Articolo di Massimo Villone su Il Manifesto “Il mandriano delle riforme”
Tutto secondo le previsioni nella direzione Pd. Sulle riforme, Renzi sbatte la porta: sull’Italicum non esiste in Parlamento una maggioranza alternativa, e il no al referendum porta inevitabilmente alla crisi di governo. Anzi, fa intravedere anche lo scioglimento anticipato delle camere, che un po’ di galateo istituzionale consiglierebbe di non richiamare, dal momento che la decisione spetta al Presidente della Repubblica. Quanto alla possibilità di lasciare la poltrona di segretario, il dibattito è lunare. Tutto si può dire di Renzi, salvo che non abbia le idee chiare per tutto ciò che lo riguarda direttamente.
Ha capito che l’Italicum è il vero strumento per mantenere salda la presa sul bastone di comando. Dire che non c’è maggioranza alternativa significa che l’Italicum non si tocca nei fondamentali. Non si tocca il premio di maggioranza ipertrofico dato a seguito di un ballottaggio senza soglia alla maggiore minoranza.
Fallito l’obiettivo del partito della nazione, può ancora funzionare – se pur con un alto margine di rischio – per consegnare il parlamento al Pd. Al più, sarebbe utile ritoccare il punto del premio alla coalizione, per ridurre in prospettiva lo svantaggio del Pd verso M5S attualmente segnalato dai sondaggi, e al tempo stesso tranquillizzare i partiti minori nel governo e fuori. Non si toccano i capilista bloccati, che servono a dare a chi fa le liste – leggi: il segretario del partito – un pacchetto di mischia di fedelissimi pronti a ogni comando. Non si toccano i collegi piccoli e le liste brevi, che consentono ancora a chi fa le liste di gestire le candidature e predeterminare con ottima approssimazione i candidati da eleggere con le preferenze.
Ha capito che il controllo dei 340 garantiti dal premio di maggioranza nella Camera dei deputati è la chiave per gestire i processi politici e istituzionali, influenzando decisivamente la elezione del capo dello Stato, dei giudici costituzionali, dei membri laici del Csm, oltre che per dominare il processo legislativo ancor più di oggi, anche con lo strumento aggiuntivo dato dal voto a data certa previsto dalla riforma costituzionale. Ma ha anche capito che il controllo dei 340 può averlo solo dalla posizione di segretario del partito attraverso la scelta dei capilista e delle candidature. Per questo è lunare il dibattito sulla doppia carica. La posizione di segretario è strategica nell’architettura renziana del potere. Bersani si illude se pensa che le sue miti esortazioni possano indurre Renzi ad abbandonarla. Lo farebbe solo se irresistibilmente costretto. Non a caso chiede una modifica statutaria che non verrà.
Ha capito che la riforma costituzionale gli serve per tenere alta la tensione, evitare una discussione di merito, ridurre il potere contrattuale della minoranza interna. Per questo la personalizzazione e lo scenario da fine del mondo nel caso di successo del no vengono in ogni occasione ribaditi. Dalla minoranza Pd si insiste per cambiare l’Italicum, ma nemmeno si dice in chiaro come e fino a che punto bisognerebbe metter mano. Si pensa a qualche ritocco sostanzialmente marginale, come il premio alla coalizione? O ci si pone il problema di una legge elettorale palesemente inidonea per un sistema politico assestato su una base tripolare? Persino autorevoli commentatori non sospetti di antirenzismo a prescindere suggeriscono una inversione di rotta, ad esempio verso un sistema uninominale di collegio a doppio turno alla francese.
Ancora una volta Renzi si appoggia all’ex presidente Giorgio Napolitano, proiettando addirittura un video nella Direzione Pd. La storia dirà conclusivamente se il ruolo svolto
da Napolitano merita apprezzamento o censura. Oggi, le opinioni sono fortemente divise. Ma Renzi dovrebbe decidersi a dire una buona volta che le riforme sono sue, fatte sotto la sua responsabilità. La nostra preoccupazione non è che le riforme renziane portino a sbattere il Pd. Se accadesse, ce ne faremmo una ragione. Il timore è che portino a sbattere il Paese, in un tempo difficile e greve di pericoli, soffocando la partecipazione democratica che è la carne e il sangue delle istituzioni. Non temiamo la mucca nei corridoi di cui parla Bersani. Piuttosto, non vogliamo il popolo bue