopra le righe, ha reagito pesantemente all’attacco di Renzi, sferrato addirittura prima della direzione. Evidentemente per Renzi il reggente doveva solo eseguire le direttive del capo vero, mentre si è illuso di poter dire, sia pure con prudenza, la sua. Per questo gli è arrivato un ruvido altolà.
Allo stato dei fatti solo una reazione collettiva della direzione potrebbe salvare l’apertura di un dialogo tra Pd e 5 Stelle e probabilmente la legislatura stessa. Colpisce che in contemporanea ci sia l’avvio di un dialogo tra le due Coree che mette in risalto il settarismo della posizione renziana. Di Maio ha ondeggiato, dal 4 marzo, su fronti opposti. Questo è certamente un limite politico, ma nel momento in cui appare possibile evitare un governo destra-5 Stelle il Pd dovrebbe cogliere l’occasione offerta dall’offerta dei 5 Stelle per svolgere un ruolo di importanza nazionale per il nostro paese, senza surgelarsi in una posizione rancorosa e pregiudizialmente ostile. Per di più mentre Renzi decide di dire No a qualsiasi possibile intesa con i 5 Stelle, Di Maio ha pubblicato una lettera al Pd non priva di spunti interessanti, con qualche punto di possibile convergenza, compiendo un’apertura significativa. Restare su posizioni pregiudiziali di fronte all’apertura di Di Maio vuol dire che la reazione è ideologica, nel senso negativo del termine.
Ogni argomento viene usato solo per dimostrare che un accordo è impossibile, a partire dalla pregiudiziale contro Di Maio. Tutto viene piegato all’obiettivo di dimostrare che solo la contrapposizione è possibile. Di Maio ha insistito su un contratto alla tedesca, che come tutte le formule si presta a diverse interpretazioni, alcune lontane da quelle che probabilmente lui stesso ipotizza. Infatti portato alle estreme conseguenze potrebbe perfino preludere ad un governo insieme al Pd (Spd infatti ha ministri) e ad una maggioranza organica. In realtà è più probabile che il ruolo del Pd, tenendo conto delle distanze di partenza, delle diffidenze esistenti, dei prevedibili tentativi di fare saltare tutto, potrebbe essere quello di consentire la nascita di un governo a 5 Stelle, con la presenza di tecnici graditi in punti decisivi, e un programma concordato per punti.
Pensiamo al reddito di cittadinanza, la lettera di Di Maio al Pd non ripropone la proposta classica dei 5 Stelle ma ipotizza uno sviluppo di qualità della modesta esperienza avviata dal governo Gentiloni per dare una risposta al raddoppio delle aree di povertà, che fino a prova contraria dovrebbe essere un problema urgente e di primaria importanza per tutti. Renzi ha polemizzato alzo zero contro la caricatura della proposta iniziale dei 5 Stelle, con l’obiettivo di far saltare ogni possibilità di dialogo. Difficile negare che anche su Europa, Euro, ecc. la posizione post elettorale dei 5 Stelle sia più equilibrata. Si potrebbe continuare, ma sarebbe un esercizio inutile visto che è probabile che il novello Ghino di Tacco-Renzi riuscirà a bloccare l’avvio del dialogo tra Pd e 5 Stelle, a meno di una reazione orgogliosa e forte della direzione del Pd, sperabile quanto improbabile.
La posizione di Renzi negli organi dirigenti del Pd resta forte, del resto ha controllato le liste elettorali in modo da garantirsi gruppi parlamentari fedeli, anche se forse la sua posizione è meno forte di quanto appare. Ha dovuto intervenire personalmente, in modo così pesante, per bloccare il processo di disgelo che indubbiamente era iniziato nel Pd retto da Martina. Certo lo stile che predilige nemici anziché avversari politici ha giocato un ruolo forte, ma ha pesato anche la preoccupazione che lentamente perfino nel gruppo dei renziani si iniziasse a considerare possibile l’appoggio ad un governo 5 Stelle, seppure condizionato ad un’intesa sulle proposte da approvare in parlamento, alla revisione delle responsabilità parlamentari, ecc.
Renzi conosce bene il gruppo dirigente del Pd e qualcosa deve averlo convinto che le tentazioni andavano stroncate sul nascere e andava messo in chiaro chi è il vero capo. Non sembra una posizione di forza, piuttosto il timore evidente che gradualmente dal confronto con il M5Stelle potesse uscire un’intesa. Inoltre il drastico niet renziano ha lasciato intravvedere sullo sfondo il ritorno ai vecchi e prediletti rapporti, in particolare con Berlusconi, in nome di una modifica presidenzialista della Costituzione e di una legge elettorale che non solo punti a confermare la nomina dall’alto dei parlamentari ma abbia anche una robusta quota di maggioritario. Sembra incredibile ma nemmeno la trazione leghista sembra in grado di chiudere il capitolo degli accordi con il destra-centro, evidentemente preferito ad altre soluzioni.
Lo spirito del Nazareno aleggia sul Pd. Quindi il “mai con i 5 stelle” di Renzi lascia in realtà intravvedere che con Berlusconi e c. il dialogo è possibile, e preferibile. Siamo alle solite. Ora, come ha proposto da tempo il Coordinamento, occorre arrivare in fretta all’approvazione di una nuova legge elettorale che consegni ai cittadini la scelta dei parlamentari, togliendola dalle mani esclusive dei capi, e bloccando sul nascere con una legge sostanzialmente proporzionale la tentazione di rimettere in discussione la Costituzione, adombrata non a caso da Berlusconi come esca per Renzi.